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Questo sito nasce ispirato dalla Sacra Divinità dell'Ape, che mi ha amorevolmente guidata alla scoperta di ciò che è la mia Essenza, manifestazione in E come un'ape, prendo il nettare da fiori diversi tra loro, producendo del "miele-Essenza" diversificato. Ma con un filo d'Oro conduttore l'Alchimia nel creare, nell'Athanor della ricerca intima, multidimensionale, animica. E in questa Alchimia, amare le parole nella loro intima Essenza. Soprattutto quella celata. Le parole creano. Sono vibrazioni. Creano dimensioni spaziotemporali proprietà, trasversali. Che uniscono dimensioni apparentemente distanti. Azzardate. Inusuali. Sempre dinamiche Sempre. operose. Come le api. A cui devo ogni mio battito d'Ali. COPYRIGHT ©®I contenuti presenti sul blog Maldalchimia.blogspot.com, quelli scritti ed elaborati dall'autrice, Tiziana Fenu, proprietaria del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti, in qualsiasi forma, se non, riportando nome, ©®Diritti intellettuali riservati e nome del blog,

venerdì, ottobre 14, 2022

💜San Francesco

 Poi venne su per il vicolo un piccolo nugolo di bimbi, sette-otto tra maschietti e femminucce, che procedevano a due a due, giocando alla processione, con ghirlande di foglie intorno al collo e al vestitino impolverato e fiori di campo in mano, ranuncoli e margherite, gerani e salvia, colti senza garbo, per metà spezzati e già quasi appassiti, frammisti a fili d’erba. 

I piedini nudi battevano leggeri sul lastricato; un ragazzo più grande, accanto a loro, dava il tempo coi suoi zoccoli di legno. 

Cantavano, tutti insieme, un breve verso storpiato, eco di un canto religioso, dal ritornello: «Mille fiori, mille fiori a te, Santa Maria…». 

Così, quel piccolo gruppo di pellegrini risaliva il pendio, animando quel vicolo morto di suoni e di colori. 

Per ultima veniva una bimba che si faceva una treccia, tenendo l’altra in bocca, insieme ai fiori, e senza per questo smetter di cantare o mugolare. Dietro quello stuolo, nella polvere, qualche fiore. Anche Francesco aveva canticchiato quella melodia, a lui ben nota. 

L’aveva fatto anche lui quel gioco, centinaia di volte; era stato per molto tempo il suo gioco preferito. Adesso, che era più grandicello e prendeva spesso parte a ragazzate proibite, gli era divenuto estraneo, come la prima innocenza infantile; inoltre, era uno di quei bambini ipersensibili che già in questi primissimi mutamenti dell’anima avvertono, triste e ammonitore, il canto della caducità delle gioie. 

Oggi poi, che aveva deciso di diventare un eroe, quel gioco di bimbi doveva parergli cosa futile e vecchia. 

Guardò passare quei bimbi con orgoglio misto a indifferenza. Poi vide, accanto alla ragazzina dalla treccia sfatta, un bimbo di forse sei anni che teneva davanti a sé, con tutte e due le mani, un unico fiore, spezzato, e procedeva con passo solenne, quasi fosse un alfiere che doveva guadare un fiume, cantando stonato, con gli occhi tondi che irradiavano solennità e devoto fervore. «Millefiori», cantò ardentemente, «millefiori a te, Santa Maria!». 

Al vederlo, Francesco fu improvvisamente colpito dalla bellezza di quel gioco di fiori, o forse dall’impetuoso ricordo dell’entusiasmo, ormai sfiorito, che un tempo quel gioco dava anche a lui. Con un balzo appassionato raggiunse i bambini, fece loro un cenno imperioso e ordinò loro di aspettare un momento, davanti alla casa. Gli ubbidirono – era abituato a comandare, era figlio di un uomo ricco e molto in vista – e aspettarono, con i loro fiori sgualciti tra le mani. Il canto taceva. 

Nel frattempo Francesco correva verso il giardino di sua madre, un minuscolo pezzetto di terra, lungo sì e no quattro passi, faticosamente ricavato e coltivato tra alti muri. C’erano pochi fiori, i narcisi erano già sfioriti e le violacciocche gialle non erano ancora sbocciate. Ma erano fioriti due cespugli di giaggioli violetti. Erano della mamma. 

Gli faceva male al cuore, ma allungò la mano e spezzò quasi tutti quei bei fiori grandi. Gli steli grandi e succosi gli scricchiolarono tra le mani. 

Ne osservò uno, scrutandone il calice bianco laddove il violetto impallidiva e, ordinatamente, spuntavano gli stami gialli e pelosi. Gli dispiaceva molto per i fiori. Tornò indietro e dette a ogni bimbo un giaggiolo. Lui stesso ne tenne uno in mano, si mise alla testa del corteo e partì. 

Entrarono nel vicolo successivo, dove quei bei fiori coltivati e l’esempio del capo, che tutti conoscevano, attrassero altri bambini Molti si unirono al gruppo, con o senza fiori, e nel vicolo dopo ancora degli altri, finché, ormai una grande schiera, non raggiunsero cantando la piazza del Duomo, dove le montagne rosso-azzurrognolo fiammeggiavano contro il cielo dorato della sera. 

«Mille, mille fiori», cantavano; e cominciarono a danzare davanti al Duomo, e Francesco, pieno di ardore, con le guance in fiamme, guidava la danza. I perdigiorno intenti alla loro passeggiata serale e i contadini che rincasavano si fermarono a guardare, le ragazzine lodavano Francesco e, alla fine, una gratificò il desiderio di fare quanto tutte desideravano: si avvicinò a quel bel fanciullo, gli diede la mano e continuò a danzare con lui. Risa e applausi si confondevano, quella processione per gioco era sbocciata in una allegra festicciola, così come sulle labbra di bimba un sorriso infantile diventa impercettibilmente un sorriso di ragazza. 

Ecco perché Francesco d’Assisi fa ancora innamorare. Gente di ogni categoria e papi. Anche se egli, nella sua impareggiabile umiltà – presumo – non avrebbe mai immaginato che un papa del millennio successivo alla sua meravigliosa esistenza si sarebbe ispirato al suo amore per la povertà e per stare all’ultimo posto, come Gesù Cristo, e ne avrebbe assunto addirittura il nome.


Tratto da Gianluigi Pasquale "SAN FRANCESCO La risposta alla domanda che nessuno pone"

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