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Questo sito nasce ispirato dalla Sacra Divinità dell'Ape, che mi ha amorevolmente guidata alla scoperta di ciò che è la mia Essenza, manifestazione in E come un'ape, prendo il nettare da fiori diversi tra loro, producendo del "miele-Essenza" diversificato. Ma con un filo d'Oro conduttore l'Alchimia nel creare, nell'Athanor della ricerca intima, multidimensionale, animica. E in questa Alchimia, amare le parole nella loro intima Essenza. Soprattutto quella celata. Le parole creano. Sono vibrazioni. Creano dimensioni spaziotemporali proprietà, trasversali. Che uniscono dimensioni apparentemente distanti. Azzardate. Inusuali. Sempre dinamiche Sempre. operose. Come le api. A cui devo ogni mio battito d'Ali. COPYRIGHT ©®I contenuti presenti sul blog Maldalchimia.blogspot.com, quelli scritti ed elaborati dall'autrice, Tiziana Fenu, proprietaria del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti, in qualsiasi forma, se non, riportando nome, ©®Diritti intellettuali riservati e nome del blog,

venerdì, maggio 31, 2024

💛Simbolismo zig zag Guanto Gigante di Mont'e Prama

Particolare decorativo di guanto protettivo di un arciere Gigante di Mont'e Prama( foto di Nicola Castangia) 

Credo che l'elemento a zig zag, che indicava il glifo del geroglifico dell'acqua, in epoca egizia, sia stato ripreso dalla conformazione delle zampe dello scorpione, segno d'acqua, delle acque profonde, misteriche, amniotiche, mnemoniche.

Una simbologia dell'acqua, di potente trasmutazione.

Tre file di zampe..

Nascita, morte, rinascita.

È per opera dello scorpione, anche in epoca più tarda, mitraica, che si compie il sacrificio della Fertilità

Scorpione, antidoto e veleno..

Rinascita, immortalità.

Lo Scorpione è l'ottavo segno dello zodiaco fisso, e i segni fissi sono caratterizzati ad avere il sole nella massima espansione. 

Nel caso dello Scorpione, cadendo nell'autunno già inoltrato, è il simbolo per eccellenza, della morte e della rinascita. 

È un passaggio obbligato, per un nuovo ciclo, che indica una rigenerazione continua. 

Una sorta di immortalità, di cui i nostri Giganti di Mont'e Prama, di cui ho parlato tante volte, sono eccelsi testimoni. 

Essendo l'ottavo segno, anche il numero 8 indica l'infinito, la corrispondenza tra le due dimensioni, terrena e spirituale. 

Il dinamismo energetico tra contrazione, morte, ed espansione, la vita stessa. 

La stessa simbologia dello scorpione, ha questa dualità /complementarietà, il veleno e l'antidoto. 

Nella Cabala  lo Scorpione è collegato al tredicesimo Sacro Archetipo Ebraico Mem, le Acque Madri Cosmiche, primordiali, e al quattordicesimo Archetipo Ebraico Nun, le acque della trasformazione, e quindi, all'Arcano Maggiore XIII della Morte, e all'Arcano XIV della Temperanza. 

La Temperanza indica equilibrio tra le due polarità, tra Femminile e Maschile( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/01/la-regalita-dell-ur.html?m=0), tra Umano e Divino, e i nostri Giganti di Mont'e Prama, essendo esseri divinizzati, hanno già, implementati in sé, questo equilibrio tra gli Opposti, condizione necessaria per accedere alla dimensione divina. 

Infatti la simbologia a zig zag, è riconducibile  alle acque primordiali, elemento caratteristico del Femminino. 

Alchemicamente è il "solve et coagula", lo sciogliere e il coagulare in nuova forma. 

Tra l'altro, la lettera e Archetipo Ebraico Nun, è presente nel simbolo dell'Antica tribù dei Dan( https://maldalchimia.blogspot.com/2020/11/il-simbolo-della-tribu-di-dan.html?m=0), insieme alla lettera e Archetipo Dalet, il quarto, con funzione solidità, che indica la Madre Terra, e, insieme, le due lettere, formano una Tau, il ventiduesimo Archetipo, che indica il Sacro Sigillo degli Iniziati, facilmente identificabile, nei Giganti di Mont'e Prama, anche dalla conformazione a T, dell'arcata sopraciliare e del setto nasale. 

Sono degli Iniziati, sono i Giudici Divini terreni, emissari della volontà divina. 

In questo senso, la simbologia dello Scorpione, si lega anche al Giudizio, che rappresenta la resurrezione dei morti e la rinascita delle anime. 

A livello astrale, la rinascita avviene lungo la Via Lattea, nella quale "Madre Scorpione" che si dice dimori in fondo alla Via Lattea, raccoglie le anime dei morti, ma invia anche i neonati sulla terra.

Via Lattea, importantissima nella nostra Antica Civiltà Sarda( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/03/la-y-taurina-di-ascensione-lungo-la-via.html?m=0), la via di rinascita attraverso i tre Soli( le tre cornici sempre presenti, nelle nostre Domus de Janas) 

Una via di rinascita, attraverso "l'arco del cielo". 

Infatti la simbologia acqua /Scorpione, è incisa sulla mano destra di un arciere, di cui è rimasto soltanto il frammento, nel pugno chiuso, ma che ha gli stessi elementi identificativi, dell'altro arciere con le trecce, più completo, stesso efford sul plesso solare, o forse, come credo, personalmente, era un primordiale quadrato di Sator, un Quadrato del Sinis( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/02/il-progenitore-del-quadrato-di-sator-il.html?m=0), contraddistintivo di questi Sacri Architetti, custodi anche della ruota del tempo. 

Da una preziosa informazione che mi ha passato un mio contatto, Angelo Mazzei Di Poggio, preparatissimo su più fronti, un'egittologa svizzera, Cathie Spieser, ritiene che  lo scorpione sia un fraintendimento, almeno per quanto riguarda la Dea Serket o Serqet. 

L'animale che la rappresenta, simbolo del venire alla vita, sarebbe più precisamente  la nepida (scorpione d'acqua), un insetto anfibio maestro del respiro, del soffio vitale.

Infatti in alcune rappresentazioni appare una Nepeta sulla Dea Serket, la dea Scorpione, protettrice di morti e uno dei vasi canopi dove andavano gli organi del defunto durante la mummificazione

 della quale avevo già approfondito ( https://maldalchimia.blogspot.com/2022/05/la-dea-scorpione.html?m=0) 

"Uno scorpione che è legato astronomicaente, al Solstizio d'inverno, quindi alla discesa autunnale del sole agli inferi. 

Una discesa necessaria per poter poi risalire e far nascere il Sole Bambino invernale che emerge dall'oscurita per portare la luce. 

Una simbologia equinoziale - solstiziale, che ingloba in sé la simbologia della dea morte in senso iniziatico, nel senso che la morte consentiva l'accesso e il ritorno, ad una dimensione spirituale alla quale già si apparteneva prima della nascita.

Scorpione come simbolo di quel Sacro Femminino che domina anche gli abissi e l'oscurità.

Iside che riesce ad evadere dalla prigionia di Seth, dopo la morte di Osiride, accompagnata da 7 scorpioni, la risalita dei 7 chakra, per darle aiuto.

Iside a volte era chiamata lo "scorpione di Behdet" soprattutto insieme ad Horus di Edfu.

Selkit (o Selqet o Serket) era un'altra dea scorpione vicina a Iside.

In una sua rappresentazione, la si vede come una donna sfinge con corpo di scorpione, coda arcuata al di sopra del corpo e testa coronata con le corna e con il disco lunare di Iside.

La dea Iside-Selkit è un aspetto estremamente protettivo della dea, tuttavia sotto queste sembianze ha una natura piuttosto irascibile. 

Era conosciuta nei Testi della I Dinastia delle Piramidi come "colei che apre la gola", cioè  colei che dà respiro a coloro che avevano difficoltà a respirare in seguito al morso di uno scorpone.

Essa prima di tutto esercitava la sua protezione a difesa di Ra, e quindi del Sovrano.

Seth e Horus (Horus venne punto da uno scorpione per mano di Seth) sono due facce della stessa medaglia. Horus solare e Seth tenebroso, lunare. 

Ma anche, e soprattutto androgino. 

Era infatti bisessuale e il suo simbolo di offerta erano i testicoli, mentre Horus era l'occhio, la saggezza. 

Un aspetto del Femminile aggressivo, distruttivo, la dea Kali con 4 braccia, come la rappresentazione dello scorpione. Dea Kali, che era chiamata proprio Dea Scorpione . 

Al Femminino spetta il compito di distruzione e di rinascita. 

Lo Scorpione è un segno d'acqua, alchemico. 

Nella mitologia, Orione, che sta vicinissimo al Toro,  morì a causa della puntura di uno scorpione che Artemide fece uscire dal terreno per aver attentato all'onore delle Pleiadi. 

Ma grazie a questa puntura può attivare la metamorfosi verso un essere spirituale più elevato, come già avevo sottolineato in un mio post, parlando dell'ascensore di Osiride nel mosaico di Pompei(https://maldalchimia.blogspot.com/2021/05/ascensione-osiride-mosaico-pompei.html?m=0) "

Una Nepeta o nepida( casualmente, abbiamo una località, qui in Sardegna, che si chiama proprio Nebida, nel comune di Iglesias), quindi, che è legata anche ad Orione, fulcro importantissimo della spiritualità della nostra Antica Civiltà Sarda. 

Gli inumati di Mont'e Prama sono infatti orientati verso Orione. 

Abbiamo sempre tante tracce egizie, qui in Sardegna.

Una nepeta rappresentata sulla schiena, perché  funge, come il Menat, da fattore sinergico, ibrido, equinoziale tra i due solstizi. 

La nepeta ha la stessa funzione del Menat, la cui forma la si ritrova nei nostri pozzi Sacri e in particolare nel nostro pozzo di Santa Cristina, come ho approfondito tante volte ( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/04/il-menat-portale-alchemico-dei-pozzi.html?m=0 / https://maldalchimia.blogspot.com/2021/11/il-menat-e-santa-cristina.html?m=0) 

orientato ai solstizi. 

Ma è durante gli equinozi, da traguardatore lunisolare quale è, che si verifica il fenomeno dell'ombra capovolta.

Il gemellare, la placenta che si manifesta per la rinascita". 


Come vedete, un simbolo, può manifestare più livelli di lettura e di interpretazione, ma è sicuro, che nella nostra Antica Civiltà Sarda, ogni simbolismo, non è a sé stante, ma è sempre collegato ad altri contesti, pozzi sacri, Domus de Janas, nuraghi, e molto altro. 

Ci tengo a sottolineare che, come avete letto nelle righe sopra, il simbolismo dello Scorpione è strettamente legato a quello del Toro, ampiamente diffuso, in più varianti e chiavi di lettura, ma sempre con una valenza sinergica delle due polarità in dialettica creatrice, e che quindi, implicitamente, in questo simbolismo di acque creatrici e di trasmutazione scorpioniche, presente in questo Gigante arciere, è implementata anche la simbologia del Toro, nella dimensione di esseri divinizzati,  androgini, portatori di entrambe le polarità, che si manifestano in sinergia creativa.

I nostri Giganti, dalle proporzioni auree( https://maldalchimia.blogspot.com/2024/03/proporzioni-auree-giganti-di-monte-prama.html?m=0) 


Tiziana Fenu 

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Nicola Castangia Artist 

Simbolismo zig zag guanto Gigante








 

💙La mortificazione

 La mortificazione del corpo attraverso il dolore è sempre esistita.

Per raggiungere quello stato di Bellezza che va oltre il limite di un corpo martoriato. 

Vuoi che sia bellezza puramente estetica (quanto dolore si sopporta per essere più belli?), sia che si parli di bellezza spirituale, o dell'anima (nell'Ordine dell'Opus Dei, il cilicio è di uso comune). 

La vita, la Bellezza, nascono da uno strappo di dolore anche fisico( basti pensare alle sofferenze del parto), di carne spesso "lacerata". 

Il dolore fisico è necessario in questa dimensione sensoriale. 

Dà l'esatta percezione della frattura dell'Anima

Questo succede anche quando due Fiamme restano separate.

Il dolore fisico spesso funge da importantissimo campanello d'allarme.

Qualcosa non va.

Il corpo ha un'intelligenza sua, in stretta connessione con l'anima, con il nostro Intelletto Superiore.

Il corpo ci parla, ci guida. Non è mai solo materia da "educare".

Da "educere".

Da "tirare fuori" al meglio della sua espressione.

È cellula vivente, con una memoria ancestrale sua, con una sensibilità sua.

Quando l'anima duole, si ripercuote anche nel corpo, in un modo o nell'altro.

Se il corpo fosse silente, ubbidiente, ligio alle regole che abbiamo stabilito per esso, non si potrebbe percepire quell'intima dimensione che sfugge al controllo mentale.

Il corpo fa da sensore.

A volte, certe lontananze si sentono come strappi anche a livello corporeo. 

Guai se non sentissimo il dolore della lontananza, della mancanza.

Significherebbe che potremo stare benissimo anche cosi, e non anelare invece alla Re-Union , a quella completezza di Bellezza, alla quale siamo stati strappati, con un urlo di dolore, con uno strappo all'Anima, necessario per anelare al ricongiungimento, alla completezza. 

E questo succede anche in termini biochimici.

In una condizione di dolore.

Il corpo, per compensare, tende a rilasciare l'ormone dell'ossitocina, chiamato l'ormone della felicità, cosi come si attiva durante il parto e durante il coito. 

Questo spiegherebbe in termini scientifici anche " l'estasi" raggiunta da alcuni santi, proprio in una situazione di sofferenza. 

D'altronde, anche la più naturale delle estasi, è la " piccola morte " dell'orgasmo..

Una separazione momentanea da sé. 

Dell'Amore, in questa dimensione terrena, carnale, sanguigna, se ne deve sentire il tormento e l'estasi, anche fisicamente. 

Non è sufficiente in questa nostra Dimensione, la proiezione amorosa in una dimensione superiore nella quale siamo uniti solo con l'Anima. 

Ci vuole il sangue. E il sudore. E la passione.

La contrazione, il rilascio. Il dolore piacevole. 

Di un coito, di un "essere insieme" anche nella carne. Anche senza coito, ma almeno, sensorialmente. 

E i Santi conoscevano bene questa alchimia esoterica di un corpo che vuole percepire tangibilmente ciò che si sente come Amore. Estatico anche nel cuore. 

Il Corpo è il ponte per il Divino.

La cultura Tolteica insegna. 

Cristo ne è stato testimone vivente.

Altarizzare la materia, la carne, divinizzarla, è la più potente forma di Alchimia che ci è stata concessa, come Creature custodi  e Manifestazione del Divino, proprio attraverso quella che, per contrasto, può diventare la più bassa e meschina manifestazione di noi.

A noi la scelta.

E il Potere di Essere, in totale Bellezza e Pienezza, anche attraverso l'Altro, che ci completa, ci magnifica, ci offre nuove chiavi di lettura e di accesso, per la nostra piena realizzazione. 


Tiziana Fenu

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La mortificazione



giovedì, maggio 30, 2024

💙L'integrazione

C'è una cosa, estremamente bella, che mi sta insegnando ogni giorno, l'essere Donna.

L'integrazione.

In questo ultimo periodo di pressione e limitazioni, mi rendo conto di quanto la "Dimensione Femminea "sia naturalmente predisposta ad una "ammortizzazione ed integrazione " che le è connaturata. 

Sappiamo bene che nel nostro corpo abbiamo dei filtri energetici che funzionano in base alla nostra risposta emotiva ed energetica a tutto ciò che può essere "esterno o l'altro". 

Parlo dei nostri chakra , i recettori della frequenza di quella matrice temporale, attraverso la quale la Coscienza, in questa dimensione, sperimenta il Tempo e la Materia. 

Le dimensioni di consapevolezza di questa matrice temporale, di per sé sono abbastanza armoniche, perché sono comunque un'espressione dell'ologramma della Matrice Divina. 

Imparare a mantenere costante questo flusso di energia tra tutti i sette( e più) chakra , significa non solo integrarli tra loro, ma integrare anche mente, corpo e anima per espandere in Coscienza. 

Interrompere il flusso progressivo tra l'uno e l'altro, di espansione, significa creare distorsioni e malfunzionamenti nella percezione dell'esterno, e quindi anche di noi stessi. 

Amplificare la funzionalità di un chakra, o demonizzarne la valenzia primaria, senza integrarlo totalmente, anche nei suoi aspetti più densi e materici, significa demonizzare, ignorare, dividere, e quindi non avere padronanza di quella stessa capacita alchemica di trasformare e trasmutare. 

Il Femmineo accoglie.

È come un grande grembo alchemico.

Accoglie le memorie, i dolori, le sofferenze, ma anche le gioie, i progressi. Non ti fermi al primo figlio, se resti cristallizzata al dolore disumano del parto.

Amplificare le memorie del dolore, o emozioni come risentimento, rabbia, desiderio, soppravivenza, o al contrario , mortificarle,  ignorarle, non fa che frammentare e amplificare la divisione tra i nostri chakra, che sono vasi comunicanti, e della nostra stessa consapevolezza, che quindi si ripercuote nella nostra Coscienza

Così, in questo modo, si creano false identità che portano ad uno "sfrequenziamento"  sia con la Matrice Divina , che tra gli stessi Umani. È come mescolare la banda di frequenza del colore tra un chakra e un altro. 

Non vi è predominio del singolo, ma un continuum energetico, in fluidità ed integrazione. 

Come le sfumature dell' arcobaleno, che sfumano tra di loro. 

Ritenere anche uno soltanto dei nostri chakra, come appartenente ad un livello inferiore, è blasfemia. 

Compreso, e partendo, dal chakra della Radice che funge da connettore con Madre Terra, e nucleo propulsivo dei nostri bisogni e istinti primari. 

Da alchemizzare e sublimare

Non da ignorare. 

Perché l'Athanor alchemico è proprio la materia. Si parte sempre da essa. 

Senza ignorarla, ma integrandola, in modo che sia connettore, punto di partenza, e non solamente "stazione di soggiorno " dove facciamo stagnare la nostra individualità. 

Ci sono istinti primordiali mossi dalla paura. 

Ma la paura è appresa. 

Deprogrammare questi meccanicismi comportamentali significa liberare l'Umano da ciò che non gli e connaturato, e riportarlo alla nostra frequenza originaria, quella della Matrice Divina. 

Quella dell'Amore.

Non è ignorare cosa succede. Né ignorare quel che ci smuove dentro a livello primordiale, ancestrale. 

Si tratta solo di non allentare la connessione di frequenza con la nostra Anima e la nostra Coscienza. 

E non creare divisioni e frammentazioni. Come un grande Grembo. 

Riconosco. 

Accolgo. 

Benedico.

Setaccio il vero, dall'illusione. 

Alchemizzo e metto al servizio del mio percorso in progressione verso il miglioramento e l'integrità. 

Non verso la divisione. 

Io sono tutto ciò che è molto oltre anche me stessa.

Sono molto oltre la mia rabbia, la mia frustrazione, la mia delusione, il mio desiderio sessuale, la mia paura. 

Non mi identifico in esse.

Non le amplifico. 

Non mi cristallizzo in una, o più, di esse. 

Un diamante riluce grazie a tutte le sue sfaccettature. 

Tutte. 

Singolarmente  non possono nuocermi. 

Non mi rappresentano, singolarmente, ma nella loro totalità.

Non possono dominarmi. 

Non ne hanno motivo. 

Le ho integrate dentro me. 

Le assecondo e fluisco in loro. 

Mi "con-sento " di "sentire-con" loro, e di percepire integralmente me stessa. 

Senza divieti, costrizioni, divisioni o amplificazioni. 

È un bel gioco. 

Il gioco ad essere me stessa. Mi creo continuamente , con fluidità, senza divisioni ,costrizioni o attaccamenti.

Mi fido di me. 

Perché mi scelgo ogni giorno. 

Perché la fluidità che sento in me è come un vento caldo che scivola lungo le colonne del mio Sacro Tempio. 

Ho il mio Fuoco Interiore. 

Non teme il vento

Il mio tempio non ha porte né finestre. 

Vi si soggiorna per frequenze. 

Perché io sono energia, emozione, battito. Frequenza. 

Sono esattamente ciò che sono. 

Impronta di quella Matrice Divina che ci ha creati, dal primo all'ultimo chakra. 

Nella frequenza dell'Amore e della Bellezza. 

E in essa voglio restare. 

Voglio continuare ad Essere. 

Stai. 

In gratitudine e consapevolezza


Tiziana Fenu

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💜30 Maggio San Giovanna d'Arco

 30 Maggio San Giovanna d'Arco


Il Medioevo, il tempo dei castelli e delle cattedrali, dei monasteri e delle università, vide splendere al suo declinare una straordinaria figura: Giovanna d’Arco. 

La martire francese, per mano inglese, affascinò lo studioso anglo-francese, che portava in sé il retaggio di due storie e due popoli a lungo ostili, risolvendo l’apparente contraddizione all’interno dell’esperienza della Fede. 

Belloc dedicò a Giovanna d’Arco il saggio che qui presentiamo, pubblicato nel 1929. Questa breve vita della Pulzella d’Orleans, scritta con una prosa elegantemente arcaica, curata e luminosa come una miniatura medievale. 

Mai come in queste pagine Belloc riesce a trasmettere, con la consueta sobrietà e senza indulgere alla retorica, l’esperienza affascinante e sconcertante della santità, della Fede pienamente vissuta. 

C’erano più motivi per cui Giovanna diventa l’oggetto della riflessione e dell’ammirazione devota di Belloc: lei è l’eroina della Fede e della libertà, una contadina che sfida la diffidenza dei grandi di Francia e dei nobili d’Inghilterra; lei richiama il delfino, il principe ereditario, a far fronte ai suoi irrinunciabili doveri di fronte a Dio e di fronte al popolo francese; lei è la combattente per il diritto della Francia contro gli oppressori inglesi; lei affronta un’ingiusta accusa, un ingiusto processo, una morte ingiusta e terribile. Per Belloc, metà inglese e metà francese, Giovanna è un segno di contraddizione, scandalo e follia; per lui, cattolico in una società ostile al cattolicesimo, Giovanna è la fede dei semplici, conservata con gioia e ardore da una ragazza di uno sperduto villaggio, povera ma dal cuore puro. Giovanna è, soprattutto, la donna della pietà, che non conosce paura. 

Pietà per il proprio popolo umiliato, pietà per un regno senza un re, pietà per le colpe e le mancanze dei suoi compagni d’armi, e per l’uomo che diventa re tra dubbi e viltà. Pietà per la Fede trascurata, dimenticata, per i cuori induriti, che lei scioglie con la preghiera e con il suo esempio. 

Pietà per se stessa, per una giovane donna chiamata a un destino tanto più grande di lei. 

L’eroismo di Giovanna non è solo quello mostrato sul campo di battaglia, o davanti al tribunale dell’inquisizione, ma in primo luogo quello dell’obbedienza alla chiamata, quello della fiducia in un Dio che la voleva lontana dal suo villaggio, rivestita di un’armatura, a fianco degli astuti potenti. Ancora una volta nella storia della Fede la grandezza di una donna sta nel suo fiat. 

Di fronte alla domanda dell’Arcivescovo Regnault, che le chiede dove crede che morirà, Belloc fa rispondere a Giovanna: “Quando Dio vorrà. Il luogo e l’ora non li conosco più di te. 

Ah, se Dio mi permettesse, ora, di deporre le armi e tornare da mio padre e da mia madre, per servirli e pascere le loro pecore!”. Infatti in cuor suo vedeva la valle dove era nata e la giovane Mosa scorrere lì accanto. 

La sua pietà e la sua santità non sono riconosciute dal mondo; non lo sono da parte di un uomo di Chiesa, un vescovo ambizioso e predisposto – per paura e mancanza di fede – al compromesso con il potere. 

Lo sono invece dalla turba di miseri che assistono straziati dal dolore al suo martirio, e che si vide negare persino le sue reliquie, quelle ceneri del terribile rogo che si diede ordine venissero disperse. “Così”, scrive Belloc con sobria commozione, “furono gettate nella Senna le ceneri di quella Vergine – e il suo cuore – che il fuoco non aveva consumato”.


Tratto da : Hilaire Belloc "Giovanna d’Arco La guerriera di Dio" . Paolo Gulisano Fede & Cultura Editore

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Sir John Everett Millais "Joan of Arc" 1865

San Giovanna d'Arco



💚Statuina Jiroft

 Splendida statuina della civiltà di Jiroft, del III millennio a.C, sviluppatasi nell' Iran sud orientale.

È una statuina che enfatizza la ricercata femminilità nelle decorazioni.

Il copricapo decorato nel bordo, che segue l'arcata sopraciliare, decorato con linee trasversali che confluiscono al centro, ad indicare la "V" della vulva femminile.

I capelli, morbidamente ondulati, che confluiscono, quasi come due serpenti, enfatizzando la simbologia del Femminino, al centro del petto, tra i due seni.

Le braccia sono appena accennate, come una dea Tanit in equilibrio armonico e in raccoglimento( gli occhi infatti sono chiusi, sono stati rappresentati come due fessure).

Lungo la linea mediana che parte dal centro dei due seni, fino all' ombelico, viene rappresentato un motivo a spiga, chiaro simbolismo di fecondità e abbondanza.

È stata rappresentata proprio sul terzo chakra del plesso solare, quello della propria realizzazione personale., di una eventuale gravidanza, e dell'abbondanza in generale.

I fianchi hanno una rotondità tipica della simbologia della fertilità, della capacità di generare, di avere dei figli.

Si evince che possa essere una sorta di Venere o dea Madre della fertilità perché, oltre queste simbologie, e precise rappresentazioni stilistiche, sopra la linea del pube, presenta tre linee parallele che indicano, nella loro simbologia numerica, il Sacro Tre della creazione.

Infine, il pube, è sottolineato da un elemento triangolare, che indica la vulva, e degli elementi decorativi, sia

all'interno, che sul lato superiore, dei quali è difficile, vederne la forma nel dettaglio.

Una bellissima e armoniosa dea Madre, che simboleggia abbondanza, con i seni e i fianchi morbidi, e con una espressione di assoluta armonia e regalità.

(cliccate sull'immagine per vederla per intero) 


Tiziana Fenu


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Statuina Jiroft



martedì, maggio 28, 2024

💛Triplice cinta Domus de Janas Ochila, Ittiri

 Prendo spunto da una foto in un post  del ricercatore Alessandro Bruno (https://www.facebook.com/share/p/iTX23SezacW3VifB/) in cui viene ripreso frontalmente l'ingresso della Domus de janas di Ochila, Ittiri, in provincia di Sassari. 

Di Ittiri, ho già avuto modo di parlare, poiché lo ritengo un luogo Sacro, particolarmente attento, come tutta la nostra Antica Civiltà Sarda, alla sinergia degli Opposti 

Non mi dilungo riguardo le occasioni in cui ne ho parlato, ma vi lascio i link a riguardo 

https://maldalchimia.blogspot.com/2022/04/costume-ittiri-e-gigante.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2022/08/san-lorenzo-e-bronzetto-ittiri.html?m=0


E poi, attraverso questa immagine, noto un simbolo importantissimo. 

Non avevo mai notato finora, che, in prospettiva, l'ingresso quadrato  delle Domus de Janas, potesse rivelare, insieme alla falsa porta difronte, che ha già, una sua specifica simbologia( https://maldalchimia.blogspot.com/2022/04/allineamento-domus-sincantu.html?m=0) la simbologia della Triplice Cinta.

Una simbologia importantissima, ricca di significato, di cui avevo accennato l'interpretazione di Guénon.

Come se ci fosse una multidimensionalita' che si rivela, appena si varca la soglia, ma che, vista in prospettiva, dall'esterno, appare come una "mappa Mundi".. 

Riporto l'interpretazione di Guénon 

(https://maldalchimia.blogspot.com/2021/07/guenon-la-triple-enceinte.html?m=0) 

Guenon ha spiegato  il simbolismo ricordando che esso è la rappresentazione dei tre gradi di iniziazione presenti in ogni scuola esoterica. Si tratterebbe, cioè, di una rappresentazione della gerarchia, ed anche la scuola Druidica non faceva eccezione. Questa interpretazione si ricollega quindi alla tradizione celtica secondo cui si tratterebbe dei tre cerchi che indicano la vita e l’esistenza, analoga ai "tre mondi" della tradizione Hindu. Anzi, in questa tradizione all'interno dei tre cerchi è spesso rappresentato il Meru, la "Montagna Sacra", che indica il Polo o l'Asse del Mondo. Le due interpretazioni, secondo Guenon, non sono in contrasto tra loro, ma anzi si completano e si armonizzano l'un l'altra, giacché nel caso di una vera iniziazione ciascun grado corrisponde ad uno stato dell'essere, e questi stati, in tutte le tradizioni, vengono raffigurati come "mondi" differenti. Da questa interpretazione, il significato delle quattro linee arrangiate in forma di croce che connettono le tre cinte appare chiaro: essi sono i canali attraverso i quali l'insegnamento della dottrina tradizionale viene impartita a livelli successivi di approfondimento, fino a giungere nella parte centrale, che rappresenta il sapere supremo, la fonte stessa dell'insegnamento.

C'è una certa differenza, fa notare ancora Guenon, tra la forma circolare e quella quadrata delle triplici cinte, collegate rispettivamente al Paradiso terrestre ed alla Gerusalemme Celeste. In effetti c'è sempre una corrispondenza tra l'inizio e la fine di ogni ciclo, ed in questo caso la fine del ciclo è rappresentata dal quadrato. È la realizzazione di ciò che la Scienza Ermetica ha sempre indicato come "quadratura del cerchio": la sfera, che rappresenta lo sviluppo delle possibilità attraverso l'espansione del punto centrale primordiale, si trasforma in un cubo quando lo sviluppo si è completato ed è stato raggiunto un punto di equilibrio per il ciclo considerato. Nel contesto più specifico della triplice cinta, la forma circolare rappresenta il punto di partenza della tradizione (e qui si ricollega il mito di Atlantide), mentre il quadrato è il punto di arrivo, corrispondente ad una forma tradizionale secondaria. Nel primo caso, quindi, il centro della figura rappresenta la sorgente della dottrina, nel secondo, il centro rappresenta il contenitore, il serbatoio ove il sapere viene conservato. Per questo in molte delle rappresentazioni simboliche della triplice cinta compare al centro della figura un punto ben marcato.

(René Guénon, "La Triple-Enceinte druidique", in «Le Voile d’Isis», Giugno 1929) 


Il Meru

Su Meru

Sumeri

Tante corrispondeze che ho spesso sottolineato

I Sacerdoti druidi sono legati agli antichi Celti, i Tuatha de Danaan, con i quali abbiamo moltissime affinità, come ho già sottolineato altre volte. 

È un simbolismo legato alla dimensione del viaggio, legato anche al simbolismo del tris, alquerque e scacchiera, di cui abbiamo straordinario e archetipale esempio, che ho già approfondito più volte ( https://maldalchimia.blogspot.com/2024/04/locchio-di-horus-e-la-scacchiera-di.html?m=0) 

Ma il simbolismo si perde lontano nel tempo, perché in molti hanno trovato una corrispondenza della Triplice Cinta con la pianta circolare della capitale di Atlantide, Posidonia. 

Esotericamente, infatti, cerchio e quadrato, rappresentano i piani della stessa realtà, spirituale e terrestre. 

Nel quadrato ci sarebbe una sorta di Mappa Mundi, con i tre quadrati che rappresentano il mondo terrestre, quello del firmamento e quello divino, il più interno. 

Anche la Gerusalemme Celeste descritta nell'Apocalisse di Giovanni  venne rappresentata con tre cinte murarie, così come il tempio di Salomone. 

Apocalisse nella quale, 12 angeli, in corrispondenza simbolica con i 12 apostoli, sono a guardia dei 12 portoni dell'apocalisse, tre porte per ogni versante. 

Mura alte 144 braccia, costruite con diaspro e oro. 

Sappiamo bene, come il numero 12, nella nostra Antica Civiltà, sia considerato Sacro, parametro anche della numerologia del nostro pozzo Sacro di Santa Cristina, fi cui ho palato tante volte. 

Pare che la presenza di una “Triplice Cinta” indicherebbe un luogo, fulcro di grandi energie magnetiche, cosmiche, portati a manifestazione, da Sacri Iniziati, che contrassegnavano questi luoghi come se fossero degli "omphalos", degli ombelichi di Madre Terra, dei punti cruciali in cui le energie erano molto forti. 

Anche questa Domu de Jana di Ochila, presenta delle particolarità interessanti, che potete vedere nella foto galleria del sito Nero Argento ( https://www.neroargento.com/page_galle/ochila_gallery.htm) e nella seconda e terza foto, di Paolo Lombardi, che ho postato

Ha lo stesso soffitto a forma di "carena", sterno, in sardo, o anche carena, inteso come il fondo di una imbarcazione, che indica, come già avevo sottolineato tempo fa( https://maldalchimia.blogspot.com/2023/01/le-domus-de-janas-non-sono-capanne.html?m=0) un'imbarcazione celeste, in cui si manifesta l'afflato divino della rinascita, di cui le Janas, come Femminino, forma dell'energia mascolina, sono custodi e manifestazione. 

Dei luoghi fortemente alchemici, di trasmutazione, in cui il simbolismo del tre, già indica, una dinamica di "nascita/morte rinascita", enfatizzata da questo simbolismo ben presente, che unisce le due dimensioni del portale d'ingresso e di quello all'interno. 

Quasi costituissero, con la loro sinergia, strettamente collegati tra loro, una dimensione "altra" , un grembo alchemico in cui è possibile la trasmutazione. 

Un grembo orientato, nel suo ingresso, all'alba del solstizio d'inverno, periodo di lunistizio minore. 

Quindi c'è anche questa corrispondenza, tra Luna e sole, nel loro periodo di minima espressione, perché il grembo alchemico necessita di raccoglimento, di penombra, per poter rigenerare la vita. 

Una porta del tempo, che connette la dimensione astrale con quella terrena. 

Infatti si potrebbe trovare anche un collegamento astrologico con le stelle, in quanto le otto linee inscritte nel quadrato formano lo schema che anticamente rappresentavano lo Zodiaco. 

Luoghi sempre con particolari sacralità telluriche o magnetiche, con  forti energie cosmiche, che si potrebbero amplificare in  una preghiera corale. 

Sicuramente, visto gli studi di archeoacustica negli ipogei, di cui ho parlato tempo fa ( https://maldalchimia.blogspot.com/2020/09/archeoacustica-degli-ipogei-in-sardegna.html?m=0), vi erano frequenze altissime, in questi luoghi. 

Caratteristica dei tre recinti è quella di essere attraversati da quattro linee, disposte a forma di croce, che sembrano collegare le tre cinte fino a raggiungere, al centro, il perimetro del quadrato più interno.

In Sardegna si trovano tracce della Triplice Cinta, anche in altri luoghi, per esempio nella Chiesa romanica di Santa Maria Maddalena, a Chiaramonti, nella Chiesa di Sant'Antioco di Bisarcio, nella Chiesa di 

Zuri (Ghilarza, OR), a Bulzi (SS), a Martis (SS), nella Chiesa di Sedini (SS), a Chiaramonti (SS).. 

Ma sappiamo bene, che le chiese furono edificate in prossimità di questi luoghi sacri, già traguardati dai nostri Antichi Padri e Madri. 

Naturalmente, ciò che si manifesta dal punto di vista di un osservatore esterno, è una Triplice Cinta che non è visibile in modo manifesto, ma è veicolata da una prospettiva che rivela, solo ad un occhio attento, poiché è un simbolo sacro, e come tale, va custodito. 

Magnifica terra, la nostra, piena di segreti, sacralità e discrezione. 


Tiziana Fenu 

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Prima immagine, Alessandro Bruno( https://www.facebook.com/share/p/iTX23SezacW3VifB/) 

Seconda e terza immagine, Paolo Lombardi

(https://www.neroargento.com/page_galle/ochila_gallery.htm) 

Triplice Cinta, Domus de janas Ochila, Ittiri
















💛Pompei/Sardegna

 "L'analisi del Dna mitocondriale e quella del cromosoma Y, hanno inoltre permesso agli scienziati di "identificare gruppi di geni trovati negli abitanti della Sardegna, ma non in altri individui vissuti in altre zone d'Italia nella stessa epoca"


Lo studio, primo nel suo genere, pubblicato su "Scientific reports". L'uomo vissuto 2000 anni fa forse originario della Sardegna, ed affetto di una malattia simile alla tubercolosi

Pubblicato sulla rivista scientific reports, uno studio sul Dna di un uomo vissuto a Pompei, vittima dell'eruzione del Vesuvio del 79 avanti Cristo: la lava ha conservato intatto il patrimonio genetico. Aveva tra i 35 ed i 40 anni e soffriva di una malattia simile alla tubercolosi, probabilmente originario dell'Italia centrale: per la prima volta gli studiosi sono riusciti a leggere il Dna di uno degli abitanti di Pompei vissuti più di 2000 anni fa. Il risultato dello studio apre la strada ad altre ricerche in questa direzione.


Si tratta di una "prima assoluta", perché finora erano stati analizzati solo frammenti del Dna mitocondriale (cioè il codice non contenuto nel nucleo delle cellule, prelevato in precedenza sia da esseri umani che da animali di Pompei). "Il Dna era molto degradato ma siamo riusciti comunque ad estrarlo", così il coordinatore della ricerca, Gabriele Scorrano, dell'Università danese di Copenaghen e dell'Università di Roma Tor Vergata.


L'eruzione del Vesuvio aveva raggiunto l'uomo mentre si trovava nella casa del fabbro, in compagnia di una donna più anziana sui 50 anni, per la quale non è stato possibile fare un'analisi genetica: "Il loro stato di conservazione era ottimo, non devono essere venuti a contatto con temperature troppo elevate - ha detto il ricercatore - ed è probabile che la cenere vulcanica che circondava i due corpi, abbia creato un ambiente privo di ossigeno: un gas che è un catalizzatore di reazioni, che in questo modo si sono rallentate molto".    

Nello scheletro dell'uomo vissuto 2000 anni fa, identificate lesioni in una delle vertebre. Nella mappa genetica, sono presenti sequenze simili a quelle del batterio responsabile della tubercolosi (il Mycobacterium tuberculosis), il che suggerisce ai ricercatori che probabilmente l'uomo soffriva di "spondilite tubercolare" (il cosiddetto morbo di Pott). Si tratta di una malattia endemica in epoca romana imperiale.    


Il confronto fra il Dna dell'uomo di Pompei, con le mappe genetiche di circa 1.500 Eurasiatici (1.030 dei quali vissuti in epoca antica e 471 individui nati in epoca moderna "suggerisce che il primo aveva molti elementi simili a quelli degli abitanti dell'Italia centrale, ed agli altri individui vissuti in Italia ai tempi dell'Impero Romano". 

L'analisi del Dna mitocondriale e quella del cromosoma Y, hanno inoltre permesso agli scienziati di "identificare gruppi di geni trovati negli abitanti della Sardegna, ma non in altri individui vissuti in altre zone d'Italia nella stessa epoca".


Allo studio hanno collaborato Serena Viva, ricercatrice dell'università del Salento a Lecce, l'università della California ad Irvine e la brasiliana università federale di Minas Gerais, a Belo Horizonte. "Spero - ha concluso il ricercatore - che questo sia il punto di partenza per analisi più dettagliate sui campioni di Pompei".    


https://www.rainews.it/articoli/2022/05/il-primo-dna-di-un-uomo-di-pompei-aveva-35-anni-ed-era-malato-la-lava-ha-conservato-intatto-i-geni-0d67144c-a440-46e1-b0ac-446a16cfbc81.html


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Pompei/Sardegna





lunedì, maggio 27, 2024

💚L'Annunciata di Antonello da Messina

 


L'Annunciata di Palermo è un dipinto a olio su tavola (45x34,5 cm) di Antonello da Messina, realizzato intorno al 1475 e conservato a palazzo Abatellis  di Palermo
Un'opera straordinaria, che veicola simbolismi importanti, che, come sapete, è ciò che mi interessa di un'opera, manufatto, reperto.
Inanzittutto mi colpisce una certa geometrizzazione.
La si nota, ad incorniciare il volto, ovale.
È quasi una stella a 6 punte, che indica unione degli Opposti, bellezza, perfezione, sinergia della dimensione, sia maschile che femminile, sia umana che divina, in quanto, trattandosi del momento dell'Annunciazione, da parte ddll'Arcangelo Gabriele, a Maria, è un momento molto particolare, che segna un passaggio energetico molto intenso.
Infatti, anche l'espressione di Maria, rappresentata come una giovanissima donna dalla pelle olivastra, è tesa all'ascolto.
Lo sguardo è laterale, alla sua destra, come se già percepisse la presenza divina del Messaggero Gabriele, la cui presenza, diventa tangibile, e leggibile artisticamente, attraverso quell'impercettibile movimento, cristallizzato, delle pagine del manoscritto davanti a sé, le cui pagine sono smosse dall'afflato divino, veicolato dall'Arcangelo.
Arcangelo che non si vede, ma di cui si percepisce chiaramente la presenza.
Come se il tempo si fosse fermato per un momento, in un "non tempo", in cui umano e divino si sincronizzano sulla stessa frequenza.
Lo sguardo di sbieco, leggermente abbassato, la mano destra sospesa, tipica posizione iconografica presenti nei dipinti religiosi, l'atto di trattenersi il velo, indicano un'attenzione massima a questo momento, mista ad un lieve pudore, ad una certa resa, da umano che riceve un Dono così immenso.
La simbologia numerica delle dita, quelle mostrate sulla sinistra e la posizione delle altre, è molto rivelatrice.
Mano sinistra, il Femminino, indicato anche dalla simbologia della V del velo azzurro tenuto fermo( azzurro, acqua, Femminino)
Il 4 è legato al Femminino, con i suoi 4 Elementi, i suoi 4 punti cardinali. Sacro  Archetipo Dalet, Ebraico, funzione solidità, Madre Terra.
La mano è in posizione di raccoglimento, concentrazione, come la stessa simbologia del Grembo Femminile.
Mano destra aperta, indica il lato Mascolino, che offre, che emana energia, potere
Ma le dita sono ben evidenziate in un "4+1", e la mano è come sospesa. Il 5, è l'espressione della Quintessenza, che è connessione con il Divino, come la stella pentacolare, che al contempo rappresenta anche il Femminino, perché Venere impiega 5 anni a tracciare un percorso pentacolare nel cielo, nell'arco di 8 anni, nel suo tragitto intorno al Sole.
In tutto 9 dita visibili.
Il Sacro Archetipo Ebraico Teth, il Femminino, il grembo, la Sophia, il Femminino nella sua massima espressione spirituale, la Shekinah.
Ma c'è anche altro.
Come ho già sottolineato in qualche mio scritto, riguardo la  vastissimo simbologia della nostra Antica Civiltà Sarda.
Questa modalità, di posizionare le mani, ha la sua memoria storica, antropologica, nell'antico saluto sciamanico delle antiche civiltà, come la nostra. ( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/04/simbologia-delle-trecce-nel-bronzetto.html?m=0)
Il saluto primordiale era chiamato  "NYNY", il cui segno era un uomo che trasmette energia, come un fulmine a zig zag, come il saluto dei nostri bronzetti sardi e del nostro sacerdote di Vulci. 
Degli sciamani pranici, che conoscevano benissimo le energie dell'Universo, e che avevano capito benissimo che quel Nun, che rappresentava uno dei due simboli della loro tribù, era anche il "Nun/pesce", che rappresenta il centro della Vesica Piscis, dove i due cerchi si intersecano, e dove la forza solare maschile entra in sinergia con la forza lunare femminile. 
Il volto di questa Vergine Maria, di questa Nun, è perfettamente inscrivibile in una Vesica Piscis, poiché la sua natura umana sta accogliendo, in quel momento, anche la dimensione divina.
Il velo azzurro, simbolismo della dimensione spirituale, e sotto, si intravede una veste rosso scuro, come il colore del sangue.
Dimensione divina e umana, in profonda dialettica, in cui la dimensione umana, quasi si ritira, per lasciare spazio a quella divina, come una missione, un compito, che viene accolto, accettato.
Sta accogliendo anche la controparte energetica mascolina, il Figlio e il Padre al contempo.
Il quattordicesimo Sacro Archetipo Ebraico, la Nun, parla proprio di questo, della trasmutazione alchemica, legata alle acque, al Femminino, che traspare anche dal velo azzurro, colore del Femminino, e dallo sfondo scuro, l'ambiente amniotico, misterico, uterino, in cui avviene questa trasmutazione.
Una trasmutazione che richiede attenzione, equilibrio, solidità, come indica l'Arcano Maggiore XIV della Temperanza.
Un equilibrio degli Opposti  manifestato anche attraverso la Geometria della stella a 6 punte, che emerge dal dipinto, intorno all'ovale di Maria, a coronamento della Vesica Piscis
Esattamente come la stella a sei punte, come quella della Sartiglia, come il fiore della vita a sei petali, sulla maschera dei Boes, come l'esagono, elaborazione del fiore della vita  e matrice architettonica, nel mento del Gigante Pugilatore, elementi chiave della nostra Antica Civiltà Sarda
"Nun", suora in inglese.
Balena, in arabo
Indica un essere divinizzato, come la nostra Maria
Come l'archetipale Femminino Ninḫursaĝ
( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/11/statuina-oannes-neo-sumera.html?m=0)
Il saluto dell'Alchimista, viene chiamato NYNY, il saluto primordiale monadico, dell'Uomo con le due polarità opposte in equilibrio. 
Ma NYNY, non è forse l'abbreviazione di Ninive, una delle più famose città antiche, nel Nord della Mesopotamia, una delle più importanti capitali assire? 
Era la città di Inanna, il Sacro Femminino
La città nella quale Giona( profeta morto nel 782 a.C., giusto per avere una indicazione cronologica), comandato da Dio, sarebbe dovuto andare a predicare la parola di Dio. 
Invece passa tre notti nel ventre della Balena alchemica.
Nun=balena/ suora, un essere divinizzato
Giona in ebraico significa colomba.
La Nun è il quattordicesimo Archetipo, successivo al tredicesimo, l'Archetipo Madre, Mem, le acque cosmiche primordiali, amniotiche, mnemoniche
Pare che la capolettera miniata, rappresentata sulla pagina aperta sia proprio una M, e che forse rappresenti l'incipit del Magnificat, che  è un cantico contenuto nel primo capitolo del Vangelo secondo Luca con il quale Maria loda e ringrazia Dio perché si è benignamente degnato di liberare il suo popolo. Per questo è conosciuto anche come cantico di Maria.
"Magnificat *[

anima mea Dominum,

et exultavit spiritus meus *

in Deo salutari meo

quia respexit humilitatem ancillae suae, *

ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes"

Traduzione

"L'anima mia magnifica il Signore *
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l'umiltà della sua serva.

D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata" .

Un riferimento, alla lettera e Archetipo Mem, che racchiude in sé, il concetto di Madre primordiale e cosmica, che offre la vita, ma anche la morte ( Arcano XIII della Morte), che si offre in Sacrificio, per santificare il concetto di vita e di morte tramite il figlio divino che porterà in grembo, perché è un Essere divinizzato, e, come tale, non può che adempiere a quella che è la sua missione.
Una straordinaria rappresentazione  ricca di sfumature, energia e simbolismo.

Tiziana Fenu
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L'annunciata di Antonello da Messina




 



venerdì, maggio 24, 2024

💚Pendente Lalique "vespe e prugne"

 Pendente "Vespe e prugne" di René Lalique. 1904. 

Disegnatore e vetraio francese, rappresentante dell'Art Nouveau(o Liberty) e dell'Art Deco', caratterizzate da una estrema eleganza decorativa.

L'estrema maestria di questo artista crea dei giochi di luce tali da far vibrare il manufatto di incredibili ierofanie dinamiche e caleidoscopiche.

Assolutamente straordinario, il mio preferito in assoluto


Tiziana Fenu 

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Pendente Lalique "vespe e prugne"



mercoledì, maggio 22, 2024

💛Le feritoie del nuraghe Santu Antine

 I nostri nuraghi più importanti, come il Santu Antine e il Nuraghe Losa, sono dei luoghi Sacri, dei templi, in stretta connessione con le dinamiche celesti, come avevo già sottolineato nel mio scritto.

Fanno parte di una Geometria Sacra, che li contraddistingue come facenti parte di un'archittetura più vasta, cosmica, non solo terrena 

https://maldalchimia.blogspot.com/2020/11/i-custodi-della-memoria-del-trilobato.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2022/07/sardia-di-sedilo.html?m=0


In questo caso, l'autore Massimo Rassu, spiega dettagliatamente, perché le feritoie, non potevano essere utilizzate a scopo difensivo

Nella tabella che ho riportato, dallo stesso libro dell'autore, riporta la numerazione in senso antiorario delle aperture a partire dall’ingresso della camera a nord, il vano in cui si aprono, il conteggio parziale per singolo vano, e, infine, l’orientamento rispetto al nord (azimut) dell’asse della finestrella guardando dall’interno del nuraghe. Le tre feritoie aperte nella nicchia del corridoio d’ingresso dall’esterno alla corte interna sono state conteggiate a parte. 


Come vedete dalla tabella, sono state catalogate 48 feritoie. 

Contando anche l'ingresso, abbiamo 49 punti di luce 

Un "7 moltiplicato 7"

Il 7 è un numero legato alla ciclicità lunare, perché le fasi lunari, si succedono ogni 7 giorni 

Quindi abbiamo la simbologia della sinergia, come sempre, dell'energia femminile lunare, che interagisce con quella solare, mascolina. 

Come se le feritoie, e lo stesso ingresso del Santu Antine, fossero delle spaccature vaginali, attraverso le quali, il sole feconda questo luogo sacro, che ha la simbologia della creazione, un triangolo equilatero perfetto, con angoli a 60°, mentre il corridoio interno è un perfetto 72°/72 °/36 °. 

Tutti parametri aurei, già identificati e trovati come costante, nell'ingresso triangolare dei nuraghi, riflesso anche di una precisa Geometria Cosmica Divina ( https://maldalchimia.blogspot.com/2020/12/l-ingresso-triangolare-dei-nuraghi.html?m=0) 

Inoltre, il numero 49, sommato, diventa un tredici 

Tredicesimo Sacro Archetipo Ebraico Mem

La Madre Cosmica ancestrale, il Grembo Cosmico, amniotico, mnemonico, dell'umanità. 

Come lo stesso trilobato che custodisce Gilgamesh, passato indenne attraverso il diluvio, che rappresenta la memoria dell'umanità. 

Una Memoria, che siamo tenuti, tutti, come Figli di questa Terra Sacra, a preservare, a custodire, come fecero i nostri Antichi Padri e Madri, e di cui, forse, non siamo più nemmeno meritevoli di questo immenso onore. 


Tiziana Fenu

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https://maldalchimia.blogspot.com/2023/08/orientamento-santu-antine-verso-pleiadi.html?m=0


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Un brano estrapolato dal libro di  Massimo Rassu "Il Santu Antine decodificato. Un computatore del cosmo?" Edizioni Nor


Le numerose feritoie 


Oltre che per i caratteri evoluti della struttura, il Santu Antine si distingue dagli altri nuraghi triangolari per la numerosa presenza nel paramento esterno di piccole aperture verticali, denominate nella terminologia archeologica feritoie oppure occhi di luce. 

Si tratta di strette finestre verticali, strombate verso l’interno, e variamente distanziate fra di loro. Sono aperture particolari, caratterizzate da notevole lunghezza e strettezza, tanto dell’imboccatura interna, quadrangolare, di circa 50-60 cm sia in altezza che in larghezza, quanto soprattutto all’uscita esterna sul paramento di facciata, dove presentano una dimensione di circa 10-20 cm di larghezza e 50-60 cm di altezza. 

Sono sparse un po’ dappertutto. 

Nel piano terra dell’edificio se ne vedono subito 3 in un vano laterale del corridoio d’ingresso dall’esterno alla corte interna; altre 6 nella parete sud del cortile. 

Girando all’interno del nuraghe, si trovano 8 “feritoie” nella galleria anulare del corpo centrale; 5 nella camera nord; 10 nella galleria occidentale tra le camere nord e sud ovest; 7 nella camera sud ovest; 5 nella camera sud est e 10 nella galleria orientale tra le camere sud est e nord. 

Salendo nel primo piano, altre 17 feritoie si individuano tra la galleria orientale e quella occidentale.

La Tabella 1 riporta la numerazione in senso antiorario delle aperture a partire dall’ingresso della camera a nord, il vano in cui si aprono, il conteggio parziale per singolo vano, e, infine, l’orientamento rispetto al nord (azimut) dell’asse della finestrella guardando dall’interno del nuraghe. 

Le tre feritoie aperte nella nicchia del corridoio d’ingresso dall’esterno alla corte interna sono state conteggiate a parte. 

Infine, caso unico per il Santu Antine e forse per tutto il panorama costruttivo dell’epoca, si nota che la feritoia n. 36 del corridoio orientale si biforca in due aperture separate, a raggiera, con angolazioni 65 e 108 gradi. 

Non si tratta, comunque, di elementi costruttivi peculiari del solo Santu Antine, in quanto le “feritoie” sono rintracciabili in molti nuraghi pluricellulari, soprattutto nei corpi di fabbrica secondari che, in genere, circondano il nucleo dell’edificio, oppure in quelli della seconda corte.

Riguardo alla loro funzione, sono state suggerite varie ipotesi: potevano essere delle vere e proprie “feritoie”, aperture adatte, come nei castelli medievali, alla manovra di archi per lanciare frecce, oppure avrebbero avuto lo scopo di illuminare e aerare gli ambienti interni: spiegazione forse plausibile per le camere o per i corridoi ricavati all’interno dell’immensa massa muraria, ma non hanno senso per il cortile interno, a meno che non fosse anch’esso voltato. 

In realtà, la funzione illuminante è talmente scarsa che tutti gli ambienti interni con copertura ancora integra sono parzialmente ravvivati dal sistema moderno di lampade elettriche, installate per permettere il passaggio dei visitatori. 

È stato suggerito che gli ambienti in cui erano aperte sarebbero serviti come forni fusori del metallo, oppure per la cottura delle ceramiche, per cui le aperture avrebbero alimentato la combustione. 

Secondo altri ancora, gli ambienti finestrati sarebbero stati dei magazzini per la conservazione delle derrate alimentari, e quelle aperture servivano solo per aerare i locali e mantenere un giusto microclima interno. Perché così tante feritoie? 

L’alto numero di finestre verticali (o “feritoie”) pone un numero notevole di enigmi irrisolti. Perché ce n’era un numero così insolito, quasi cinquanta? 

Perché erano distanziate in modo così irregolare? 

Esse generano molte perplessità soprattutto se guardate dal punto di vista dell’uso per una eventuale azione di difesa da attacchi esterni, che è la tesi accolta dagli addetti ai lavori, per i quali dalle “feritoie” i difensori avrebbero avvistato il nemico e gli arcieri l’avrebbero colpito bersagliandolo con le frecce. 


Tuttavia, queste finestrine sono inadatte a una finalità di difesa, proprio a causa della conformazione striminzita e dell’altrettanto scarsa ampiezza dell’apertura: 

– la larghezza ridotta dell’imboccatura interna (circa 50-60 cm sia in altezza che in larghezza) non permette (né permetteva all’epoca) l’inserimento delle armi da lancio nell’incavo (a differenza delle vere feritoie!); 

– l’altrettanto stretta uscita esterna (circa 10-20 cm di larghezza e 50-60 cm di altezza) concedeva un angolo di tiro ridottissimo, lasciando a un eventuale arciere la possibilità di colpire uno spazio esterno ampio solamente qualche decina di centimetri; 

– la conformazione estremamente rastremata della cavità, lunghezza sino a 4 metri e andamento perfino sbilenco, non permetteva il brandeggio di tali armi; 

– la stessa configurazione ostacolava una corretta visibilità impedendo al difensore di infilarvi la testa per cercare di vedere il bersaglio da colpire; 

– la ridotta altezza dal piano di calpestio, alcune decine di centimetri appena dal suolo, richiede una postura del corpo assai scomoda per maneggiare un’arma, ma anche semplicemente per osservare l’ambiente esterno. Il difensore avrebbe dovuto avere un’abilità eccezionale – in condizioni peraltro svantaggiose di postura, di brandeggio dell’arma – non solo per colpire un bersaglio mobile esterno all’edificio, ma persino per riuscire a far passare la freccia, il dardo, attraverso lo stretto orifizio lanciandolo da 4 metri di distanza. 


Molte aperture, anche se non tutte, lasciano inquadrare solo una porzione di cielo da una certa quota in su, ma non il terreno antistante, né quello in lontananza, come se i problemi venissero dall’alto. 

In altri casi, oltre alla volta celeste, allo sguardo è permesso anche di scorgere lo skyline, il contorto profilo del lontano panorama, ma non certo l’area prossima al nuraghe da dove sarebbe potuta arrivare una minaccia nemica. Vi è la situazione paradossale che l’esigenza difensiva attribuibile al Santu Antine a causa delle innumerevoli feritoie doveva venire a mancare nel gemello nuraghe Voes (Nule), vista la loro assenza in esso, tranne che nella parte terminale del corridoio orientale. 

Anche i rari ritrovamenti archeologici all’interno delle “feritoie” di alcuni nuraghi smentiscono l’utilizzo per fini difensivi, a favore di un uso in qualche modo legato al culto. 

Proprio all’interno di una feritoia del vano F3 del nuraghe Su Mulinu (Villanovafranca), venne rinvenuto un vaso cultuale, definito «una conca umbilicata con sette becchi e con all’interno un mestolo". 

E dentro le feritoie della torre F del nuraghe Seruci di Gonnesa vennero rinvenuti ossi di animale, femori o tibie, infissi verticalmente. Escludendone una funzione di immondezzaio dei resti di pasto, le feritoie assumono il ruolo di deposito di offerte sacrificali, una opzione legata a un uso sacro del sito. 

Nel nuraghe Arrubiu (Orroli), le numerose feritoie delle camere interne delle torri C, F e G guardavano i cortili X1 e X29, cui si accedeva da un ingresso separato. 

Le due corti interne, poste tranquillamente in sicurezza chiudendo l’ingresso principale, erano in diretta comunicazione visiva / acustica col resto dell’edificio, attraverso queste aperture, che non servivano per bersagliarle con dardi, in completo contrasto con una funzione difensiva. 

Queste semplici osservazioni possono sembrare soggettive, forse lo sono. 

Si può allora esaminare più a fondo il ruolo delle feritoie nel loro complesso, nel quadro più ampio dell’intero nuraghe Santu Antine, immaginato come fortezza.

Su una planimetria del nuraghe perfettamente calibrata rispetto agli assi geografici, sono stati individuati gli assi uscenti dalle singole aperture verso l’esterno, porte o finestre, e sono stati misurati gli angoli rispetto al nord. Salta subito all’occhio che le linee disegnate non potevano rappresentare né le vedute privilegiate di eventuali sentinelle di guardia alle mura, né le direzioni di tiro di armi di difesa (nel caso di archi e frecce), perché dirette a casaccio, concentrando il fuoco su posizioni insignificanti e lasciando completamente indifese proprio le parti più deboli della struttura, a iniziare dagli ingressi. In alcuni casi, sembrano interessate a due o a tre a una stessa posizione a pochi metri dalle facciate esterne, in altri ignorano completamente ampi spazi. 

Per non parlare delle aperture diramantesi dalle camere situate nei tre spigoli: gli sguardi si perdono a raggiera tutt’intorno, ma non si intersecano tra loro né con quelli delle altre feritoie. 

Infatti, le linee in uscita da tutte le aperture racchiudono un certo numero – alquanto alto se fosse stata una fortificazione – di “angoli morti”, ossia di superfici esterne in cui il nemico poteva muoversi di fronte e in direzione dell’edificio senza essere avvistato. Perché non potevano essere adibite a postazioni militari? 

Se queste aperture fossero state usate come artifici militari per la difesa dell’intero edificio, allora gli eventuali nemici, senza essere visti, avrebbero potuto:

– avvicinarsi, persino da più direzioni, a ridosso di porte e mura esterne; 

– scalare le mura e penetrare all’interno dagli spalti; 

– sfondare i portoni d’ingresso ed entrare dai due accessi, ancor più da quello posteriore. Sembrerebbe incredibile, ma nonostante l’alto numero di possibili punti di osservazione e di lancio, quasi uno per ogni metro di estensione del paramento esterno (48 feritoie più due porte, su un perimetro di 126 metri) – una concentrazione superiore a quella riscontrabile nelle costruzioni medievali –, l’edificio non poteva essere difeso adeguatamente. 

Non si lascia così sguarnito un caposaldo militare! 

Strana come fortezza. 

Veramente strana. 

I suoi difensori non avrebbero potuto sorvegliare né tanto meno bersagliare interi settori delle campagne intorno – lasciando scoperto persino parte del perimetro esterno – da cui poteva arrivare la minaccia armata. 

L’alto numero di aperture alla base dell’edificio poteva paradossalmente costituire un punto di debolezza. 

Infatti, preventivamente, gli attaccanti potevano soffocare e stordire gli eventuali difensori accendendo dei fuochi all’esterno del nuraghe, ponendosi oltre la gittata di archi e frecce (pari a circa 65-70 metri), e affumicare, col favore dei venti dominanti, gli interni con le esalazioni penetranti dalle innumerevoli feritoie. 

A queste banali osservazioni, occorre aggiungere altre considerazioni riguardanti l’edificio nel suo complesso. 

È situato in una situazione infossata (a m. 361 s.l.m.), in quanto sorge su una piana circondata da quasi tutte le parti da colline più alte da cui si potevano facilmente controllare le strade di accesso, riducendone, e notevolmente, il suo valore strategico militare. A rigor di logica, andava costruito su una collina dominante la vallata come fece Nicolò Doria nel 1331-32 che edificò il Castello di Giave nel Planu Roccaforte (m. 635 slm), presso la chiesa di San Cosimo di Giave, ad appena 4 km più a sud. 

Nella torre nord si evidenziano due elementi che contrastano con la possibilità di uso come struttura fortificata: 

– un punto di debolezza militare, rappresentato dal secondo ingresso, peraltro privo dei particolari accorgimenti difensivi attribuiti agli altri portoni, come la nicchia interna di corridoio a cui assegnare la funzione di “garitta” di guardia; 

– un pozzo al centro della camera, che si rivela essere un ingombro e un ostacolo alla manovra di attrezzature (per esempio, armi) e al passaggio veloce di truppe.

Tutte queste carenze fanno capire che se l’intento di chi aveva progettato il Santu Antine fosse stato di adibirlo a fortificazione, probabilmente di tecniche castellane e di sistemi d’assedio ne capiva molto poco. 

Se gli utilizzatori si fossero illusi di considerarsi al sicuro da eventuali nemici asserragliandosi nel Santu Antine, si sarebbero trovati da subito in trappola, per essere catturati nel giro di poche ore. 

Rinchiudersi in questo edificio portava inesorabilmente a una sorta di suicidio collettivo. 

Tutto sommato, il presunto castello megalitico di Santu Antine si è dimostrato un costrutto puramente moderno, le cui basi difensive e strategiche sono scarse"



Tiziana Fenu 

Maldalchimia.blogspot.com 

Immagine del Santu Antine di Fabrizio Bibi Pinna 








martedì, maggio 21, 2024

💙23/5/2024 Plenilunio in Sagittario

 Giovedì 23/5/2024, abbiamo un plenilunio in Sagittario

Saremmo già sotto il segno dei Gemelli, segno d'aria, segno maschile governato da Mercurio.

A livello archetipale, siamo sotto l'energia del diciottesimo Sacro Archetipo Ebraico Tsade', con funzione divisione, collegato all'Arcano Maggiore XVIII della Luna.

Il numero 18, è un due volte il numero 9, ed il Sagittario è proprio il nono segno dello zodiaco.

Diciamo, che in questa combinazione, l'Archetipo Tsade', potenzia l'energia e la simbologia del Sagittario.

Questo è molto interessate, perché la Tsade' si presenta come un albero con due diramazioni, due rami, come se rappresentasse una divisione.

La divisione è infatti la sua funzionalità, finalizzata però al ritornare a memoria la dimensione animica, innata, dell'essere dei Frattali Divini, in cui vi è solo divisione apparente.

In questo senso, il Fuoco del Sagittario, la dimensione del nostro Fuoco interiore, del nostro Daimon, sotto la spinta energetica del plenilunio in Gemelli, segno d'aria, spinge verso la sublimazione.

Verso la consapevolezza della nostra gemellarita' con la dimensione divina, come se umano e divino, fossero dei rami della stessa Matrice divina, così come ci rappresenta la Tsade '.

Una consapevolezza, che deve partire da una dimensione intima, che funga da incubatrice.

E questa dimensione, di gestazione, profondità e manifestazione, la si può ritrovare, in quella dimensione femminile e lunare, indicata proprio dall'Arcano XVIII della Luna, che traguarda questo Plenilunio, perfettamente accordata, a quel 9 duplicato, del 18, che rappresenta sia l'Archetipo Tsade' che l'Arcano della Luna.

Il nono Sacro Archetipo Ebraico è la Teth, il Femminino,  il grembo, il serpente, la kundalini.

La dimensione ctonia della gestazione, collegata anche all'Arcano IX dell'Eremita, che porta in sé, il suo Fuoco interiore, ad illuminare il suo cammino.

Questo Plenilunio, enfatizza questa manifestazione della nostra Essenza, verso l'esterno, verso l'elemento aria.

Un Fuoco, che necessita dell'aria, dell'ossigeno, per amplificarsi, per vivificarsi, per espandersi,

Per ritrovare quella dialettica costruttiva con il suo gemello divino, da Frattale quale è.

E in questa corrispondenza, ritrovare la sua identità, il suo potenziale creativo, essendo il riflesso di un'energia divina, già espressamente presente in noi, ma che necessita di Manifestazione.

Proprio in questa dimensione, Giove( e il plenilunio in Sagittario, cade proprio di Giovedì), che governa il Sagittario, espande gli orizzonti, mentre Nettuno, l'altra energia legata alle acque, alla profondità, al Femminino, come per l'Arcano XVIII della Luna, e l'Archetipo 9 della Teth, del grembo femmineo, amplifica la trasmutazione proprio a livello amniotico, profondo, ancestrale. 

Ed è proprio in questa dialettica con il suo segno opposto, il Gemelli, che il Sagittario trova  la dimensione ideale dell'espansione, perché il Gemelli è un segno d'aria, che apporta ossigeno. 

Ossigeno che può essere anche distruttivo, se alimenta eccessivamente la Fiamma. 

Equilibrio tra gli opposti,, per manifestare al meglio, come è nella stessa natura del Sagittario. 

Un Centauro che deve conciliare la sua natura umana e quella animale. 

Un Centauro che diventa punto di riferimento, simbolo del potere di guarigione 

Asclepio (o Esculapio), figlio di Apollo e della ninfa Coronide, il dio della medicina, da giovane viene affidato proprio al centauro Chirone, dal quale imparò appunto la medicina e anche il modo per resuscitare i morti. Zeus, contrariato da un potere così enorme, fulminò Asclepio, provocando l’ira di Apollo che per ripicca sterminò i Ciclopi (in quanto artefici delle saette di Zeus) trafiggendoli con una freccia di enorme grandezza e potenza, che in seguito è stata collocata nel firmamento diventando la costellazione del Sagittario. 

La Via Lattea è più brillante in direzione della costellazione del Sagittario, dove si trova il centro galattico che però non è visibile a causa dell'assorbimento della luce da parte delle dense polveri presenti in quella direzione.

Infatti, Sagittarius A*, è ritenuto il centro della nostra Galassia, una sorgente di onde radio molto luminosa, situata nel centro della Via Lattea,  il punto in cui si trova un buco nero supermassiccio, componente caratteristico dei centri di molte galassie ellittiche e spirali. Sagittarius A* avrebbe una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole e, trovandosi nel centro della nostra galassia, costituirebbe il corpo celeste attorno a cui tutte le stelle della Via Lattea, compresa la nostra, compiono il loro moto di rivoluzione.

Per questo motivo, le cosmogonie di tutto il mondo, hanno come punto di riferimento centrale, la Via Lattea, di cui spessissimo ho parlato anche io, in relazione alla nostra Antica Civiltà Sarda. 

Un Plenilunio estremamente carico, energeticamente, che ci guida nella piena manifestazione di noi stessi, in stretta connessione con il nostro "gemello" divino e animale, nell'accezione più pura del termine, di "anima-animus-animale", scevro da ogni esoscheletro limitante per la nostra espansione. 

Con infinita gratitudine sempre 


Tiziana Fenu 

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Maldalchimia.blogspot.com 

23/5/2024 Plenilunio in Sagittario




domenica, maggio 19, 2024

💛Pozzo Santa Cristina /pozzo India,Badlapur

  Come ho anticipato brevemente ieri nel mio post a riguardo, nella prima  immagine, ingresso del nostro pozzo Sacro di Santa Cristina, a Paulilatino, provincia di Oristano, qui in Sardegna, del quale ho parlato molte volte, datazione XI sec. aC, anche se, personalmente, credo che sia di mto antecedente. 

Nella seconda immagine, pozzo presente a

Badlapur, a nord-est della città di Mumbai, in India, lungo le sponde settentrionali del fiume Ulhas 

Ma non è solo la conformazione, ad accomunarli.

Hanno lo stesso orientamento, come vedete dalla terza ( il Santa Cristina) e quarta foto. 

Sono orientati entrambi, su un'asse sud-est( per  l'ingresso), nord-ovest. 


Orientamento che avevo riscontrato anche per il pozzo Is Piriois e il nuraghe Sisini( https://maldalchimia.blogspot.com/2023/09/orientamento-solstizio-invernale-pozzo.html?m=0) 

"Le due morfologie, sono speculari. 

Il Pozzo di Is Piriois, ha l'ingresso orientato a nord-ovest, verso il tramonto del solstizio estivo. 

Il nord ovest, esotericamente, è legato all'elemento acqua ( il nord) e all'elemento terra( l'ovest) 

Mentre il nuraghe Sisini, ha l'ingresso orientato verso sud est, all'alba del solstizio invernale. 

Esotericamente, il sud est  è legato all'elemento fuoco( sud) e, anch'esso, all'elemento aria (est) 

Una straordinaria simbologia e corrispondenza,  tra il pozzo e il nuraghe, in cui avviene la fecondazione metaforica, simbolica, tra l'elemento acqua del pozzo e l'elemento fuoco del nuraghe, che coinvolge anche gli altri due elementi"



Quindi anche questo pozzo, a Badlapur,  ha l'ingresso orientato a sud-est, all'alba del solstizio invernale, come i nostri pozzi Sacri. 

Ho trovato una breve descrizione del pozzo, molto sommaria e turistica. 

Il pozzo si trova in un campo aperto accanto a un gruppo di case dietro il Tempio Hanuman a Devaloli

Il pozzo ha una stretta fascia di gradini che conducono al livello dell'acqua

Ci sono due scomparti su ciascuna parete dei gradini per contenere le luci

Un pannello di figure squisitamente scolpite adorna la parte superiore dell'arco all'estremità

Al centro del pannello c'è l'immagine del Signore Ganesha, il Dio dalla testa di elefante preferito nel Maharashtra

Alla destra del Signore Ganesha c'è una figura che sembra un prete o un bramino

Alla sinistra del Signore Ganesha, il la seconda figura con spada e scudo sembra un guerriero.

Motivo floreale sull'arco. Questo ricorda il fiore di colore giallo che cresce selvatico in queste zone

Un altro fiore in questo intaglio decorativo sull'arco

Su entrambi i lati dei gradini ci sono due animali scolpiti le cui teste si sono disintegrate ma le code indicano che potrebbero essere state scimmie

Il livello dell'acqua era comunque abbastanza buono considerando che era marzo

Il livello dell'acqua era comunque abbastanza buono considerando che era marzo

( fonte https://bijoor-me.translate.goog/2016/06/25/badlapur-step-well-a-rare-historical-site/?_x_tr_sl=auto&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it)

Non ho trovato da nessuna parte la datazione di questo pozzo, ma è comunque impressionante la morfologia con il nostro pozzo di Santa Cristina, e ci sono alcune simbologie interessanti

C'è il fiore a 8 petali, e sappiamo che qui in Sardegna, la stella a 8 punte, è presente nelle nostre antiche tradizioni, arrivate fino ai giorni nostri, presente nei nostri stupendi e antichissimi rosari e anche nella stella a 8 punte della ritualistica della Sartiglia di Oristano ( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/04/la-simbologia-della-stella-otto-punte.html?m=0)

Abbiamo poi la simbologia delle scimmie

La nostra sciamana androgina di Sardara, ha il volto di scimmia, che fa riferimento ad una manifestazione epifanica del dio Toth( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/10/la-divinita-androgina-di-sardara.html?m=0)

Sulla simbologia della divinità Ganesha, voglio ricordare che abbiamo la torre dell'Elefante, che  fu costruita nel 1307 dai pisani per la difesa dell'accesso al Castello fortificato.

Ma al di là di questo, mi interessa la simbologia intrinseca alla divinità stessa

A parte il fatto che abbiamo un petroglifo abbastanza particolare, all'interno di una nostra Domu de Jana, legata alla Roccia dell'Elefante, a Castelsardo, in provincia di Sassari. 

Una protome taurina, sembrerebbe, a prima vista, ma è più una falce di luna che sovrasta una colonna, come vedete dalla foto di Antonio Meledina., sulla quale devo ancora approfondire bene. 

Ganesha (la divinità dalla testa d'elefante) spiega l'origine delle fasi lunari.

Ganesha è una divinità della dimensione femminile. 

Raffigurato spesso presso l’ingresso di casa, Ganesha è una divinità protettrice e di buon auspicio. La leggenda narra che sia figlio di Shiva e Parvati o della sola Parvati che lo crea per metterlo a guardia del suo bagno. 

È un bellissimo bambino che assolve con diligenza ai suoi compiti tanto da impedire allo stesso Shiva di entrare in bagno. Quest’ultimo in un attacco di ira gli taglia la testa. Parvati è infuriata, le persone attorno contattano le divinità che suggeriscono di muovere verso nord e di riportare la testa del primo essere che trovano. Si tratta di un elefante a cui viene mozzata la testa ed ecco che Ganesha assume questo aspetto.

Quindi, essendo legato al bagno, è legato anche all'acqua, ai pozzi, alle stesse Domus de Janas, in cui l'acqua è un elemento importante, benedicente e purificante.

Dio della saggezza, che benedice e protegge dagli ostacoli

La Genesa, che nel nome è molto simile a Ganesha, ha la stessa funzione energetica purificatrice, un oggetto sacro realizzato unendo 4 cerchi, che armonizza le nostre energie con quelle della natura. 

Ma c'è una particolarità tutta sarda. 

Quando noi stiamo male, abbiamo nausea o malessere in generale, diciamo che abbiamo "gana maba", "brutta voglia". 

Gana, ha la stessa radice di Ganesha, e se Ganesha indica il benessere, lo stare bene in generale, è anche vero che nella pratica del Ganesha Mudra, si aumenta e migliora la digestione, rimuovendo gli ostacoli, così come fa il Dio Ganesha. 

Quindi, proprio in questa pratica, vediamo come il modo di dire sardo, "Gana maba", legato proprio ad una nausea dell'apparato digerente, vi è il Mudra specifico Ganesha, che agisce proprio sull'apparato digerente. 

E non è certo una coincidenza 

Trovo queste similitudini straordinarie, che confermano ancora una volta la nostra Antica Civiltà Sarda, come Civiltà Madre di tutte le altre, con i nostri Antichi Padri e Madri che di sono spostati in ogni angolo della terra 


Sul pozzo Sacro di Santa Cristina , e la particolare forma a Menat

https://maldalchimia.blogspot.com/2021/04/il-menat-portale-alchemico-dei-pozzi.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2021/09/astarte-e-il-menat.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2020/06/osservavo-la-piantina-del-pozzo-di.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2021/06/simbologia-angolo-72-nel-pozzo-scristina.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2023/03/ombra-capovolta-pozzo-santa.html?m=0


Tiziana Fenu 

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https://maldalchimia.blogspot.com/2024/04/simbolismo-del-21-aprile-santa.html?m=0