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Questo sito nasce ispirato dalla Sacra Divinità dell'Ape, che mi ha amorevolmente guidata alla scoperta di ciò che è la mia Essenza, manifestazione in E come un'ape, prendo il nettare da fiori diversi tra loro, producendo del "miele-Essenza" diversificato. Ma con un filo d'Oro conduttore l'Alchimia nel creare, nell'Athanor della ricerca intima, multidimensionale, animica. E in questa Alchimia, amare le parole nella loro intima Essenza. Soprattutto quella celata. Le parole creano. Sono vibrazioni. Creano dimensioni spaziotemporali proprietà, trasversali. Che uniscono dimensioni apparentemente distanti. Azzardate. Inusuali. Sempre dinamiche Sempre. operose. Come le api. A cui devo ogni mio battito d'Ali. COPYRIGHT ©®I contenuti presenti sul blog Maldalchimia.blogspot.com, quelli scritti ed elaborati dall'autrice, Tiziana Fenu, proprietaria del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti, in qualsiasi forma, se non, riportando nome, ©®Diritti intellettuali riservati e nome del blog,

lunedì, ottobre 31, 2022

💜Samhain

 Ad esempio, nella tradizione Irlandese, è presente un luogo dell'Altromondo dove le anime dei Morti si riuniscono per fare festa, questo luogo è chiamato Eamhain Abhlach, "Il Paradiso delle Mele". 

Esiste anche un equivalente Gallese, chiamato però Afallon. 

In Scozia, alcuni "giochi di Samhain" prevedevano delle prove che prevedevano l'uso parallelo di acqua e fuoco, i due elementi principali di cui si credeva fosse composto il Mondo. 

La prova con l'acqua possiamo vederla ancora oggi nel popolare gioco anglosassone dove si deve cercare di prendere una mela, che galleggia in un catino, senza usare le mani. 

Un esempio di gioco che coinvolge il fuoco è, invece, quello dove si deve cercare di dare un morso all'ormai immancabile mela, questa volta appesa ad un bastone, sopra ad una candela accesa. 

Questi sembrano essere dei riferimenti alle prove e alle traversie che i Morti devono affrontare durante il loro viaggio verso l'Otherworld, un insieme di credenze che, purtroppo, conosciamo solo frammentariamente, anche se il concetto base di "viaggio" e "prove" è comunque ben definito nel folklore. 

La condivisione di queste esperienze era un modo per affermare l'esistenza di un rapporto solidale tra i Morti e i Vivi, in modo da far arrivare nel nostro Mondo, un po' dei poteri di rinnovamento dell'Otherworld. 

Mentre i Morti erano accolti e celebrati con la condivisione del cibo, altre offerte dovevano essere fatte agli Spiriti della Terra, come ricompensa per la Loro collaborazione durante il Periodo del Raccolto, e per aiutarli a rigenerare la loro energia in vista del nuovo ciclo che stava per incominciare. 

A partire da questo periodo, sarebbe stato proibito raccogliere e mangiare gli ultimi frutti selvatici e le bacche dei cespugli che si incontravano nel bosco. I bimbi di tutte le comunità Celtiche erano avvertiti di non raccogliere assolutamente questi frutti neppure per gioco, perché erano destinati agli Spiriti, e le Fate (in epoca cristiana anche il Diavolo) li avevano resi pericolosi. 

Dopo aver aiutato le comunità umane durante il Raccolto e aver così contribuito alla loro sopravvivenza, Spiriti e Fate avevano diritto ad un dono di Vita e di Sangue. 

Samhain era il momento in cui il bestiame che non poteva passare l'inverno, doveva essere macellato e, il sangue non utilizzato, avrebbe costituito l'offerta. In epoca cristiana questo avveniva solitamente l'11 novembre, il giorno di San Martino (Martinmas). 

C'è un'inquietante assonanza tra il nome del santo e la parola Gaelica mart, che indicava proprio il bestiame destinato al macello. Ancora nel 1830, in Irlanda, era usanza consolidata offrire questo "spargimento di sangue" a Fate e Spiriti. Un'altra pratica molto in voga, era quella di imbrattare di sangue i tutti gli angoli della propria casa, proteggendola così da eventuali Fate maligne.

Rinnovare i legami con i Morti e ringraziare gli Spiriti della Terra significava, in principal modo, assicurarsi un futuro sicuro e produttivo. Samhain (e la Morte che in esso veniva celebrata) segnava la fine di un ciclo, ma la cosa più importante era prepararsi all'inizio di quello nuovo. Visto che le energie del rinnovamento provenivano dalla caotica e selvaggia vitalità dell'Otherworld, un nuovo ciclo poteva venire inaugurato solo dissolvendo tutte le strutture di quello vecchio, proprio come la Morte ci prepara alla nuova esistenza nell'Aldilà. 

Questo concetto portava, come accadeva anche nelle feste di rinnovamento di molte altre culture, ad accettare, ed anzi incoraggiare, alcuni tipi di disturbi sociali durante il periodo delle celebrazioni, perché avrebbero favorito l'influenza proveniente dall'Otherworld proprio nel momento dell'anno in cui la divisione tra i Mondi era più labile. Le differenze, come il ceto sociale, il sesso o il comportamento in pubblico, potevano venire stravolti. Poteva essere lecito mancare di rispetto agli anziani del villaggio o a persone di rango elevato, spesso ci si scambiava il vestito con qualcun altro, magari del sesso opposto. Il Primo Novembre (Calan Gaeaf, Primo giorno d'Inverno), in alcune zone del Galles gruppi di giovani uomini in abiti femmili vagavano per la campagna commettendo ogni tipo di scherzi. Venivano addirittura chiamati gwrachod, streghe.


Tratto da "La leggenda di Halloween" un saggio di Marco Valle

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Samhain



💜Halloween Samael Aun Weor

 Misteri di Halloween


La tradizione americana di Halloween è intesa come una diretta discendente della tradizione celtica nel Regno Unito. Secondo questa tradizione il 1° novembre segnava l'inizio del nuovo anno e l'arrivo dell'inverno.

La festa diSamhain("fine dell'estate") veniva celebrato la notte prima del nuovo anno, presieduto dal Signore dei Morti (gallese = Arawn, irlandese = Donn).

 I Celti riconoscevano tradizionalmente una duplice divisione dell'anno, l'estate che andava da Beltane ("fuoco di Bel" = Belenus, Cristo celtico), l'equinozio di primavera aSamhain, (l'equinozio d'autunno) e l'inverno che corre daSamhaina Beltane. Durante questa festa, i Celti credevano che le anime dei morti tornassero a mescolarsi con i vivi e che il cibo fosse lasciato per loro sulle porte.

Per spaventare gli spiriti maligni, le persone indossavano maschere e accendevano falò. Anche grandi figure di vimini furono costruite e bruciate in finto sacrificio.

Nella tradizione essoterica si dice che le figure in vimini rappresentassero uno spirito della vegetazione. Il simbolo della figura con l'aspetto (conchiglia vuota = Klipoth) di un uomo può essere facilmente riconosciuto esotericamente come l'aspetto di un iniziato che deve morire (all'interno dei Fuochi Alchemici / Forgia di Vulcano) affinché il vero uomo possa nascere (spiegato di seguito).


È comunemente inteso che il “Hallow” di Halloween derivi dalla parola anglosassone halig, che significa santo. Nella tradizione celtica i doni sono ulteriormente intesi come correlati agli "armamenti della magia": Spada, Bastone/Bacchetta, Calderone (una degenerazione del calice) e Pietra.

Di nuovo, questi sono simboli immediatamente riconosciuti da chi ha una comprensione dei misteri (es. Spada = il lingam, il fuoco, il principio attivo; Bastone = la spina dorsale illuminata del Maestro; Calice = lo yoni, le acque, il passivo/ricettivo principio; Pietra = la pietra filosofica, le acque di Yesod, il Mercurio della scienza occulta).

Quando i Romani invasero la Britannia, abbellirono la tradizione con una propria dedicata alla dea Pomona, che era anche una celebrazione della vendemmia e un tempo trascorso in onore dei morti.

Anche attraverso un breve studio delle celebrazioni autunnali delle diverse culture si può iniziare a vedere la connessione. Intrecciati all'interno di questo arazzo di pratiche esterne, gli insegnamenti esoterici sono evidenti a coloro che “hanno orecchie per udire”. Il processo della morte in natura diventa la metafora perfetta dell'autunno dell'Iniziato che entra nel “suo inverno di malcontento”. Il seme deve morire in se stesso per germogliare e generare nuova vita. Il seme non può diventare un albero se non cessa di essere un seme


Halloween (All Hallow's Even o "la santa sera") si celebra il 31 ottobre, quaranta giorni dopo l'equinozio d'autunno il 21 settembre.

Anche uno studio superficiale dell'Antico e del Nuovo Testamento della Bibbia cristiana rivela un'apparizione prolifica di questo numero: quaranta giorni del diluvio universale; quarant'anni gli israeliti rimasero nel deserto prima di poter entrare nel “paese del latte e del miele”; quaranta giorni Mosè rimase sul monte Sinai prima di ricevere i Dieci Comandamenti; quaranta giorni Gesù digiunò nel deserto prima di radunare i suoi discepoli; quaranta giorni Golia sfidò gli israeliti prima della sua sconfitta da parte di Davide.

Ma questo simbolo non è esclusivo della tradizione giudaico-cristiana: quaranta giorni Horus lottò con Seth prima della sua eventuale vittoria; Zoroastro ha avuto la sua grande rivelazione nel suo 40° anno; quaranta giorni Buddha rimase sotto l'Albero della Boddhi per raggiungere l'illuminazione; il racconto delle prove di Ulisse nelL'odissea si svolge in un periodo di quaranta giorni. Diventa chiaro che il numero quaranta è un simbolo universale perché vela la stessa Verità universale.


Nel tentativo di comprendere meglio questa Verità, ci rivolgeremo alla tradizione giudaico-cristiana per chiedere aiuto.

Quaranta è il valore cabalistico della lettera ebraica מ Mem . Il carattere Mem è un simbolo dell'acqua (Mosè = משה Moshe = מ Mem (acqua), ש Shin (fuoco), הHei (grembo) = nato dal fuoco e dall'acqua). Nell'esoterismo, l'acqua simboleggia le forze creative che si coagulano all'interno della nona sfera dell'Albero della Vita cabalistico, Yesod ("fondazione"). Queste sono le Acque Genesiache della creazione e della distruzione legate allo Spirito Santo. Ricorda che Shiva (Spirito Santo indù) è il Dio della creazione e della distruzione. Il mondo materiale è distrutto dall'inondazione di quaranta giorni di acqua, che è la stessa acqua di cui Gesù Cristo dice a Nicodemo che deve nascere di nuovo. L'uso corretto di queste acque porta alla creazione dei veicoli dell'anima e alla distruzione dell'ego. Per comprendere il corretto uso delle acque si rimanda alle lezioni intitolate…


Arcano 13 dei Tarocchi

Mentre il valore cabalistico di מ Mem è 40, il valore numerico di Mem è tredici perché è la 13a lettera dell'alfabeto ebraico (13 = 1 + 3 = 4 = 40). Quindi, Mem è anche collegato al 13° Arcano, l'Immortalità.

Uno studio dell'Arcano 13 rivela il rapporto tra morte e rinascita. Illustra la stagione del raccolto (Autunno). Il mietitore raccoglie i valori di ciò che è stato seminato in precedenza, mentre una nuova (e diversa) vita cresce dal terreno fertile della fine del raccolto precedente. Indica un cambiamento radicale, il tipo di cambiamento che può avvenire solo attraverso la morte psicologica del vecchio sé in modo che possa nascere qualcosa di nuovo.


Il numero 40 si riferisce a un lungo periodo di tempo in cui deve verificarsi molta morte (mistica) nelle acque di Yesod. Ma indica anche il mezzo attraverso il quale avviene la morte (mistica): 40 = 4 + 0 = 4; 13 = 1 + 3 = 4. Il numero 4 rappresenta il Quarto Uomo, quello nel Tao, l'equilibrio. È necessario un eccellente equilibrio psicologico affinché la sintesi dei 4 elementi avvenga nelle acque della creazione, Yesod.


Samael Aun Weor

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Tiziana Fenu

Halloween Samael Aun Weor



💜 La "Día de sos Muertos" in Messico

 La "Día de sos Muertos" in Messico


Esiste un luogo in cui la commemorazione dei defunti si trasforma ogni anno, in un coloratissimo carnevale, dove sulla tomba dei cari estinti non si portano solamente fiori, ma anche frutta, dolci e bottiglie di tequila e sulle piazzole dei cimiteri si organizzano allegri concertini in memoria di chi non c’è più. In occasione della festività del 2 novembre il paese dove i morti fan baldoria è il Messico. Qui la parola d’ordine è Allegria!


Secondo la tradizione popolare, ogni anno nel Día de los Muertos (1-2 novembre), i defunti tornano dall’oltretomba per riabbracciare amici e parenti, gustare qualche manicaretto terreno e far bisboccia insieme ai vivi. Per accoglierli come si deve, i familiari decorano le tombe con fiori variopinti, e creano davanti alle lapidi piccoli “altari” privati, chiamati ofrendas, con foto, liquori, sigarette e altri oggetti cari al defunto.


L’altare classico si compone di 7 livelli ed ha forma piramidale. Il primo è dedicato all’immagine del santo a cui si è devoti, il secondo serve affinché al morto sia concesso di attraversare il purgatorio, sul terzo si colloca del sale per purificare lo spirito dei bambini e per impedire che il corpo non si decomponga durante il viaggio, sul quarto troviamo il “pan de muerto” che è offerto come alimento alle anime e che con la sua forma circolare simboleggia il ciclo della vita. Il cibo assume un’importanza fondamentale. Ad esso è infatti dedicato il quinto livello, su cui si pongono gli alimenti e le bevande preferiti dal defunto. Al penultimo incontriamo finalmente la foto di colui al quale è dedicato l’altare ed al settimo troviamo una croce, che serve affinché il morto possa espiare le sue colpe.


Accanto a questi elementi principali, in ogni livello vi sono anche: l’acqua, fonte di vita, che serve a mitigare la sete del viaggiatore, le candele, indispensabili per illuminare l’anima nel suo ultimo cammino ed i fiori, che guidano il defunto. Petali bianchi rappresentano il cielo, gialli la terra mentre quelli scuri purificano il luogo dagli spiriti maligni. Tutto è poi decorato con il “papel picado“, una sorta di carta velina bucherellata. Infine immancabile è la figura del cane Xoloitzcuintle, che ha il compito di rallegrare i bambini prima che giungano al banchetto finale.


Generose ofrendas sono allestite anche nelle case, nei locali e nelle piazze principali. Ce ne sono di ogni tipo, dalle più semplici a vere e proprie sculture d’artista che raffigurano il defunto nelle sue attività terrene preferite. Alcune famiglie lasciano cibo e bevande davanti alla porta di casa, insieme a un cuscino e a una coperta: al suo ritorno così, il morto potrà rifocillarsi e schiacciare un pisolino. Alcuni si accampano tra un sepolcro e l’altro per passare la notte vicino ai propri morti, altri organizzano dei picnic!


Nel calendario azteco la festa dei morti cadeva nel nono mese dell’anno, che per noi sarebbe all’incirca l’inizio di agosto. Le celebrazioni duravano diverse settimane ed erano dedicate a Mictecacihuatl, dea di Mictlan, il regno ultraterreno dove le anime dei defunti finivano subito dopo il trapasso. Furono gli spagnoli nel XVI secolo, a riadattare il culto locale alle festività cattoliche del 1 e 2 novembre, concentrando tutte le celebrazioni in questi soli due giorni.


Per gli antichi mesoamericani la morte non aveva le connotazioni morali della religione cattolica, nella quale le idee di inferno e paradiso servono per punire o premiare. Al contrario, essi credevano che le rotte destinate alle anime dei morti fossero determinate dal tipo di trapasso che avevano avuto e non legate ai comportamenti in vita.

Le direzioni che potevano prendere i morti erano:

Il Tlalocan o paradiso di Tláloc, dio della pioggia. In questo luogo si dirigevano quelli che morivano in circostanze relazionate all’acqua: per annegamento, per malattie come l’edema, la scabbia o le pustole, così come i bambini sacrificati al dio. Il Tlalocan era un posto di riposo e di abbondanza. Benché i morti fossero generalmente cremati, i predestinati a Tláloc erano sepolti, come i semi, per germinare.

L’Omeyocan o paradiso del sole, presieduto da Huitzilopochtli, il dio della guerra. In questo posto arrivavano solo i morti in combattimento, i prigionieri sacrificati e le donne che morivano durante il parto. Queste donne venivano comparate ai guerrieri, poiché  simbolicamente avevano compiuto una battaglia, e venivano seppellite nel patio del palazzo, affinché accompagnassero il sole dallo zenit al tramonto. L’Omeyocan era un posto di godimento permanente, nel quale si festeggiava il sole accompagnati con musica, canti e balli. I morti che andavano all’Omeyocan, dopo quattro anni tornavano al mondo, convertiti in uccelli dalle piume multicolori.

Il Mictlan, era destinato alle morti naturali. Questo posto era abitato da Mictlantecuhtli e Mictacacíhuatl, signore e signora della morte. Era un posto cupo, senza finestre, dal quale era impossibile uscire. La strada per arrivare al Mictlan era tortuosa e difficile, poiché per arrivare a lui, le anime dovevano transitare in posti differenti per quattro anni. Dopo questo periodo di transizione, le anime arrivavano al Chicunamictlán, luogo dove riposavano.

Un aiuto al superamento del percorso veniva offerto da un cane sepolto con il defunto, che lo avrebbe così aiutato ad attraversare un fiume fino al Mictlantecuhtli. Il defunto portava in offerta canne di profumo, cotone, fili colorati e coperte. Chi arrivava al Mictlan riceveva in dono quattro frecce e quattro fiaccole legate con filo di cotone. I bambini morti arrivavano in un luogo speciale, chiamato Chichihuacuauhco, dove si trovava un albero i cui rami mescevano latte. I bambini sarebbero rimasti in questo luogo fino alla fine della razza umana, e successivamente rimandati sulla terra per ripopolarla.

I funerali precolombiani erano accompagnati da offerte che contenevano due tipi di oggetti: quelli che, in vita, erano stati utilizzati dal defunto e quelli che sarebbero potuti servire nel transito all’altro mondo. Per questo l’oggettistica funeraria era molto variegata: strumenti musicali di fango, ocarine, flauti e sonagli a forma di teschi, sculture che rappresentavano gli dei della morte, crani di diversi materiali: giada, vetro, bracieri, incensieri ed urne.

Quando gli spagnoli arrivarono in america nel XVI secolo fusero i propri riti a quelli degli indigeni locali, dando luogo ad un sincretismo che mescolò tradizioni europee e precolombiane. Facendo coincidere il Giorno di tutti i Santi alla festa mesoamericana si creò il Giorno dei Morti.

La festa viene celebrata con musica, bevande e cibi tradizionali dai colori vivi, combinati a numerose rappresentazioni caricaturali della morte.

Miti, ricette, musica e tradizioni. Tutto ruota intorno a lei, La Calavera Catrina, ovvero la personificazione della morte nel folklore messicano. Reso famoso dalle incisioni dell’artista locale José Guadalupe Posada, in origine questo scheletro vestito di tutto punto era una caricatura delle signore dell’alta borghesia messicana di fine Ottocento (Catrina infatti, significa “donna elegante”). Ma è presto passata a simboleggiare la Morte, che non manca mai alle feste, socializza con le sue “vittime” e sorridente ed elegante, le invita a godersi la vita, finché si è in tempo.

Protagonisti indiscussi di questo giorno sono i calaveras, piccoli crani di zucchero colorato, sono i dolcetti più regalati durante il Giorno dei Morti (ce ne sono anche di “personalizzati”, con il nome del destinatario scritto sulla fronte). Calaveras sono anche i finti epitaffi canzonatori composti in questi giorni per parenti, amici, e personaggi politici: questi ultimi vengono “bersagliati” di necrologi immaginari sulle pagine dei quotidiani nazionali. Un’altra prelibatezza messicana: il pan de muertos, una pagnotta dolce impastata con l’uovo, ricoperta con due strisce di glassa allo zucchero. Anche le coppie di fidanzati nel Día de los Muertos si scambiano bare di zucchero con apertura a scatto, contenenti un piccolo scheletro che porta il nome dell’amato. Un modo come un altro per promettersi amore “eterno”!

Nella credenza popolare, anche i defunti come i vivi, hanno i loro fiori preferiti. In particolare si pensa impazziscano per i cempasúchil (Tagetes erecta), fiori arancioni che crescono in questa stagione. Sparsi sul percorso tra le tombe e le case, i petali di questi fiori, soprannominati Flor de muertos, indicheranno alle anime la via del ritorno, evitando che si perdano per strada.

In alcune città si tengono inoltre festival e concorsi culturali e artistici dedicati al disegno, alla fotografia o alla produzione del migliore pan de muerto. Si organizzano anche dei concorsi in cui si sceglie il costume che meglio rappresenta “Su Majestad La Muerte“.

Dal novembre del 2003 il Día de los Muertos è stato dichiarato Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità dall’UNESCO, poiché questa festa è una delle espressioni culturali più antiche e di maggior rilevanza tra i gruppi indigeni del paese.


Tratto dal sito https://www.toatouroperator.it/dia-de-los-muertos/

Tiziana Fenu

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La "Día de sos Muertos"















💜Samhain

 Le due zucche intagliate a foggia di testa ed illuminate internamente mediante la fiamma di un lumino o di una candela sono appunto due lümere.

Complice l'immaginario collettivo, ampiamente plasmato dall'attuale cultura consumistico-globalizzata, in chiunque si trovi ad osservarla è abbastanza facile che la prima associazione mentale evochi le zucche, spesso di plastica che, in modo sempre più sistematico e pervasivo, tappezzano ogni dove in occasione di Halloween.

Ma, prestando maggiore attenzione alla loro espressione si nota che non hanno il classico ghigno infernale, diabolico, bieco, dalle chiare influenze cristiane e che contraddistingue gli attuali manufatti macabro-grotteschi. Il loro piglio ha qualcosa di positivo, di rassicurante, di rasserenante, riflettendo la percezione della morte da parte dei nostri antenati celti.

Più che oggettivazioni di spiriti maligni, di demoni o altre creature pericolose, sono icone dei cari defunti commemorati, che, con un sorriso benevole ed amorevole, vegliano sui propri cari a loro sopravvissuti.

I due frutti cesellati sono inseriti in un contesto ambientale esterno con evidenti elementi, quali le foglie secche, gli alberi spogli e la neve sullo sfondo, che denotano in modo inequivocabile l'autunno, ossia la stagione in cui cade Samhain.

Altrettanto non casuale è la misteriosa bruma azzurrognola che, sfocando il paesaggio, rievoca, indirettamente, un altro caposaldo del vissuto insubre-lombardo: la nebbia.

Nella nostra tradizione la scighera, la gheba, la nèbia, o addirittura il nebiùn, sono, nel contempo, qualcosa di arcano e di ignoto, di oscuro e di preoccupante, di terribile e di affascinante perché, non solo mettono in scacco i sensi umani privandoli del proprio potere percettivo ma anche perché denotano il confine tra il reale ed il sovrannaturale, il velo stesso tra l'Aldiqua e l'Aldilà che si assottiglia sino a divenire permeabile nel periodo del capodanno celtico, rendendo tutto possibile.

 E se, specialmente nella Bassa, la nebbia rimandava al mefitico e letale alito del signore del Mare Gerundo, il drago Tarantasio, con cui uccideva chiunque osasse avvicinarsi al suo regno (ossia alle esalazioni di gas metano nelle zone paludose del sud della regione), per i celti la “boa” (antico termine bergamasco per indicare la nebbia), era l’alito strisciante, etimologicamente lo “spirito”, dei defunti e, poiché al suo interno vagavano gli spettri dei guerrieri morti in battaglia, era oltremodo temuta.

Di conseguenza è coerente che l'intera scena della copertina così come le atmosfere del testo siano imbibite di nebbia, di arcano, della particolare sensazione di horror  sacri che, contemporaneamente, affascina ed atterrisce, magnetizza ed intimorisce chiunque si trovi davanti ai misteri della vita, della morte, della loro relazione e del loro potere.

E se la fiamma che splende nelle zucche è il fuoco della nostra identità, dei nostri valori che illuminano, dando senso e vita alla nostra cultura, alla nostra tradizione, la candela ed il lumino rappresentano ciascuno di noi che, a modo proprio, nella sua unicità e distintività, è comunque portatore e custode del sacro fuoco dell'essenza della nostra gente, della nostra comunità, della nostra civiltà e, pertanto è chiamato a preservarlo ed a consegnarlo, come novello Prometeo, alle generazioni future.


Tratto da "I Libri di Samhain" Ada Cattaneo "L’arcana luce delle lümere". Edizioni Centro Produzioni Moira

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Samhain



🖤Non mi autodefinisco

 Non mi autodefinisco mai.

Sono molto oltre

una semplice definizione.


ByTizyFenu©®

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Igor Morski Surrealist Art

Non mi autodefinisco



🖤La verità

 La verità non la si cerca.

Arriva.


ByTizy©®

#RebelSoul 

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La verità




Ciro Marchetti Tarots

🖤Guardati rinascere

 Guardati rinascere. 

Oltre il riflesso.

Oltre la ferita.

Sei lo specchio,

non il riflesso.


#RebelSoul

Tiziana Fenu©®

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Ciro Marchetti Tarots

Guardati rinascere



💛Navicella nuragica in Calabria

 In Calabria era stata trovata una navicella nuragica che sembra un portaconteiner. 


https://www.vistanet.it/ogliastra/2022/10/29/lo-sapevate-in-calabria-e-stata-trovata-una-navicella-nuragica-che-sembra-un-portacontainer/


Come dimostrano gli studi, i Nuragici portarono avanti numerosi traffici con le altre zone d’Italia, mentre in Sardegna arrivavano prodotti, anche molto pregiati, dal Continente. Sicuramente è stato il caso dell’ambra, giunta da noi dall’Italia peninsulare ma a sua volta proveniente dal lontanissimo Baltico. Come racconta Alberto Caocci nel suo libro “La Sardegna” ( Edizioni Mursia), infatti, ne sono stati trovati dei chicchi nel villaggio di Romanzesu a Bitti ( nel Nuorese) e un’intera, bellissima collana nel nuraghe Attentu di Sassari.


In Calabria, invece, nei pressi di Crotone, a capo Colonna, vicino a un tempio greco è venuta alla luce nel 1987, grazie a degli scavi, una navicella nuragica bronzea di 26 centimetri, che rappresentava in scala una nave mercantile di grandi proporzioni, una sorta di “portacontainer”. Per comprendere quali dovessero essere le sue grosse dimensioni, basta osservare il piccolo spazio occupato dal carro trainato dai buoi, sul lato. Una grande novità per quei tempi, poi, ( stiamo parlando VII-VI secolo a.C.), è rappresentata sicuramente dalle tre murate dotate di grandi finestre, alle quali i passeggeri potevano affacciarsi senza rischiare di cadere in acqua.


La navicella faceva parte dell’insieme di oggetti votivi e doni sacri portati dai pellegrini al Santuario di Hera Lacinia, il cosiddetto “Tesoro di Hera” e che proviene in gran parte dagli scavi condotti sul Parco Archeologico di Capo Colonna. E’ uno tra i reperti più interessanti e misteriosi del Tesoro di Hera, in cui spicca anche il famoso Diadema Aureo.


La barchetta in bronzo – come spiegano gli esperti del Gruppo Archeologico Krotoniate –  è in chiaro stile nuragico e riprende lo stile delle navicelle in bronzo opera della civiltà nuragica, che ha avuto il suo sviluppo autoctono in Sardegna tra il secondo ed il primo millennio a.C., fino all’occupazione (parziale) dei Cartaginesi nel 510 a.C. e poi dei romani nel 238 a.C.


Oggi il prezioso reperto si trova nel Museo Archeologico di Crotone


Tiziana Fenu 

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Navicella nuragica in Calabria





Sulle navicelle nuragiche

https://maldalchimia.blogspot.com/2022/07/navicelle-di-mandas.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2022/10/sulle-navicelle-nuragiche-di-mario.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2022/03/fuoco-di-santelmo.html?m=0

💙Che possa essere..

 Che possa essere

in questa notte di transizione

terra della fertilità. 

Della luna, 

feconda di tutte le memorie

dei miei antenati

che hanno lasciato memoria

dei loro passi. 

Attraverso i profumi

che hanno oltrepassato

le dure zolle

per insufflarmi coraggio

quando ho vacillato. 

Orgoglio per cadenziare

meglio i miei passi. 

Luce interiore

per germogliare

tra le asperità della vita. 

Che possa essere Fuoco 

che purifica. 

Che trasforma la materia. 

Che non resti niente 

di ciò che lascio sulla Soglia. 

Che passi solo la mia Essenza,

emersa dal profondo 

come un vomito 

di lava incandescente. 

Solidità

per costruire arcobaleni

tra la rugiada

di notti avide di pioggia. 

Che possa essere

acqua che fluisce

per dissetare chi dopo di me. 

Per accogliere

ciò che mi è stato traghettato

nel cuore

nell'anima

e nella memoria. 

Che diventi radice

che nobilita

anche le ombre

che sono state rubate al sole. 

Che possa essere Vuoto

di una notte orfana di stelle. 

Per creare 

nuovi firmamenti di Bellezza. 

Affinché possa imparare a cercarla. 

Affinché possa imparare 

a crearla, 

nella mia intima dimensione 

di vuoto e di buio. 

Senza Forma per accogliere. 

Per cedere ai nuovi Intenti. 

Che io possa essere

sinergia di Sole e Luna. 

Di Fuoco e Acqua. 

Di Luce e Buio. 

Di Maschile e Femmile.

Di abbondanza in espansione. 

Che possa essere Seme e Grembo

ed essere terra che accoglie. 

Che custodisce. 

Che restituisce vita 

anche nel buio. 

Dove nessuno vede

lo strappo. 

La chiusura del cerchio

del mio Ade. 

Il mio complementare. 

Che congela 

pur di non distruggere. 

Con la primavera nel cuore. 

Il Fuoco oltre la coltre di ghiaccio.

La Primavera bypassata

dalla mente. 

In perfetta orchestrazione 

di suoni e colori. 

Invisibile oltre il ghiaccio. 

Ma di cui arriva il profumo

in ogni angolo del cuore. 


Tiziana Fenu

©®Diritti intellettuali riservati

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Che possa essere..



💙Samhain 2022

 Nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre, si celebra Samhain, considerato il Capodanno celtico.

Rappresenta il tempo del raccoglimento, della discesa nel nostro intimo grembo, come Semi.

Come potenzialità.

Come Intento.

Come Silenzio.

Come Vibrazione.

Quest'anno  Samhain cade a cavallo tra le due eclissi, delle quali ho già parlato nel mio precedente post.

Tra l'eclissi solare del 25 ottobre, in Luna Nuova in Scorpione, e l'eclissi lunare dell'8 novembre, guidati dai due Archetipi, il quattordicesimo, la Nun, e il sedicesimo, la Ayin, di trasformazione e corrispondenza, che trovano riscontro anche nei due Arcani Maggiori XIV, la Temperanza, e il XVI, la Torre.

E, al centro, la celebrazione dello Samhain, guidato, nella data del 31 ottobre, da un Sacro Archetipo Ebraico Kaf, con funzione "penetrazione", e un Arcano Maggiore XI della Forza, e, nella data del primo novembre, invece, da un Archetipo, il nono, Teth, con funzione "cedente", e un Arcano Maggiore IX, dell'Eremita.

Questi Archetipi e questi Arcani Maggiori, smuovono energie molto potenti, coinvolgendo una Luna Crescente tra Capricorno, Acquario e Pesci, che indica benissimo, il tipo di passaggio energetico che ci coinvolge per questa Sacra Celebrazione.

Una celebrazione che vede Ecate come guardiana della soglia, tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, assimilabile a quella Dea Egizia Heket dalla testa di rana, che ho avuto già occasione di nominare nei miei post, in quanto legata alla simbologia delle acque, del girino e del Seme, qui in Sardegna, che è, essa stessa, il simbolo del Seme, dello stato embrionale, pronto a germogliare.

Questo passaggio di Samhain proprio con Luna in Acquario e Pesci, indica benissimo il tipo di passaggio amniotico al quale ci stiamo preparando.

È un passaggio in solitaria, come indica l'Arcano Maggiore dell' Eremita del primo Novembre, guidati solo dalla nostra Luce interiore.

Abbiamo imparato.

A viaggiare leggeri.

A viaggiare da soli. 

A viaggiare con la nostra sola Forza, come indica l'Arcano guida del 31 ottobre, l'Arcano Maggiore della Forza.

Entriamo, in questi due giorni, nel nostro intimo nucleo, nel nostro Grembo.

I Sacri Archetipi del 31 ottobre e del primo Novembre, la Kaf e la Teth, sublimano questo passaggio così intimo.

Con l'Archetipo 11, la Kaf, con funzione "penetrazione", arriviamo a pentrare la nostra Essenza. La nostra intima Verità, senza più speculazioni mentali, senza mistificazioni di circostanza. 

La Kaf rappresenta infatti la Corona della Realizzazione, la connessione con gli stadi più elevati di Coscienza

La consapevolezza.

La realizzazione.

La Presenza. 

A noi stessi, finalmente, non agli altri, all'esterno, alle circostanze. 

Tra Scorpione e Toro. 

Tra acqua e terra. 

Tra eclissi di Sole ed eclissi di Luna. 

Ma sempre guidati dalla volontà divina di saper stare sul crinale delle soglie, perché sappiamo pentrare, sappiamo scendere in profondità, negli abissi delle dimensioni, delle circostanze di noi stessi, grazie alla nostra Luce interiore, quella dell'Eremita, che attinge Forza proprio da questa sua capacità "penetrativa". 

Non puoi dominare il Leone, come nell'Arcano Maggiore della Forza, se non conosci l'abisso del Leone, le sue fragilità. 

Non puoi arrivare in cima, se non conosci, se non penetri i tuoi abissi. 

Perché ogni debolezza, è per controparte naturale, per Frequenza, anche Forza. 

Si diventa il Dio di sé stessi. 

La Corona, simbolo di questo Archetipo Kaf, simboleggia anche l'ereditarieta. 

Quindi, la connessione con ciò che è già stato karmicamente, energeticamente, a livello genealogico. Il velo che si assottiglia, nella dimensione degli antenati, dei morti, dovrebbe consentirci di aprire una dialettica di pacificazione anche embrionale, amniotica, con i nostri cari. 

Il Seme che ora scende in raccoglimento, in solitudine, oltre la coltre fredda della Terra, in questo passaggio "Acqua/Terra", Scorpione/Toro, tra le due eclissi, immersi nell'elemento Aria dell'Acquario, nella notte del 31, nella sublimazione del nostro "Sacri-ficio", del nostro renderci Sacri", pronti al passaggio di germinazione, è in piena Presenza di sé stessi. 

È pronto per essere Seme, integro, energia potenziale che irradia calore, vita, conoscenza dalla propria Luce interiore. 

Che non teme le circostanze, il terreno avverso, perché è già Grembo e Seme di per sé. 

È come l'Arcano Maggiore della Forza 

Puoi dominare il Leone, perché sei diventato lo stesso Leone, come il Leone Verde che in alchimia mangia lo stesso Sole di cui si è nutrito. 

Perché il Leone è verde? 

C'è un'espressione che lega il verde all'organo del fegato. 

L'Archetipo Kaf, insieme alle lettere Beth e Dalet, forma la parola "fegato", il cui valore numerico, 26, è lo stesso valore numero del tetragramma divino YHWH. 

Il fegato è l'organo dove arriva più sangue, dove si può appesantire energeticamente tutto il corpo, con energie basse che stagnano ( essere verdi dalla rabbia, o dall'invidia, è un tipico modo di dire) o si può trasmutare energeticamente e alleggerire, facendo salire queste emozioni al verde del chakra del Cuore. 

Trasmutare il Seme in Germoglio. 

Cogliere l'umidità e il buio del terreno, come nutrimento, non come possibile fonte di stagnazione, di muffa, di relegazione. 

Il Grembo dell'Archetipo Teth del primo Novembre, è la nostra fucina alchemica. 

È la Corona della Kaf, che diventa coppa, mani aperte pronte a ricevere, in fiducia. 

Sacro Graal di noi stessi. 

L'oltrepassare il limite, la discesa nel buio, è la nostra possibilità di risalita. 

Trovare la vita anche nella dimensione della morte. 

È l'accensione del nostro falò, del nostro Fuoco Sacro. 

Sempre vivo, sempre ardente. 

Viaggiatori tra le dimensioni. 

Tra la vita e la morte. 

Tra la luce e il buio. 

Tra l'essere e l'apparire. 

In una parabola circolare che bypassa la linearità della dimensione terrena. 

Eremiti. 

Ma mai soli. 


Tiziana Fenu 

©®Diritti intellettuali riservati 

Maldalchimia.blogspot.com 

Nell'immagine, "L'Eremita" di Matteo Arfanotti, in sovrapposizione ( aprire l'immagine).

Samhain 2022



domenica, ottobre 30, 2022

💛La tradizione de "Is Animeddasa" nella cultura sarda

 Radici della  tradizione de " Is Animeddasa" nella cultura Sarda. 


Il 2 novembre  si celebra la giornata di Tutti i morti, che qui in Sardegna assume le caratteristiche di una tradizione che affonda le radici in epoche molto lontane. 

La tradizione de "Is paixeddasa" , de "is animeddas", de "su mortu mortu", de su "prugadoriu" (  dipende dalla zona, qui le chiamiamo " Is paixeddasa") ,  prevede la raccolta di dolcetti, caramelle, melagrane e frutta secca, da parte dei bambini che passano di casa in casa per chiedere queste offerte per le anime del Purgatorio. 

Quell'importante elemento conviviale e di condivisione , come può essere il cibo, che lega il mondo dei vivi con quello dei morti. 

In alcune zone si imbandisce  la tavola proprio tra  il 30 ottobre  e il 2 novembre, di notte, in modo che i morti possano simbolicamente beneficiare ancora di quell'amore che nel mondo dei vivi passa anche attraverso la preparazione del cibo. 


Mondo dei morti, con i quali si deve mantenere un buon rapporto amorevole, deliziandoli con frutta secca dalla lunga conservazione, in particolare , melagrane, oppure noci e castagne, come si faceva un tempo. Soprattutto melagrane, la mia preferita in assoluto, che con i suoi arilli color rubino, ricorda la fertilità della Dea Madre, il sangue mestruale che si moltiplica in tante gocce simboliche, considerata la frutta  del Sacro Femminino, rappresentata anche nei quadri. 

Pare che all'interno contenga 613 semi, la cui somma totale fa 10 (6 + 1 + 3), il numero della perfezione Divina. Melagrana come simbolo di fertilità e prosperità, oltre che simbolo di vita oltre la morte. La disgregazione in tanti piccoli semi porta altra vita, come lo smembramento del corpo di Osiride in 72 pezzi, che ha portato alla formazione della Spiga, la nuova vita dell'abbondanza. 

Melagrana come simbolo di  gocce di sangue mestruale, che porta vita e amore, tant'è che era il simbolo di  Afrodite, la dea dell'amore. 

Un frutto sacro anche a  Persefone, la dea dell'oltretomba, poiché il sangue, può essere anche sangue di morte. 

Melagrana estremamente usata anche in Sardegna in rituali per la gestazione per la prosperità, con grandi proprietà astringenti ed emostatiche, oltre che  ad essere usata anche per colorare  le fibre. 


Melagrana, che con il suo rosso scuro, è collegata anche al Mosto dell'uva, con il quale si prepara la saba/sapa , base indispensabile per i tipici dolci sardi per la festività di Tutti i Santi e Tutti i Morti, come il tipico "Pan'e saba" , come le pabassinas, e come is caschettas, e spesso si offriva, specie nella zona del nuorese, sa Pippiedda ‘e tùharu, una bambolina di pasta di semola e zucchero. 

Dolci che simboleggiano un inno alla vita, e che nel contempo onorano la morte, poiché sono collegati al rosso del sangue, come fonte di vita. Morte e sangue  rigeneratore, rappresentato dalle melagrane e dai dolci di sapa, affinché i morti  possano rigenerarsi simbolicamente nella dimensione dell'aldilà


L' Halloween americano che conosciamo tutti, non nasce in America, ma ha origini lontanissime che affondano nella terra  irlandese, con la quale la Sardegna ha profondi legami genetici e culturali. 

Halloween in Irlanda corrisponde allo Samhain, il Capodanno celtico, dove Hallow è la parola arcaica che significa "Santo",  quindi Halloween indicava la vigilia di Tutti i Santi. 

Per i celti il nuovo anno iniziava il primo novembre, quando finiva la stagione calda e si stava maggiormente a casa. 


Infatti Shamuin in in gaelico, significa Summer's end, fine dell'estate. 

In  Irlanda  infatti Samhain, significava festa del sole, in cui la morte era in sintonia con ciò che avveniva in natura, in cui  nella stagione invernale la vita riposa sotto terra, dove riposano i morti. Festeggiavano il 31 ottobre con delle feste con i fuochi sacri nei boschi, a cui partecipavano con delle maschere, lasciando del cibo per i morti fuori dal l'uscio. 

Festa pagane soppiantata dall' avvento del Cristianesimo, il quale  celebra la festa di Ognissanti a Roma, per la prima volta il 13 maggio del 609 d. C., in occasione della consacrazione al Pantheon della Vergine Maria. Festa che poi, da papa Gregorio IV, fu spostata al primo novembre e poi nel X secolo, fu aggiunta la festa di Tutti i Morti il primo novembre. 

Gli immigrati irlandesi in seguito ad una grande carestia a metà del XIX secolo,  trasportarono in America questa tradizione di celebrare i morti, che poi si diffuse tutta l'America sotto il nome di Halloween. 


In Sardegna era  tradizione che la sera di Ognissanti, il primo novembre si accendesse "su lumiu" , composto in modo molto semplice e umile da una striscia di tessuto, una specie di stoppino, imbevuto di olio d'oliva, incastrato in un pezzo di sughero che galleggiava  in un contenitore colmo di acqua, e questo veniva tenuto acceso sino alla notte del 2 novembre. 

Durante la giornata del primo novembre, le campane suonavano "a morto" con un "don" lento, chiamato "s'adoppiu", quello che si usa per i funerali, fino a tarda sera, e i bambini ottenevano di pomeriggio  il permesso di andare a fare is animeddas, di porta in porta, per chiedere un piccolo dono per le anime dei defunti. 

"Seusu beniusu po is animeddasa, mi das fait po praxeri is animeddasa?" 

"Siamo venuti per le anime, mi fai un dono, un piacere, per le anime?" 

I bambini venivano congedati  gioiosamente, dopo aver dato loro molti doni di Madre Terra e dolci fatti in casa con la sapa,  o i dolcetti a forma di ossa di morto, e con una frase di rito, dicendo "po s'anima...", " per l'anima...", e nominando i loro defunti. 

E il cibo ricevuto  lo si condivideva in famiglia dopo averlo benedetto con frasi ritualistiche che poi durante la notte veniva offerto anche all'anima dei morti, poiché si riteneva potessero simbolicamente partecipare a questi banchetti benedetti dalla gioia e dall' allegria di un gesto tanto semplice come il condividere il pasto. 


Dentro le tombe si creavano degli spazi appositi per introdurre liquidi e cibo, e in  Sardegna questi conviti funebri si protrassero per un periodo più lungo rispetto alla loro produzione. Infatti si protrassero sino agli inizi del VII secolo d. C. 

Quindi il rito de "is animeddas", o paixeddasa, o mortu mortu, o prugadoriu, e altri nomi, la questua dei bambini di casa in casa, era, ed è diffuso in tutta l'isola, poiché ha un alto valore sacrale, al di là del giubilo dei bambini per la raccolta. 


Un’altra antica usanza legata al culto dei morti in Sardegna è il rito de *Is Fraccheras" (le fascine). Viene dato fuoco a delle lunghissime e grosse fascine di asfodelo (pianta considerata dagli antichi Greci legata al Regno dei morti e diffusissima qui in Sardegna ) e gli uomini più forti le portano a spalla correndo per le strade del paese, spargendo le ceneri e cercando di non spegnere le fascine. 

Ciò si ricollega probabilmente alla funzione protettiva e purificatrice delle ceneri e questa sorta di prova di coraggio è propiziatoria della buona sorte.

A Seui, infatti, tra il 30  ottobre e il 2 novembre vi è anche " su prugadoriu", con l'esibizione di maschere locali. 

E, legato alla simbologia della zucca come un cranio, vi era un rito, sia in Sardegna che in Corsica: cioè quello prendere i crani dal cimitero per far piovere,  e il cranio in seguito venne sostituito da una zucca intagliata. Ed è per questo motivo che la zucca, e quindi il culto dei morti, in un certo senso è legato anche al dio Maimone, al dio della pioggia. 


Ma per capire bene la simbologia della tradizione de "is animeddasa ", che io preferisco chiamare "is paixeddasa" ( i pani piccoli), visto che dove abito si chiamano così, dobbiamo fare un passo indietro, alla dimensione in cui la morte di un membro della comunità diventa motivo aggregante di partecipazione e di trasmutazione del dolore, attraverso una particolare ritualistica, custodita e officiata dalle donne,  delle, Janas particolari, coloro che avevano "su Donu", il Dono per poterlo fare. 

Coloro che tessevano attraverso il canto in rima, il legame tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. 

Le "attitadoras" 

Legame che vede una continuità attraverso le mani dei bambini, custodi puri, per poi ritornare agli adulti in modo consapevole. 

D'altronde la dimensione  della morte è sempre stata estremamente rispettata in Sardegna.

Ne abbiamo testimonianza  dalla cura che si respira nelle Domus de Janas , nelle Tombe dei Giganti, e in tempi più recenti, alla ritualistica legata al decesso di un familiare o di un conoscente, articolata su un preciso codice ,composto da gesti e  lamenti ripetuti chiamato "Teu",  con protagoniste le donne, che si occupavano della veglia funebre, rito che veniva chiamato  "Sa ria",  con la veglia che era portata avanti dalle "attittadoras", che intonavano lamenti funebri e lodi per il defunto, per enfatizzarne la drammaticità del momento( rito antico diffuso anche in altre civiltà). 

Le "attittadoras" venivano chiamate spesso dagli stessi parenti per cantare le lodi del defunto, e poi venivano ricompensate con beni di prima necessità, con beni prodotti dalla terra. 

Il lamento funebre, "s'attittu",  a volte poteva  virare verso il lamento funebre di vendetta o risentimento, se il defunto era morto per mano di altri, anche solo accidentalmente, e per questo venne scoraggiato e vietato dalla Chiesa, insieme ad altre pratiche pagane. 


Di particolare importanza in questa ritualità, era la gestualità, l'oscillazione corporea , perfettamente consone alla ritualità sonora legata al suono ,al ritmo,  tipica di certe tradizioni sciamaniche che hanno una funzione quasi ipnotica, ripetitiva, simile a quella di certe zone in cui queste antiche tradizioni non hanno perso la loro valenza simbolica , come in ambito arabo-palestinese, o in ambito Africano. 

Ci si provoca intenzionalmente del dolore con urla,  prendendo a pugni  il petto , oppure  graffiandosi  o strappandosi i capelli, per esorcizzare con il dolore fisico, il dolore dell'anima  per la perdita della persona cara


Cosi' come e' stato sempre molto diffuso in molte culture di tutto il mondo. 

Tipico di queste veglie era anche la preparazione del pane "po s'anima", per l'anima,  distribuito proprio per la veglia funebre. Da noi è tradizione "su pan'e saba", un vero e proprio pane a base di sapa , il mosto d'uva,  uvetta, noci e mandorle. 

"S'attittu" sardo è un gesto di enorme generosità  da parte di queste donne speciali che hanno il "Dono", perche le "attittadoras" danno voce e suono a chi è ammutolito per il dolore. 

Infatti "s'accoramentu" è un dolore senza voce , ed e' quello che colpisce chi viene colpito da un lutto. 

Ed è per questo che la parola "accorau"  è così simile alla parola "accorrau". 

Cambia solo quella "r" in più. 


"Accorau" indica chiuso nel silenzio. 

"Accorrau"  invece,  con due "r", significa nascosto, chiuso. 

Due termini che si integrano bene a vicenda e che parlano di discrezione e di rispetto. 

E capire cosa si cela nello stato d'animo "de s'accorrongiu" significava capire anche il metalinguaggio delle parole Sarde, dove le donne in lutto sono "accorradasa", nascoste ,dietro su "muccadori nieddu", il fazzoletto nero  delle vedove, chiamato "cuccuddada",  dentro il quale  respirano con il poco respiro che è loro rimasto per il tanto dolore, con su Muccadori tirato su , fin sopra il naso, quasi a volersi isolare e nascondersi dal resto del mondo. 

Il nome "attittadoras" deriva dal verbo "attittai", che  ha due significati, in sardo. 


Infatti "atttitai" significa sia "attizzare il fuoco" , ma anche "allattare". 

Derivano infatti, entrambi  i significati,  da "titta", il seno,  la tetta. E in questa doppia valenza semantica,  queste donne sarde , "is attittadoras", così come hanno allattato il bambino, così si prendono cura del fuoco della memoria, per mantenere in vita il ricordo del defunto, alimentando quel fuoco che ancora brucia tra i vivi che lo stanno piangendo. Alimentando il ricordo attraverso il canto  in rima che ne esalta il ricordo. 

"Attittadoras"  che si prendono cura dei vivi, dei bambini , allattandoli, e che si prendono cura dei morti, attizzando  ancora il fuoco in modo che loro ricordo non si dispera. 


"Is attittadoras" sono come i "cantadores", quelli dei "muttetus" che cantano in  rima  improvvisata, e così fanno queste donne sacre in assoluta parità, tra maschile e femminile( tutta la cultura e civiltà sarda, come ho scritto molte volte, gravita intorno a questa costante ricerca di equilibrio tra le polarità opposte, è il suo segno distintivo) depositarie del Fuoco Sacro del ricordo del defunto, mentre i cantadores sono i depositari della memoria del collettivo, della comunità in cui sono inseriti. 


Entrambi, sia  Attittadoras che Cantadores, hanno estrema bravura nel trovare la rima tanto perché cantano con il cuore , entrano dentro la situazione. 

Cantano in un modo che viene dal cuore, e danno una nuova valenza al termine "accorau", gli danno un termine positivo, danno voce ad un cuore che è muto dal dolore, che è "accorrau" nel silenzio della perdita. 


Questo è un passaggio, a livello sociale e antropologico, estremamente importante, poiché si fa alleanza e comunità anche nel dolore, e le "attittadoras "si fanno carico del dolore di altre donne, pur di garantire un costante equilibrio della comunità, la continuità generativa, anche difronte a donne che non vogliono più vivere, annichilite da tanto dolore. 

Le attitadoras sono Maestre, sono Janas che curano, sanno alchemizzare.

Sanno portare dentro il dolore, lo trasformano in qualcosa di bello e lo lo restituiscono in canto, in rima , cullando dolcemente il dolore di queste  donne disperate e senza voce, tra le loro braccia, tra le loro parole e canti in versi, in quel gesto de "s'anninnai", del condurre alla nanna il piccolo che piange, attraverso filastrocche in rima, ritmate e accompagnate dalla stessa gestualità oscillante del corpo, del busto, avanti indietro, che concilia uno stato ipnotico lenitivo e rassicurante, terapeutico. 

Che assicura la connessione in un'altra dimensione, dove il dolore si ammortizza. 

Ancora una volta , ci troviamo difronte a donne sciamaniche, che operano in sinergia con gestualità, voce, suoni, cadenze ritmate, come le loro controparti maschili, e che conoscono bene la potenza di stati ipnotici alterati a fini terapeutici , alchemizzanti. 

Le Bithie dalle doppie pupille. 

Il lamento funebre  degli antichi rituali funebri è sempre esistito, nelle società primitive, dove si fanno gesti,  dei canti , seguendo una certa modularità espressiva , e contemporaneamente, intimamente coinvolti nel dolore dell'altro ,dove tutti gli elementi, gestualità, ritmica, canto, improvvisazione, agiscono in sinergia. 

E anche in questo campo bisogna parlare di Dono. Di empatia, detto in termini sociologici


Ma "su Donu" è un qualcosa che va molto oltre questo ,perché nel canto funebre improvvisato, non vi è un godimento estetico, ma una sorta di talento sciamanico nell' entrare in uno stato di percezione alterata che colga il dolore dell'altro. 


Notavo adesso, mentre scrivevo, che tra percezione e perfezione , passa la diversità di una sola lettera, la "c/f". 

Perché percepire, accogliere , prendere "tramite", ci avvicina alla perfezione. Noi umani siamo tramite per il divino, per il mondo ultraterreno, che ci avvicina alla perfezione. 

Il lamento funebre e' un momento catartico per tutta la comunità, per lenire un dolore che altrimenti sarebbe insopportabile

È una tradizione della Sardegna che è stata anche in ambito  celtico, con tutta una  ritualistica che prevedeva la vestizione del cadavere da parte di una sola donna , che aveva la funzione archetipale della Grande Madre  preindoeuropea, di colei che da la  vita  e da la morte , operatrice di trasformazione e di passaggio. Ritualistica celtica, che  prevedeva  dei canti rimati funebri, e da parte degli uomini, festeggiamenti con cibo, whisky e tabacco, il quale veniva insufflato in segno di rispetto sul defunto , come se fosse dell'acqua benedetta necessaria per il traghettamento nell'altra dimensione. 


Anche in Irlanda , vi era in abito celtico, la lamentazione funebre ritualizzata, recitata da una o più donne, che venivano poi ricompensate, e che veniva fatta per lo più in gaelico , incomprensibile ad orecchio inglese, che rendeva libera l'espressione del dolore ,della rabbia, della ribellione , che portava la luce la "verità di un uomo". 

Agli  uomini era riservata l'organizzazione dei "giochi" funebri più leggeri , l'intrattenimento insomma,  come anche il raccontare delle storie che non riguardassero nello specifico la vita del defunto. 

Invece in Sardegna si sviluppa proprio uno stretto legame tra narrazione in versi da parte de "is attittoras" e il defunto. Poiché le attittoras hanno bisogno del defunto , come "s'anninnora " ( la ninnananna) ha bisogno del bambino. Si crea un legame sacro tra attittoras e defunto, perché si cerca di essere le portavoci di tutto ciò che ha vissuto ed è stato, fin da piccolissimo. 

E questo implica assoluta sacralità e un' immergersi totalmente in quella che è stata la dimensione terrena del defunto, anche se non lo si conosceva bene, ed è per questo che le attitadoras hanno il Dono di vedere oltre, di intuire come fosse il defunto in vita. 

Bisogna cantare in rima, e non basta il "saper piangere" bene, ma bisogna anche avere maestria nel trovare le parole giuste e non cadere nel ridicolo, cantando cose non veritiere. 

Le attittadoras ancora praticavano fino agli anni '70 /'80. Avere contatto con la dimensione "altra" sentendo l'anima che ha lasciato questa terra, non è da tutti, ed ecco perché il canto funebre ha un alto valore  attivo, terapeutico  e simbolico. 


Si deve essere Janas, per poter essere attitadoras. 

Bisogna essere delle "jannas", delle porte, dei portali, degli anelli di congiunzione tra il mondo dei vivi e quello dei morti. 

Spesso questi canti funebri venivano annotati a mano dalle stesse attitadoras, come un archivio di suoni, di parole, di grafemi particolarizzati per ogni occasione. 

Gli uomini non potevano partecipare al canto, e anzi stavano in stanze diverse rispetto alle donne. 

Le donne si rivolgevano al defunto con un "coru meu" (cuore mio), a prescindere dalla relazione che avevano con esso. 

Erano donne particolari, le attitadoras,  che mettevano a servizio della comunità non solo le  loro loro doti canore, ma anche i loro talenti in altri contesti, come la preparazione del pane, dei dolci del vino, oltre che Doni sciamanici. Donne capaci, talentuose, che spesso si tramandavano l'essere attittadora, di madre in figlia. 

Una vocazione, una passione, di cui facevano parte anche le "accabadoras", coloro che si occupavano di  "finire"  il moribondo, di fargli finire dignitosamente il ciclo di vita. 

Essere attitadoras, implica molte e profonde capacità. 

Implica velocità di pensiero, velocità nel comporre  rime associative, implica l' avere il senso del ritmo, della bellezza, poiché si dovevano celebrare le virtù del defunto. 

Poiché nel canto delle attitadoras, vi è il racconto, la storia del defunto, un suo memoriale, anche se a volte si esagerava in iperboli o metafore, o figure retoriche che a volte sconfinavano in ridicolo, poiché non corrispondevano al vero. 


E in certi casi il rischio era teatralizzare troppo. 

Gli "attitos", questi canti in versi, erano sacri e benvoluti, e nessuno li ostacolava, poiché erano molto musicali e ritmici, quasi delle filastrocche gradevoli nell'ascolto, musicalmente e ritmicamente parlando, e quel in questo ricordano molto le ninne nanne che si usavano per calmare il dolore dei piccoli, per accompagnarli nel sonno. 

Ecco perché la parola attitadoras rimanda alla parola "Titta" dell'allattare. 

Ecco perché la tradizione di ricordare a onorare i morti, passa anche e sopratutto attraverso i bambini, attraverso la tradizione "de is animeddas" o " paixeddasa" ( i pani piccolini)  in onore dei morti. 


Perché i bambini rappresentano la luce, rispetto alle tenebre del mondo dei morti, e solo loro possono trovare con esso, quel punto di equilibrio giocoso e puro, che sia di canale e comunicazione con loro, intagliandosi  e svuotandosi da soli le zucche, anticamente, per portarle in giro per la "questua" , e riempirle di delizie per loro e per i morti, in condivisione. 

Sapendo che in  esse,  svuotate, dimoravano le anime dei morti, e infatti le zucche svuotate e intagliate  erano chiamate, e ancora oggi, specie nella zona della Barbagia," sa crucuriga a forma conch'e mortu", la "zucca  a forma di testa di morto". 

La zucca come simbolo di trasformazione e rinascita, come la zucca trasformata in cocchio d'oro nella favola di Cenerentola, dove i semi della zucca, sono un simbolo di resurrezione, cioè di passaggio dalla luna nera  alla luna piena, e tracciano il sentiero che, dagli inferi bui del periodo gelido, conduce al cielo luminoso della primavera e dell' estate, con il suo giallo oro che ricorda il sole.


Nell’antica Grecia era adorata una divinità delle zucche,  chiamata Kolokasia Athenai, quindi con  riferimento non solo alla dea Atena, ma anche alla Luna e agli influssi che essa esercita sui cicli di produzione della Terra. 


Non è dunque casuale lo stretto legame tra questo frutto mitico e la Grande Madre Terra, archetipo per eccellenza, dispensatrice di cibo e, in quanto tale, simbolo di abbondanza, di fertilità e di ricchezza.

Le" animeddasa", quindi, sono le zucche svuotate, le rappresentanti, in piccolo, delle anime dei morti. 

Le zucche che poi, di sera, venivano tenute accese, con dei lumicini dentro, per sentire la presenza dei defunti, ancora con loro. 

Per giocare e ridere con loro, come quando si improvvisano tra gli adulti, anche loro, attittadores, e inscenano poi con il gioco, anche tra di loro, le morti finte. 

Perché i bambini attraverso il gioco imparano a gestire bene le cose dei grandi. 

Imparano sin da piccoli a imitare anche le attività delle attitadoras, perché il  loro canto non è dissimile da  "su nannai", dalle ninnenanne, dal cantare una filastrocca per addormentare i bambini, dal  cullare amorevolmente. 

Ecco perché per capire bene la valenza simbolica, antropologica e sociale della tradizione de is animeddasa,   bisogna  affondare la ricerca dal punto in cui parte la ritualistica del rispetto dei morti e della morte. 

Rispetto che è sempre stato presente nella cultura e Civiltà Sarda, e che ha la sua massima espressione proprio unendo e coinvolgendo in questo rispetto anche quelli che saranno gli adulti del domani, proprio i bambini, con la loro purezza e allegria. 

I depositari della continuità della tradizione, che qui in Sardegna sta sopravvivendo più che in altri luoghi, con grande partecipazione. 

Poiché tutte le attività che riguardano il mondo degli adulti sono già  connaturate nel gioco, che creare un mondo immaginario vicino a quello che già esiste in natura. 

Il gioco stesso è cultura, e a volte si insegna il valore della morte da bambini, come se fosse  un gioco segreto. Il gioco di per sé, ha una sua funzione culturale ben precisa. 

Non capiscono bene perché stanno assistendo al rito funebre, ma lo capiscono con il tempo, perché ne assimilano il valore simbolico.  Si impara e si ascolta, e si impara a gestire un avvenimento importante come la morte, e onorarla con rispetto. 


Le risate irriverenti, il dolore,  come il "witz ebraico" , quel moto di umorismo sottile, intelligente e acuto, che nasce nei campi di concentramento, la più alta forma di ironia che nasce dal dolore. 

Si  demonizza  il dolore con una risata pura, come quella dei bambini, e in questa congiunzione  tra il mondo dei vivi e quello dei morti, non può che essere rappresentata dalla purezza dei bambini, che passano di casa in casa a chiedere "is paixeddasa" per l'anima dei morti. 

I bambini sanno intercedere con i morti, allo stesso modo in cui le attitadoras intercedono con loro, per  lenire il dolore dei loro cari. 

Attraverso il canto delle attitadoras  si sta in sospensione tra la vita e la morte. 

Attraverso la risata pura e spontanea dei bambini, che è fautrice di vita, si  è facilitati ad entrare in contatto con il mondo dei morti e si accompagna il defunto in allegria. 

Per questo motivo, spesso  durante "is attitos", arrivava una figura femminile chiamata "sa buffona", che sdrammatizzava nei momenti di forte tensione emotiva. 

Succedeva soprattutto nella Sardegna settentrionale, ed era colei che cercava, con scherzi  e battute, di far ridere i presenti una volta che il defunto  veniva portato via, e in questo senso la risata era terapeutica. 

E questo già rientrava in qualche variante degli attitos, dove si giocava sui doppi sensi, anche sessuali. 

La  risata è interconnessa  con lo sviluppo delle civiltà, e lo stesso  "riso sardonico", a cui dedicherò un post specifico, ne è un esempio. 

Quella risata di beffa e di sfida verso la morte, perché ridendo si crea la vita, e la risata è legata al lato riproduttivo. 

Le relazioni familiari si consolidano attraverso il rito degli attitos, fin da piccoli, dove gli adulti insegnano ai più piccoli a non aver paura dei morti, ad avere rispetto e a continuare a giocare come se fossero ancora vivi. 

In questo, gli attitos si differenziano dalla dimensione dei cantadores, poiché mentre i  cantatadores intrecciano relazioni sociali, economiche e politiche con la comunità, e cantano le vicende della storia della loro comunità di appartenenza,  negli attitos tutto rimane nell'ambito della dimensione intima e familiare, poiché si racconta solo del defunto. 


La partecipazione al rito funebre da parte dei bambini è come un gioco guidato dall'istinto del divertimento, nel cercare anche loro, le rime più consone, il ritmo più adatto. 

Da piccoli non capiscono il valore simbolico della morte, lo prendono come un gioco. Ma è da grandi che poi entra la  consapevolizzazione del  capire cosa significa perdere una persona cara. 

Lo sanno a livello emotivo, ma non a livello culturale e sociale, poiché gli attitos creano legami, e creano continuità nella civiltà, nella società poiché la maggior parte dei bambini sono  portatori puri de "Su Donu", del Dono. Hanno attitudine all'attitus, e notate come queste due parole, " attitudine e attitus", si somiglino, perché è un'attitudine naturale, spontanea, che viene dall'anima, e che difficilmente poi in società, con strumenti "sociali", potrà essere identificata. 

I talenti bisogna portarli alla luce, e per essere portati alla luce, hanno bisogno di sganciarsi dal contesto sociale, a differenza invece di ciò che fanno i cantadores, che attraverso  le loro  rime estemporanee delle cantadas,  creano legami sociali. 

Nell'attitos, si esce dal contesto comunitario e sociale, e si instaura  un legame sciamanico tra  i vivi e i morti. 


Ancora una volta la civiltà della Sardegna si dispiega attraverso questi viaggi che mi prendono nell'intimità di  certe tradizioni che finora avevo vissuto e osservato con occhio fisico,  e si rivelano sotto un sentire diverso, accorato, che viene dal cuore. 

Come se, giunti a questo punto del  percorso, fosse necessario percepire in modo diverso e maggiormente consapevole, ciò di cui siamo stati testimoni. 


Tutto questo mi fa capire come davvero i nostri antichi sardi erano dei Viaggiatori multidimensionale, in bilico  in equilibrio tra gli opposti, tra la vita e la morte, e come costantemente applicassero questa abilità  energetica, ogni giorno, fin da piccoli. 

Un' educazione verso la vita, e verso la morte. 

Morte, che è sempre stata loro alleata, perché è semplicemente un'altra dimensione, che si può affrontare  anche ridendo di qualche attitos azzardato, a doppio senso, e gioendo delle risate dei bambini, limpida e cristallina come l'acqua delle Sorgenti sarde. 


Una risata destrutturante, rivitalizzante, quella bambini mentre si rincorrono di casa, o mentre imbandiscono la tavola anche per loro, per la notte che verrà, e che culla nel suo ventre, le Anime dei morti. 


Tiziana Fenu

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Is Animeddasa nella cultura sarda
















venerdì, ottobre 28, 2022

💚💛Iside romana

  Dal 28 ottobre, in periodo romano, si svolgevano, fino al 3 novembre, le feste isiache, in onore della Dea Iside romana ( https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0QJWpMc4uyvMeXmdbwgWoeJ8bVkwFkNE5J1sb5b8pouKpigXkcG11LWgxfLFVarRjl&id=100028535035054). 

In questa immagine, Iside, la Dea dell'immortalita, molto "romanizzata", non ha più la veste attillata tipica della civiltà egizia, ma ha una veste composta da drappi, tenuti insieme e fermati al centro del petto, dal Nodo di Iside. 

I drappi hanno una linearità ad X, sul corpo, si drappeggiano come una X, con il Tyet centrale, che simboleggia il punto zero, il tratto di unione tra le due polarità, tra maschile e femminile, tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi. 

È la tipica conformazione ad "X", degli esseri alati, divinizzati, come potevano essere, per esempio, gli Apkulli Mesopotamici. 

Iside è considerata anche come traghettatrice nel mondo dell'aldilà. 

Infatti anche il Nodo di Iside ritrovato a Tortolì, qui in Sardegna, è rivolto verso Nord, verso la stella Polare, guida per i naviganti( Iside era anche la protettrice dei naviganti), nella vita terrena e anche dopo la morte. 

Il Nodo Nord e il Nodo Sud, in astrologia, formano un'asse nello Zodiaco che, essendo il risultato dell’incrocio delle corse del Sole, della Luna e della Terra, si può considerare l’asse della Vita e dunque una forza. Rappresentano gli estremi del cammino evolutivo; il Nodo Sud rappresenta il punto di partenza, il Nodo Nord il punto di arrivo. 

Il passato e il futuro. La dimensione atemporale. 

I nodi, lo dice la stessa parola, come simbologia, sono la possibilità, di ricordare e di sciogliere. Un processo alchemico di purificazione nella consapevolezza del ricordo. 

Iside è il simbolo della purezza, quindi suo compito alchemico è anche ripulire il karma, anche dalle incarnazioni precedenti, o dall'albero genealogico. 

A parte la complessa simbologia dei Nodi in ogni epoca e civiltà, i Nodi lunari, sono sempre stati conosciuti e studiati dagli astrologi ed astronomi dei tempi antichi, in quanto erano parte del calcolo usato nella previsione delle eclissi solari e lunari. 

Infatti le eclissi si verificano solo vicino ai Nodi, quando cioè sole e luna si trovano allineati su una stessa retta.

Il nome dei Nodi, anticamente, rifletteva in pieno questa origine, poichè la causa delle eclissi veniva anticamente spiegata come un Drago celeste che si divorava l'astro solare o lunare. 

Quindi il Nodo nord era chiamato Caput Draconis (testa del Drago) mentre il Nodo sud era Cauda Draconis (coda del Drago). 

In alcune rappresentazioni, infatti, Iside è rappresentata come un serpente, come nel culto di Iside e Serapide,  incoraggiato dai Tolomei per creare una sintesi tra gli dei greci e le divinità dell’Egitto e, in seguito con quelle di tutto il Mediterraneo.

Nella mano destra, questa Dea Iside romana, tiene il sistro, lo strumento musicale di origine egizia dalle proprietà magiche, usato dalle dee dipinte e scolpite sulle pareti dei templi e dalle sacerdotesse durante le processioni sacre, le rappresentazioni, la musica.. 

Il sistro è conosciuto fin dai tempi remoti, anche in Sardegna, con il nome di "sciranchizzi", lo "sveglia presto", riferito al sonaglino che si usava per svegliare i bimbi, ma esotericamente rappresenta un risvegliatore di coscienza, con i suoi sonaglini che scuotono, con la vibrazione del suono, attraverso le frequenze, gli stati sottili e più elevati, di coscienza. 

Avevo scritto a riguardo del sistro, in un mio post ( https://maldalchimia.blogspot.com/2020/04/esiste-un-giochino-sardo-chiamato.html?m=0) 

L'Iside romana, tiene il sistro sulla destra, perché sulla sinistra, sul lato del Femminino, tiene una situla, che è una specie di brocchetta che simboleggia il legame del Femminino con l'acqua, la navigazione e la purificazione, per la quale, le abluzioni con l'acqua, erano riservate ai simulacro di ogni divinità, in epoca romana. 

Era diffusa anche la rappresentazione di Iside romana, come polena sulle prue delle navi, essendo protettrice dei naviganti. 

Dal mio post riguardo il nodo di Iside ritrovato a Tortolì, qui in Sardegna, in provincia di Nuoro( https://maldalchimia.blogspot.com/2022/10/nodo-di-iside-tortoli.html?m=0) 

" Il Tyet, o nodo di Iside, è un simbolo che somiglia all'Ankh, la chiave della vita, ma che simboleggia in particolare, l'immortalità, la vita dopo la morte. Un potente amuleto che proteggeva nel corso del viaggio verso l'aldilà.

Viene citato nel libro dei morti, capitolo 156.

Veniva realizzato in diaspro rosso, che è considerata una potente pietra sciamanica, perché rappresentava anche il sangue di Iside, simbolo di vita e di fertilità.

Le braccia del nodo di Iside, si presentano rivolte verso il basso, per non dimenticare il passaggio terreno, e veniva purificato con l'acqua di gelsomino. Assicurava armonizzazione energetica e spirituale. Per avere maggiore energia, lo si doveva legare ad una collana in fibra di sicomoro, che è simile al fico, con dei frutti chiari simili ai fichi. Non so esattamente se qui in Sardegna abbia un nome particolare. 

Resta il fatto, che abbiamo un'importante rappresentazione, in questo petroglifo, di un Sacro Femminino, attraverso questa sagoma, che sembra proprio essere il nodo di Iside, orientato a Nord. 

Nelle rappresentazioni parietali, nei soffitti dei templi Egizi, la dea Iside è connessa alla volta celeste attraverso Reret, rappresentata dalla dea ippopotamo Ipy, una delle versioni di Iside, e la stella Sopedet/Sothis (Sirio).

Reret è raffigurata come un ippopotamo bipede in un modo praticamente identico a Ipy o Taweret , dal quale si distingue per le sue associazioni astrali. Reret è legato a due diversi insiemi di stelle, ma principalmente a una costellazione nel cielo settentrionale corrispondente al nostro Draco. Questa costellazione, a sua volta, è legata nel pensiero egizio ad un'altra costellazione, corrispondente al nostro Grande Carro. 

Questa divinità Ipy, è menzionata nei Testi delle Piramidi 269 §381-382 come colei che nutre il defunto. 

Iside viene così collocata con certezza nell’area vicina al Polo Nord coprendo lo spazio tra la costellazione della Lira e quella di Boöte. A nord, dove c'è la stella Polare, una guida per tutti, durante la vita e dopo la morte".


In questa rappresentazione, Iside ha un fiore di loto sul capo, che simboleggia la purezza e l'elevazione spirituale, la fertilità, la rinascita, l'immortalità, che sostituisce il Basileion, che è il copricapo formato dal disco solare, posto fra le corna bovine, con le due alte piume. 

Poi, questa rappresentazione iconografica, verrà ripresa come "aureola" che cinge il capo della Vergine Maria e dei Santi, così come la figura di Horus, verrà sostituta dal Cristo. 

Sono "impianti" pagani, che resistono nel tempo, a cui vengono sovrapposte le iconografie della religione cristiana, passando attraverso la transizione nel periodo romano. 

Una simbologia straordinaria, quella di Iside. 

Un Archetipo del Sacro Femminino, che viaggia attraverso i secoli e le civiltà. 


Tiziana Fenu 

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Iside romana