Questo volo delle anime ha la sua origine cupa nella chiusa terribile dell’Odissea, che si apre con la migrazione delle anime dei pretendenti di Penelope nell’Ade, sotto la guida di Ermes armato della verga d’oro con cui incanta gli uomini e li sveglia dal sonno.
Simili a pipistrelli li definisce Omero, mentre descrive il moto sospeso di questi spiriti dei trapassati che sorvolano le correnti d’Oceano e la Bianca Rupe da cui si diceva che un tempo le sirene si fossero gettate, scornate per la sconfitta in una gara di canto con le Muse, approdando, infine, al campo di asfodelo, dopo aver passato le porte del Sole e la stirpe dei Sogni; un volo molto diverso da quel trascolorare immemore verso il cosmo di cui ci parla Platone.
I pretendenti di Penelope, uccisi da Odisseo nell’episodio piú sanguinario di tutta l’Odissea, non diventeranno mai stelle.
Non sperimenteranno quella metamorfosi pietosa che gli dèi concedono ai mortali piú amati. Eppure guardando su in alto, verso la volta stellata, gli Antichi credevano di scorgere un arco luminoso punteggiato di piccole luci, la Via Lattea.
Qui immaginavano che, incessantemente, si muovessero le anime dei trapassati in procinto di reincarnarsi o scivolassero verso il basso gli spiriti di coloro che stavano per nascere.
Sembra che Pitagora, per primo, avesse concepito questo fluire eterno di anime e di stelle e forse anche Platone per cercare il suo Aldilà preferiva guardare verso l’alto, anziché nelle profondità della terra. Persino Virgilio pare alzare gli occhi al cielo per descrivere gli anfratti del regno di Dite.
E Scipione l’Emiliano, visitato in sogno dagli spiriti del nonno adottivo, Scipione l’Africano, e del padre, Lucio Emilio Paolo, può trovare conforto nel pensiero che per chi ha saputo prendersi cura della repubblica c’è un posto fra le stelle, perché l’anima dell’uomo è nata dalla materia stellare.
CosĂ, la tessitura di questi spiriti defunti, di queste anime dei valorosi come le chiama il poeta augusteo Manilio nel suo Poema degli astri (I.258), è una materia aerea, una sorta di gas cosmico, di pulviscolo lucente: una sostanza ben diversa, sideralmente lontana, dalla trista concrezione d’ombra di cui sono composte le figure dei morti dell’Ade omerico.
Kampnoi, «creature di fumo», le chiama il poeta, affidando ad Anticlea, la madre di Odisseo, il compito di raccontare al figlio il momento terribile della morte, quando i nervi non tengono piú la carne e le ossa, e la vita si sfarina, si sbriciola, mettendo a nudo le bianche ossa. In quell’istante, l’anima vola via, come in un sogno, e nulla rimane dell’esistenza mortale.
Tratto da Tommaso Braccini - Silvia Romani "Una passeggiata nell’aldilà in compagnia degli Antichi"
Giulio Einaudi Editore
Maldalchimia.blogspot.com
"Tomba del tuffatore" 480 aC circa
Museo Archeologico Nazionale di Paestum
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