martedì, maggio 05, 2020

💜S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore

S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore
 di là dal modo che ’n terra si vede,
sì che delli occhi tuoi vinco il valore

non ti maravigliar, ché ciò procede
da perfetto veder, che, come apprende,
così nel bene appreso move il piede.

Io veggio ben sì come già resplende
ne l’intelletto tuo l’etterna luce,
che, vista, sola e sempre amore accende;

e s’altra cosa vostro amor seduce,
non è se non di quella alcun vestigio,
mal conosciuto, che quivi traluce.

Paradiso V, 1-12

Non sono soltanto le asperità dell’italiano medievale a impacciarci, davanti a questi versi: è che un lettore attuale, sia nell’area del love, sia in quella dell’amor, non trova nella propria memoria nessuna parola che corrisponda al significato che viene illustrato qui.
L’amore di cui parla Beatrice non consiste soltanto in un’esperienza spirituale, dato che è «caldo», «fiammeggia», le fibre del corpo lo avvertono. Ma al contempo è «di là dal modo che ’n terra si vede»: cioè va oltre le consuete percezioni sensoriali. E «vince il valore del viso»: nella Commedia, «viso» (dal latino visus) è sia il volto, l’aspetto, sia il senso della vista; quell’«amore», dunque, permette di scorgere nell’essere amato qualcosa di più delle sue forme, e in qualche modo abbaglia la vista ordinaria. Si arriva a sperimentarlo soltanto mediante un «perfetto veder», una percezione superiore; e, quanto più ci si abitua a quest’ultima, tanto più si è condotti su una giusta via, «nel bene» – evidentemente perché quel potenziamento percettivo va di pari passo con una evoluzione psichica ed etica. Tale «perfetto veder» ha sede nell’«intelletto»: può cioè venire intuito, non compreso (se no, avrebbe la sua sede nella ragione); ed è esso stesso luminoso, si accende come una luce «etterna», ovvero estranea al nostro ordinario tempo lineare. Chi riesce a sperimentarlo – conclude Beatrice – si accorge di come tutto ciò che di bello, di seducente si può cogliere e amare nel mondo altro non è se non un «tralucere», come attraverso un velo, di quella luminosità. Tanta fatica per definire un fenomeno psichico, o psicofisico, apparirebbe necessaria solo nel caso che questo fenomeno fosse stato scoperto da poco. Vedremo invece che l’«amore» descritto da Beatrice era noto da un pezzo: solo che era stato stranamente dimenticato, da più d’un millennio, in tutta Europa. In greco c’era la parola per indicarlo ed era eros

Tratto da "Eros" di Igor Sibaldi

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