Gli olmechi rappresentarono una cultura di transizione tra il Preclassico dei villaggi e il periodo Classico delle città, e fiorirono enormemente in un periodo compreso tra il 1200 a. C. e il 400 a. C.
Uno dei siti più importanti è il centro cerimoniale di La Venta: su di un’isoletta vennero realizzati due tumuli e una piramide di terra, alta 34 metri; il centro cerimoniale del complesso era rappresentato da una grande piazza, delimitata da imponenti terrapieni, intorno ai quali furono scolpite quattro colossali teste di pietra di fine fattura.
Anche la più antica piazza per il gioco della palla, la celebre pelota, fu costruita proprio a La Venta. Molto importanti, tra i reperti portati alla luce dagli archeologi a La Venta, sono alcuni specchi di pietra: realizzati in magnetite, ematite e ilmenite, tutti materiali contenenti ferro, sono stati finemente e mirabilmente lucidati; i loro diametri variano tra i 6 i 12 centimetri e non si tratta dei soliti specchi piani, ma presentano una evidente convessità.
La funzione di questi specchi non è certa, ma doveva comunque essere straordinaria: la lucidatura e la convessità ne fanno dei veri e propri strumenti ottici, con focali che vanno dagli 8 ai 57 centimetri.
Se forse è azzardato pensare a degli specchi per rudimentali telescopi, potevano però essere utilizzati per accendere il fuoco e produrre una fiamma rituale, ottenuta dai raggi del Sole.
Non ci sono testimonianze dirette che possano confermare che questo avvenisse, però sappiamo bene che, anche se a notevole distanza, nell’America del Sud, veniva praticato un rito specifico con uno strumento analogo: le principali feste che gli incas celebravano nel corso dell’anno, nella loro capitale, erano quattro.
La festa solenne dedicata al Sole era chiamata Intip Raymi, e si teneva in onore dell’astro subito dopo il solstizio estivo.
La festa ci viene descritta da un testo storico con grande dovizia di particolari, ma un aspetto merita di essere approfondito: la cosa interessante è che il fuoco doveva essere prodotto direttamente dal Sole.
Il fuoco per tale sacrificio doveva essere novellamente acceso, ovvero dato, come dicevano, dalla mano del Sole.
A tale scopo prendevano un grande bracciale, di quelli che chiamano chipana (non diverso da certi bracciali che comunemente gli incas portavano al polso sinistro), onde si ornava il Sommo Sacerdote; ed era di dimensioni maggiori degli altri; aveva, a mo’ di castone, una concavità delle dimensioni di una mezza arancia e perfettamente lustra; lo esponevano al Sole e, in un punto determinato, quello cioè in cui i raggi del Sole riflessi dalla concavità si congiungevano, ponevano un po’ di cotone ben cardato, perché non sapevano fabbricare esche, e il cotone in pochi istanti si incendiava, come sempre avviene in questi casi.
Col fuoco così ottenuto, dato dalla mano del Sole, si bruciavano le parti sacrificali e si arrostiva tutta la carne che quel giorno si consumava.
E lo stesso fuoco veniva portato al tempio del Sole e alla Casa delle Vergini, dove veniva custodito per tutto l’anno.
Tratto da Guido Cossard "CODEX 2027 Il cielo degli aztechi e la fine del mondo" Edizioni L'Eta' dell'Acquario
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