.. È tutto convoglia verso il Sun(inglese:sole/son:figlio) e verso il Sur(sole in antico sanscrito
Sur>Sar>Sardegna.. Sar-cidano, altopiano del Sole.. Sar-tiglia...la festa della fertilità propiziatorie.. E quanti San abbiamo..tutti figli del Sole..
Stupendo articolo del prof. Bartolomeo Porcheddu, autore, ricercatore, ed insegnante di Lingua Sarda
I SARDI FIGLI DEL SOLE
Le popolazioni che si affacciano sul mare orientale della Sardegna sono le prime che vedono l’alba. Quando il sole sorge al mattino, i suoi raggi colpiscono l’acqua e si riverberano sulla terra accecando chiunque cerchi di sfidarli. I pescatori issano le vele prima che gli strali luminosi proiettino la loro forza sui loro visi, così da potersi riparare dietro le “mura” (lato della vela esposto al vento). Intanto, a terra, il gallo annuncia a tutti il nuovo giorno, sollevando la sua cresta in direzione de Sa Luche (la luce) che emerge dal mare sull’orizzonte. Questo è il momento de s’Impuddile, ossia dell’Alba, dove su Puddu, l’Apollo, si veste da Gaddu (Gallo).
I guerrieri sardi avevano messo sul loro elmo le piume e la cresta del gallo per mostrare che erano figli di Apollo o figli del sole che spunta con “sa Die” (il giorno). I copricapo pennuti, insieme a quelli cornuti, erano la loro caratteristica e potevano essere riconosciuti a migliaia di miglia di distanza. Almeno 1700 anni prima di Cristo, i loro elmi adornati dalle penne del gallo venivano impressi in un disco di argilla, a Festo (città nell’isola di Creta), per mostrare al mondo la loro provenienza. Non vi erano luoghi sconosciuti per i Sardi nel Mediterraneo antico e le loro veloci navi potevano risalire il Nilo fin dove l’acqua era navigabile. Nei pressi di Tebe, i loro elmi sono ancora scolpiti sui bassorilievi egizi.
L’imbarcazione del marinaio sardo era simile al suo elmo capovolto, che veniva per questo chiamato “galea”, in origine “galia”, sempre da gallo. Tale termine, considerato che in antichità le consonanti doppie non esistevano e la lettera /l/ trascriveva anche il suono cacuminale [ɖ], espresso nel sardo attuale con la doppia /dd/, poteva trasformarsi pure in “Gàddia”o Gàllia. In Sardegna, da Nord a Sud, erano stanziate sulla parte nord orientale le popolazioni dei Gadduresos (Galluresi) e su quella sud orientale i Galillesos o Gaddilesos. Costoro, inoltre, erano diffusi sul territorio con i cognomi dei vari Gali, Galia, Galistu, Gallistu e Gallus, tutti omonimi del più diffuso sambenadu “Puddu”.
I maggiori porti sulla Sardegna sud orientale a cui afferivano le popolazioni dei Gallilesus erano quelli di Sulci e Sarru. Il primo affacciato sullo stagno di Tortolì, il secondo posto sulla collina di "Cùcuru Santa Maria" presso la cittadina di Villaputzu, nei pressi della foce del Flumendosa, che è il secondo fiume dell’Isola. I Siculesus o Sulcitanus sono nominati nelle iscrizioni geroglifiche egiziane fra i “Popoli del Mare”. Tolomeo nella sua “Geografia” conferma le fonti egizie e colloca i Sykoulensioi proprio nel Sarrabus. I Sulcitani del Sarrabus erano omonimi di quelli residenti nell’Iglesiente ed entrambi dovevano il proprio coronimo al Solco (Surcu) sacro della terra.
L'etnonimo "Siculus" o, meglio, “sulculus”, in cui spesso la liquida /l/ è sincopata, viene generalmente associato al popolo dei Siculi della Sicilia, ma è verosimile che siano stati i Sìculi siciliani a prendere il nome dai Siculi sardi, quando quest’ultimi, ancora nel periodo del Bronzo, erano dominatori del Mediterraneo e pertanto anche delle coste siciliane, dove dalla Sardegna sud orientale si faceva rotta verso Lillybaeum, l’attuale Marsala, chiamata dai Sardi “Lillu” (giglio sardo) su cui è posato il “Baeu” (insetto). Ancora oggi, il cognome Galia è presente nella Sicilia occidentale, proprio a Trapani ed Erice, località direttamente collegate alla rotta sarda dei Galilensi.
Nella famosa “Tavola di Esterzili” (nome della località di rinvenimento), fatta scrivere nel 69 d.C. dal Proconsole romano della Sardegna, Lucio Elvio Agrippa, per dirimere una controversia sul territorio compreso tra San Nicolò Gerrei e Villaputzu, si stabilirono i confini tra i Galilenses e i Patulcenses Campani. Nel caso dei Galilenses è stato facile risalire alle popolazioni stanziate presso l’attuale comune di San Nicolò Gerrei poiché nella Curatoria di Gerrei erano menzionate le ville o le località di Galilla, Galidda, Galigui o Galigliu, tutte riferibili ai Galilenses. Un’altro villaggio medievale di nome Ygali era situato nell’attuale vasto territorio di San Vito.
Per quanto concerne invece l’individuazione della località di residenza del popolo dei Patulcenses Campani (Patulcesium Campanorum), molti studiosi hanno pensato che questi fossero dislocati nel Campidano di Cagliari, ingannati dal nome “Campani” loro attribuito nelle tavole. Altri storici hanno voluto invece collocare i Patulcenses addirittura fuori dall’Isola, nella Campania, e fatti giungere nel Sarrabus in un periodo imprecisato. Tale ipotesi, in realtà, trova riscontro, ma inverso; nel senso che furono i Sardi del Sarrabus a colonizzare in antichità la Campania dando, tra gli altri, il nome al fiume Sarno, che in origine si chiamava Sarru, proprio come il Sarra-busu sardo.
A trarre in errore gli storici è stata sicuramente un’errata trascrizione da parte dello scriba che ha riportato “Patulcenses” al posto di “Putiucenses”, il cui prefisso si legge “Putzu”. A tale proposito, il latinista Enzo Cadoni ha riscontrato nella “Tavola di Esterzili” diversi errori sia di interpretazione sia di trascrizione e incisione. Pertanto, occorre fare qualche piccolo aggiustamento per far tornare i conti. I “Campani” erano coloro che abitavano nella piana. La voce "Campu" in Sardegna è riferita alla pianura, come quella in cui è situata Villaputzu, e trova altri riferimenti nell'Isola nelle località di: Campu Giavesu, Campu Lazaru, Campidanu, Campeda, ecc.
In altre parole, i Patulcenses erano gli attuali Villapuzzesi (Pozzo del paese o città) e i Galilenses le popolazioni della curatoria di Gerrei o Galilla. Infatti, gli abitanti di BiddaPutzu, senza “Bidda” che significa paese, diventano Putzuxesus. La Tavola di Esterzili fu pertanto la risoluzione della guerra intestina tra due popolazioni che si scannavano per qualche ettaro di pascolo, quando in antichità, insieme, avevano conquistato tra gli altri la Campania e la Sicilia. In luoghi e in tempi ben più remoti, i Galli sardi avevano dato i natali alla Gallia Cisalpina e Transalpina, alla Galizia iberica, alla Galilea orientale e alla Galatia anatolica.
Ma i Sardi figli del sole erano anche quelli che abitavano la Sardegna occidentale, dove il gallo andava a dormire. Nel tempio di Antas a Fluminimaggiore era venerato il Sardus Pater (Padre dei Sardi) con l’elmo piumato, come quello di Apollo. Quando nel primo secolo a.C. Marco Azio Balbo, discendente della gens Atia (Atza), padre della mamma di Ottaviano Augusto (chiamato “Tzurinu” prima di diventare imperatore) fece coniare la moneta con l’effige del Sardus Pater, sapeva benissimo che quella divinità con l’elmo piumato era dio eponimo sia dei Sardi sia dei Romani, ma con una sostanziale differenza: in Sardegna era venerato secoli prima della stessa nascita di Roma come urbe.
I Romani chiamavano i loro dei con l’elmo piumato con l’epiteto di “Padri Penati”, tramandando con una corruzione vocalica il nome originario di “Padri Pinnati”, ovverosia con l’elmo “pinnato”. La gens Pin[n]aria (Pinnarza), infatti, a Roma, fin dai primordi, era una potente famiglia di sacerdoti, che lo stesso Cicerone definiva pericolosa per la democrazia della Repubblica perché concentrava nella propria parentela molti incarichi importanti. I Pinna sono attualmente il terzo cognome più diffuso in Sardegna e il primo nel comune di Sant’Antioco e nella provincia del Sulcis dove era presente il più grande tempio dedicato al Sardus Pater, il “Babbai” dei Sardi.
In altre parole, noi Sardi siamo discendenti del Padre “Pinnatu”, che era figlio di Apollo/Puddu, generato direttamente dal Sole per intercessione di Urano e di Gea. Collocata fra i Titani, tale divinità, con un calco greco del sardo-pellàsgico, era stata chiamata in seguito da Omero (Odissea, canto I) “Sole Ύπέριον” (Hypérion), parola composta da Ύπέρ- e da [δ]ιον che traduce letteralmente il “Super Dio”, ovverosia il “Grande Sole”.
“Galana”, donna dei Galilenses, era colei che nasceva dal Sole ed è per questo, ancora oggi, sinonimo sardo della bellezza femminile. A tale proposito, così recita un canto sardo: “Bella so e mi nde abbizo, fintzas mama mi l’at nadu, chi a su Sole m’assimizo” (bella sono e me ne accorgo, anche mamma me l’ha detto, che al Sole rassomiglio).
Maldalchimia.blogspot.com
I figli del Sole. B. Porcheddu
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