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venerdì, ottobre 30, 2020

💛Radici della tradizione de "Is Animeddas" nella tradizione sarda

 Radici della  tradizione de " Is Animeddasa" nella cultura Sarda. 

Il 2 novembre  si celebra la giornata di Tutti i morti, che qui in Sardegna assume le caratteristiche di una tradizione che affonda le radici in epoche molto lontane. 

La tradizione de "Is paixeddasa" , de "is animeddas", de "su mortu mortu", de su "prugadoriu" (  dipende dalla zona, qui le chiamiamo " Is paixeddasa") ,  prevede la raccolta di dolcetti, caramelle, melagrane e frutta secca, da parte dei bambini che passano di casa in casa per chiedere queste offerte per le anime del Purgatorio. 

Quell'importante elemento conviviale e di condivisione , come può essere il cibo, che lega il mondo dei vivi con quello dei morti. 

In alcune zone si imbandisce  la tavola proprio tra  il 30 ottobre  e il 2 novembre, di notte, in modo che i morti possano simbolicamente beneficiare ancora di quell'amore che nel mondo dei vivi passa anche attraverso la preparazione del cibo. 

Mondo dei morti, con i quali si deve mantenere un buon rapporto amorevole, deliziandoli con frutta secca dalla lunga conservazione, in particolare , melagrane, oppure noci e castagne, come si faceva un tempo. Soprattutto melagrane, la mia preferita in assoluto, che con i suoi arilli color rubino, ricorda la fertilità della Dea Madre, il sangue mestruale che si moltiplica in tante gocce simboliche, considerata la frutta  del Sacro Femminino, rappresentata anche nei quadri. 

Pare che all'interno contenga 613 semi, la cui somma totale fa 10 (6 + 1 + 3), il numero della perfezione Divina. Melagrana come simbolo di fertilità e prosperità, oltre che simbolo di vita oltre la morte. La disgregazione in tanti piccoli semi porta altra vita, come lo smembramento del corpo di Osiride in 72 pezzi, che ha portato alla formazione della Spiga, la nuova vita dell'abbondanza. 

Melagrana come simbolo di  gocce di sangue mestruale, che porta vita e amore, tant'è che era il simbolo di  Afrodite, la dea dell'amore. 

Un frutto sacro anche a  Persefone, la dea dell'oltretomba, poiché il sangue, può essere anche sangue di morte. 

Melagrana estremamente usata anche in Sardegna in rituali per la gestazione per la prosperità, con grandi proprietà astringenti ed emostatiche, oltre che  ad essere usata anche per colorare  le fibre. 

Melagrana, che con il suo rosso scuro, è collegata anche al Mosto dell'uva, con il quale si prepara la saba/sapa , base indispensabile per i tipici dolci sardi per la festività di Tutti i Santi e Tutti i Morti, come il tipico pan' e saba, come le pabassinas, e come is caschettas, e spesso si offriva, specie nella zona del nuorese, sa Pippiedda ‘e tùharu, una bambolina di pasta di semola e zucchero. 

Dolci che simboleggiano un inno alla vita, e che nel contempo onorano la morte, poiché sono collegati al rosso del sangue, come fonte di vita. Morte e sangue  rigeneratore, rappresentato dalle melagrane e dai dolci di sapa, affinché i morti  possano rigenerarsi simbolicamente nella dimensione dell'aldilà

L' Halloween americano che conosciamo tutti, non nasce in America, ma ha origini lontanissime che affondano nella terra  irlandese, con la quale la Sardegna ha profondi legami genetici e culturali. 

Halloween in Irlanda corrisponde allo Samhain, il Capodanno celtico, dove Hallow è la parola arcaica che significa "Santo",  quindi Halloween indicava la vigilia di tutti i santi. 

Per i celti il nuovo anno iniziava il primo novembre, quando finiva la stagione calda e si stava maggiormente a casa. 

Infatti Shamuin in in gaelico, significa Summer's end, fine dell'estate. 

In  Irlanda  infatti Samhain, significava festa del sole, in cui la morte era in sintonia con ciò che avveniva in natura, in cui  nella stagione invernale la vita riposa sotto terra, dove riposano i morti. Festeggiavano il 31 ottobre con delle feste con i fuochi sacri nei boschi, a cui partecipavano con delle maschere, lasciando del cibo per i morti fuori dal l'uscio. 

Festa pagane soppiantata dall' avvento del Cristianesimo, il quale  celebra la festa di Ognissanti a Roma, per la prima volta il 13 maggio del 609 d. C., in occasione della consacrazione al Pantheon della Vergine Maria. Festa che poi, da papa Gregorio IV, fu spostata al primo novembre e poi nel X secolo, fu aggiunta la festa di Tutti i Morti il primo novembre. 

Gli immigrati irlandesi in seguito ad una grande carestia a metà del XIX secolo,  trasportarono in America questa tradizione di celebrare i morti, che poi si diffuse tutta l'America sotto il nome di Halloween. 

In Sardegna era  tradizione che la sera di Ognissanti, il primo novembre si accendesse "su lumiu" , composto in modo molto semplice e umile da una striscia di tessuto, una specie di stoppino, imbevuto di olio d'oliva, incastrato in un pezzo di sughero che galleggiava  in un contenitore colmo di acqua, e questo veniva tenuto acceso sino alla notte del 2 novembre. 

Durante la giornata del primo novembre, le campane suonavano "a morto" con un "don" lento, chiamato "s'adoppiu", quello che si usa per i funerali, fino a tarda sera, e i bambini ottenevano di pomeriggio  il permesso di andare a fare is animeddas, di porta in porta, per chiedere un piccolo dono per le anime dei defunti. 

"seusu beniusu po is animeddasa, mi das fait po praxeri is animeddasa?" 

"siamo venuti per le anime, mi fai un dono, un piacere, per le anime?" 

I bambini venivano congedati  gioiosamente, dopo aver dato loro molti doni di Madre Terra e dolci fatti in casa con la sapa,  o i dolcetti a forma di ossa di morto, e con una frase di rito, dicendo "po s'anima...", " per l' anima...", e nominando i loro defunti. 

E il cibo ricevuto  lo si condivideva in famiglia dopo averlo benedetto con frasi ritualistiche che poi durante la notte veniva offerto anche all'anima dei morti, poiché si riteneva potessero simbolicamente partecipare a questi banchetti benedetti dalla gioia e dall' allegria di un gesto tanto semplice come il condividere il pasto. 

Dentro le tombe si creavano degli spazi appositi per introdurre liquidi e cibo, e in  Sardegna questi conviti funebri si protrassero per un periodo più lungo rispetto alla loro produzione. Infatti si protrassero sino agli inizi del VII secolo d. C. 

Quindi il rito de "is animeddas", o paixeddasa, o mortu mortu, o prugadoriu, e altri nomi, la questua dei bambini di casa in casa, era, ed è diffuso in tutta l'isola, poiché ha un' alto valore sacrale, al di là del giubilo dei bambini per la raccolta. 

Un’altra antica usanza legata al culto dei morti in Sardegna è il rito de Is Fraccheras (le fascine). Viene dato fuoco a delle lunghissime e grosse fascine di asfodelo (pianta considerata dagli antichi Greci legata al Regno dei morti) e gli uomini più forti le portano a spalla correndo per le strade del paese, spargendo le ceneri e cercando di non spegnere le fascine. 

Ciò si ricollega probabilmente alla funzione protettiva e purificatrice delle ceneri e questa sorta di prova di coraggio è propiziatoria della buona sorte.

A Seui, infatti, tra il 30  ottobre e il 2 novembre vi è anche " su prugadoriu", con l' esibizione di maschere locali. 

E, legato alla simbologia della zucca come un cranio, vi era un rito, sia in Sardegna che in Corsica: cioè quello prendere i crani dal cimitero per far piovere,  e il cranio in seguito venne sostituito da una zucca intagliata. Ed è per questo motivo che la zucca, e quindi il culto dei morti, in un certo senso è legato anche al dio Maimone, al dio della pioggia. 

Ma per capire bene la simbologia della tradizione de "is animeddasa ", che io preferisco chiamare "is paixeddasa",( i pani piccoli), visto che dove abito si chiamano così, dobbiamo fare un passo indietro, alla dimensione in cui la morte di un membro della comunità diventa motivo aggregante di partecipazione e di trasmutazione del dolore, attraverso una particolare ritualistica, custodita e officiata dalle donne,  delle, Janas particolari, coloro che avevano "su Donu", il Dono per poterlo fare. 

Coloro che tessevano attraverso il canto in rima, il legame tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. 

Le "attitadoras" 

Legame che vede una continuità attraverso le mani dei bambini, custodi puri, per poi ritornare agli adulti in modo consapevole. 

D'altronde la dimensione  della morte è sempre stata estremamente rispettata in Sardegna.

Ne abbiamo testimonianza  dalla cura che si respira nelle Domus de Janas , nelle Tombe dei Giganti, e in tempi più recenti, alla ritualistica legata al decesso di un familiare o di un conoscente, articolata su un preciso codice ,composto da gesti e  lamenti ripetuti chiamato "Teu",  con protagoniste le donne, che si occupavano della veglia funebre, rito che veniva chiamato  "Sa ria",  con la veglia che era portata avanti dalle "attittadoras", che intonavano lamenti funebri e lodi per il defunto, per enfatizzarne la drammaticità del momento( rito antico diffuso anche in altre civiltà). 

Le "attittadoras" venivano chiamate spesso dagli stessi parenti per cantare le lodi del defunto, e poi venivano ricompensate con beni di prima necessità, con beni prodotti dalla terra. 

Il lamento funebre, "s'attittu",  a volte poteva  virare verso il lamento funebre di vendetta o risentimento, se il defunto era morto per mano di altri, anche solo accidentalmente, e per questo venne scoraggiato e vietato dalla Chiesa ,insieme ad altre pratiche pagane. 

Di particolare importanza in questa ritualità, era la gestualità, l'oscillazione corporea , perfettamente consone alla ritualità sonora legata al suono ,al ritmo,  tipica di certe tradizioni sciamaniche che hanno una funzione quasi ipnotica, ripetitiva, simile a quella di certe zone in cui queste antiche tradizioni non hanno perso la loro valenza simbolica , come in ambito arabo-palestinese, o in ambito Africano. 

Ci si provoca intenzionalmente del dolore con urla,  prendendo a pugni  il petto , oppure  graffiandosi  o strappandosi i capelli, per esorcizzare con il dolore fisico, il dolore dell'anima  per la perdita della persona cara

Cosi' come e' stato sempre molto diffuso in molte culture di tutto il mondo. 

Tipico di queste veglie era anche la preparazione del pane "po s'anima", per l'anima,  distribuito proprio per la veglia funebre. Da noi è tradizione "su pan'e saba", un vero e proprio pane a base di sapa , il mosto d'uva,  uvetta, noci e mandorle. 

"S'attittu" sardo è un gesto di enorme generosità  da parte di queste donne speciali che hanno il "Dono", perche le "attittadoras" danno voce e suono a chi è ammutolito per il dolore. 

Infatti "s'accoramentu" è un dolore senza voce , ed e' quello che colpisce chi viene colpito da un lutto. 

Ed è per questo che la parola "accorau"  è così simile alla parola "accorrau"

Cambia solo quella "r" in più. 

"Accorau" indica chiuso nel silenzio. 

"Accorrau"  invece,  con due "r", significa nascosto, chiuso. 

Due termini che si integrano bene a vicenda e che parlano di discrezione e di rispetto. 

E capire cosa si cela nello stato d'animo "de s'accorrongiu" significava capire anche il metalinguaggio delle parole Sarde, dove le donne in lutto sono "accorradasa", nascoste ,dietro su "muccadori nieddu", il fazzoletto nero  delle vedove, chiamato "cuccuddada",  dentro il quale  respirano con il poco respiro che è loro rimasto per il tanto dolore, con su Muccadori tirato su , fin sopra il naso, quasi a volersi isolare e nascondersi dal resto del mondo. 

Il nome "attittadoras" deriva dal verbo "attittai", che  ha due significati, in sardo. 

Infatti "atttitai" significa sia "attizzare il fuoco" , ma anche "allattare". 

Derivano infatti, entrambi  i significati,  da "titta", il seno,  la tetta. E in questa doppia valenza semantica,  queste donne sarde , "is attittadoras", così come hanno allattato il bambino, così si prendono cura del fuoco della memoria, per mantenere in vita il ricordo del defunto, alimentando quel fuoco che ancora brucia tra i vivi che lo stanno piangendo. Alimentando il ricordo attraverso il canto  in rima che ne esalta il ricordo. 

"Attittadoras"  che si prendono cura dei vivi, dei bambini , allattandoli, e che si prendono cura dei morti, attizzando  ancora il fuoco in modo che loro ricordo non si dispera. 

"Is attittadoras" sono come i "cantadores", quelli dei "muttetus" che cantano in  rima  improvvisata, e così fanno queste donne sacre in assoluta parità, tra maschile e femminile( tutta la cultura e civiltà sarda, come ho scritto molte volte, gravita intorno a questa costante ricerca di equilibrio tra le polarità opposte, è il suo segno distintivo) depositarie del fuoco sacro del ricordo del defunto, mentre i cantadores sono i depositari della memoria del collettivo, della comunità in cui sono inseriti. 

Entrambi, sia  Attittadoras che Cantadores, hanno estrema bravura nel trovare la rima tanto perché cantano con il cuore , entrano dentro la situazione. 

Cantano in un modo che viene dal cuore, e danno una nuova valenza al termine "accorau", gli danno un termine positivo, danno voce ad un cuore che è muto dal dolore, che è "accorrau" nel silenzio della perdita. 

Questo è un passaggio, a livello sociale e antropologico, estremamente importante, poiché si fa alleanza e comunità anche nel dolore, e le "attittadoras "si fanno carico del dolore di altre donne, pur di garantire un costante equilibrio della comunità, la continuità generativa, anche difronte a donne che non vogliono più vivere, annichilite da tanto dolore. 

Le attitadoras sono Maestre, sono Janas che curano, sanno alchemizzare.

Sanno portare dentro il dolore, lo trasformano in qualcosa di bello e lo lo restituiscono in canto, in rima , cullando dolcemente il dolore di queste  donne disperate e senza voce, tra le loro braccia, tra le loro parole e canti in versi, in quel gesto de "s'anninnai", del condurre alla nanna il piccolo che piange, attraverso filastrocche in rima, ritmate e accompagnate dalla stessa gestualità oscillante del corpo, del busto, avanti indietro, che concilia uno stato ipnotico lenitivo e rassicurante, terapeutico. 

Che assicura la connessione in un'altra dimensione, dove il dolore si ammortizza. 

Ancora una volta , ci troviamo difronte a donne sciamaniche, che operano in sinergia con gestualità, voce, suoni, cadenze ritmate, come le loro controparti maschili, e che conoscono bene la potenza di stati ipnotici alterati a fini terapeutici , alchemizzanti. 

Le Bithie dalle doppie pupille. 

Il lamento funebre  degli antichi rituali funebri è sempre esistito,, nelle società primitive, dove si fanno gesti,  dei canti , seguendo una certa modularità espressiva , e contemporaneamente, intimamente coinvolti nel dolore dell'altro ,dove tutti gli elementi, gestualità, ritmica, canto, improvvisazione, agiscono in sinergia. 

E anche in questo campo bisogna parlare di Dono. Di empatia, detto in termini sociologici

Ma "su Donu" è un qualcosa che va molto oltre questo ,perché nel canto funebre improvvisato, non vi è un godimento estetico, ma una sorta di talento sciamanico nell' entrare in uno stato di percezione alterata che colga il dolore dell'altro. 

Notavo adesso, mentre scrivevo, che tra percezione e perfezione , passa la diversità di una sola lettera, la "c/f". 

Perché percepire, accogliere , prendere "tramite", ci avvicina alla perfezione. Noi umani siamo tramite per il divino, per il mondo ultraterreno, che ci avvicina alla perfezione. 

Il lamento funebre e' un momento catartico per tutta la comunità, per lenire un dolore che altrimenti sarebbe insopportabile

È una tradizione della Sardegna che è stata anche in ambito  celtico, con tutta una  ritualistica che prevedeva la vestizione del cadavere da parte di una sola donna , che aveva la funzione archetipale della Grande Madre  preindoeuropea, di colei che da la  vita  e da la morte , operatrice di trasformazione e di passaggio. Ritualistica celtica, che  prevedeva  dei canti rimati funebri, e da parte degli uomini, festeggiamenti con cibo, whisky e tabacco, il quale veniva insufflato in segno di rispetto sul defunto , come se fosse dell'acqua benedetta necessaria per il traghettamento nell'altra dimensione. 

Anche in Irlanda , vi era in abito celtico, la lamentazione funebre ritualizzata, recitata da una o più donne, che venivano poi ricompensate, e che veniva fatta per lo più in gaelico , incomprensibile ad orecchio inglese, che rendeva libera l'espressione del dolore ,della rabbia, della ribellione , che portava la luce la "verità di un uomo". 

Agli  uomini era riservata l'organizzazione dei "giochi" funebri più leggeri , l'intrattenimento insomma,  come anche il raccontare delle storie che non riguardassero nello specifico la vita del defunto. 

Invece in Sardegna si sviluppa proprio uno stretto legame tra narrazione in versi da parte de "is attittoras" e il defunto. Poiché le attittoras hanno bisogno del defunto , come "s'anninnora " ( la ninnananna) ha bisogno del bambino. Si crea un legame sacro tra attittoras e defunto, perché si cerca di essere le portavoci di tutto ciò che ha vissuto ed è stato, fin da piccolissimo. 

E questo implica assoluta sacralità e un' immergersi totalmente in quella che è stata la dimensione terrena del defunto, anche se non lo si conosceva bene, ed è per questo che le attitadoras hanno il Dono di vedere oltre, di intuire come fosse il defunto in vita. 

Bisogna cantare in rima, e non basta il " saper piangere" bene, ma bisogna anche avere maestria nel trovare le parole giuste e non cadere nel ridicolo, cantando cose non veritiere. 

Le attittadoras ancora praticavano fino agli anni '70 /'80. Avere contatto con la dimensione "altra" sentendo l'anima che ha lasciato questa terra, non è da tutti, ed ecco perché il canto funebre ha un alto valore  attivo, terapeutico  e simbolico. 

Si deve essere Janas, per poter essere attitadoras. 

Bisogna essere delle "jannas", delle porte, dei portali, degli anelli di congiunzione tra il mondo dei vivi e quello dei morti. 

Spesso questi canti funebri venivano annotati a mano dalle stesse attitadoras, come un archivio di suoni, di parole, di grafemi particolarizzati per ogni occasione. 

Gli uomini non potevano partecipare al canto, e anzi stavano in stanze diverse rispetto alle donne. 

Le donne si rivolgevano al defunto con un "coru meu" (cuore mio), a prescindere dalla relazione che avevano con esso. 

Erano donne particolari, le attitadoras,  che mettevano a servizio della comunità non solo le  loro loro doti canore, ma anche i loro talenti in altri contesti, come la preparazione del pane, dei dolci del vino, oltre che Doni sciamanici. Donne capaci, talentuose, che spesso si tramandavano l'essere attittadora, di madre in figlia. 

Una vocazione, una passione, di cui facevano parte anche le "accabadoras", coloro che si occupavano di  "finire"  il moribondo, di fargli finire dignitosamente il ciclo di vita

Essere attitadoras, implica molte e profonde capacità. 

Implica velocità di pensiero, velocità nel comporre  rime associative, implica l' avere il senso del ritmo, della bellezza, poiché si dovevano celebrare le virtù del defunto. 

Poiché nel canto delle attitadoras, vi è il racconto, la storia del defunto, un suo memoriale, anche se a volte si esagerava in iperboli o metafore, o figure retoriche che a volte sconfinavano in ridicolo, poiché non corrispondevano al vero. 

E in certi casi il rischio era teatralizzare troppo. 

Gli "attitos", questi canti in versi, erano sacri e benvoluti, e nessuno li ostacolava, poiché erano molto musicali e ritmici, quasi delle filastrocche gradevoli nell'ascolto, musicalmente e ritmicamente parlando, e quel in questo ricordano molto le ninne nanne che si usavano per calmare il dolore dei piccoli, per accompagnarli nel sonno. 

Ecco perché la parola attitadoras rimanda alla parola "Titta" dell'allattare. 

Ecco perché la tradizione di ricordare a onorare i morti, passa anche e sopratutto attraverso i bambini, attraverso la tradizione "de is animeddas" o " paixeddasa" ( i pani piccolini)  in onore dei morti. 

Perché i bambini rappresentano la luce, rispetto alle tenebre del mondo dei morti, e solo loro possono trovare con esso, quel punto di equilibrio giocoso e puro, che sia di canale e comunicazione con loro, intagliandosi  e svuotandosi da soli le zucche, anticamente, per portarle in giro per la "questua" , e riempirle di delizie per loro e per i morti, in condivisione. 

Sapendo che in  esse,  svuotate, dimoravano le anime dei morti, e infatti le zucche svuotate e intagliate  erano chiamate, e ancora oggi, specie nella zona della Barbagia," sa crucuriga a forma conch'e mortu", la "zucca  a forma di testa di morto". 

La zucca come simbolo di trasformazione e rinascita, come la zucca trasformata in cocchio d'oro nella favola di Cenerentola, dove i semi della zucca, sono un simbolo di resurrezione, cioè di passaggio dalla luna nera  alla luna piena, e tracciano il sentiero che, dagli inferi bui del periodo gelido, conduce al cielo luminoso della primavera e dell' estate, con il suo giallo oro che ricorda il sole.

Nell’antica Grecia era adorata una divinità delle zucche,  chiamata Kolokasia Athenai, quindi con  riferimento non solo alla dea Atena, ma anche alla Luna e agli influssi che essa esercita sui cicli di produzione della Terra. 

Non è dunque casuale lo stretto legame tra questo frutto mitico e la Grande Madre Terra, archetipo per eccellenza, dispensatrice di cibo e, in quanto tale, simbolo di abbondanza, di fertilità e di ricchezza.

Le" animeddasa", quindi, sono le zucche svuotate, le rappresentanti, in piccolo, delle anime dei morti. 

Le zucche che poi, di sera, venivano tenute accese, con dei lumicini dentro, per sentire la presenza dei defunti, ancora con loro. 

Per giocare e ridere con loro, come quando si improvvisano tra gli adulti, anche loro, attittadores, e inscenano poi con il gioco, anche tra di loro, le morti finte. 

Perché i bambini attraverso il gioco imparano a gestire bene le cose dei grandi. 

Imparano sin da piccoli a imitare anche le attività delle attitadoras, perché il  loro canto non è dissimile da  "su nannai", dalle ninnenanne, dal cantare una filastrocca per addormentare i bambini, dal  cullare amorevolmente. 

Ecco perché per capire bene la valenza simbolica, antropologica e sociale della tradizione de is animeddasa,   bisogna  affondare la ricerca dal punto in cui parte la ritualistica del rispetto dei morti e della morte. 

Rispetto che è sempre stato presente nella cultura e Civiltà Sarda, e che ha la sua massima espressione proprio unendo e coinvolgendo in questo rispetto anche quelli che saranno gli adulti del domani, proprio i bambini, con la loro purezza e allegria. 

I depositari della continuità della tradizione, che qui in Sardegna sta sopravvivendo più che in altri luoghi, con grande partecipazione. 

Poiché tutte le attività che riguardano il mondo degli adulti sono già  connaturate nel gioco, che creare un mondo immaginario vicino a quello che già esiste in natura. 

Il gioco stesso è cultura, e a volte si insegna il valore della morte da bambini, come se fosse  un gioco segreto. Il gioco di per sé, ha una sua funzione culturale ben precisa. 

Non capiscono bene perché stanno assistendo al rito funebre, ma lo capiscono con il tempo, perché ne assimilano il valore simbolico.  Si impara e si ascolta, e si impara a gestire un avvenimento importante come la morte, e onorarla con rispetto. 

Le risate irriverenti, il dolore,  come il "witz ebraico" , quel moto di umorismo sottile, intelligente e acuto, che nasce nei campi di concentramento, la più alta forma di ironia che nasce dal dolore. 

Si  demonizza  il dolore con una risata pura, come quella dei bambini, e in questa congiunzione  tra il mondo dei vivi e quello dei morti, non può che essere rappresentata dalla purezza dei bambini, che passano di casa in casa a chiedere "is paixeddasa" per l'anima dei morti. 

I bambini sanno intercedere con i morti, allo stesso modo in cui le attitadoras intercedono con loro, per  lenire il dolore dei loro cari. 

Attraverso il canto delle attitadoras  si sta in sospensione tra la vita e la morte. 

Attraverso la risata pura e spontanea dei bambini, che è fautrice di vita, si  è facilitati ad entrare in contatto con il mondo dei morti e si accompagna il defunto in allegria. 

Per questo motivo, spesso  durante "is attitos", arrivava una figura femminile chiamata "sa buffona", che sdrammatizzava nei momenti di forte tensione emotiva. 

Succedeva soprattutto nella Sardegna settentrionale, ed era colei che cercava, con scherzi  e battute, di far ridere i presenti una volta che il defunto  veniva portato via, e in questo senso la risata era terapeutica. 

E questo già rientrava in qualche variante degli attitos, dove si giocava sui doppi sensi, anche sessuali. 

La  risata è interconnessa  con lo sviluppo delle civiltà, e lo stesso  "riso sardonico", a cui dedicherò un post specifico, ne è un esempio. 

Quella risata di beffa e di sfida verso la morte, perché ridendo si crea la vita, e la risata è legata al lato riproduttivo. 

Le relazioni familiari si consolidano attraverso il rito degli attitos, fin da piccoli, dove gli adulti insegnano ai più piccoli a non aver paura dei morti, ad avere rispetto e a continuare a giocare come se fossero ancora vivi. 

In questo, gli attitos si differenziano dalla dimensione dei cantadores, poiché mentre i  cantatadores intrecciano relazioni sociali, economiche e politiche con la comunità, e cantano le vicende della storia della loro comunità di appartenenza,  negli attitos tutto rimane nell'ambito della dimensione intima e familiare, poiché si racconta solo del defunto. 

La partecipazione al rito funebre da parte dei bambini è come un gioco guidato dall'istinto del divertimento, nel cercare anche loro, le rime più consone, il ritmo più adatto. 

Da piccoli non capiscono il valore simbolico della morte, lo prendono come un gioco. Ma è da grandi che poi entra la  consapevolizzazione del  capire cosa significa perdere una persona cara. 

Lo sanno a livello emotivo, ma non a livello culturale e sociale, poiché gli attitos creano legami, e creano continuità nella civiltà, nella società poiché la maggior parte dei bambini sono  portatori puri de "Su Donu", del Dono. Hanno attitudine all'attitus, e notate come queste due parole, " attitudine e attitus", si somiglino, perché è un'attitudine naturale, spontanea, che viene dall'anima, e che difficilmente poi in società, con strumenti "sociali", potrà essere identificata. 

I talenti bisogna portarli alla luce, e per essere portati alla luce, hanno bisogno di sganciarsi dal contesto sociale, a differenza invece di ciò che fanno i cantadores, che attraverso  le loro  rime estemporanee delle cantadas,  creano legami sociali. 

Nell'attitos, si esce dal contesto comunitario e sociale, e si instaura  un legame sciamanico tra  i vivi e i morti. 

Ancora una volta la civiltà della Sardegna si dispiega attraverso questi viaggi che mi prendono nell'intimità di  certe tradizioni che finora avevo vissuto e osservato con occhio fisico,  e si rivelano sotto un sentire diverso, accorato, che viene dal cuore. 

Come se, giunti a questo punto del  percorso, fosse necessario percepire in modo diverso e maggiormente consapevole, ciò di cui siamo stati testimoni. 

Tutto questo mi fa capire come davvero i nostri antichi sardi erano dei Viaggiatori multidimensionale, in bilico  in equilibrio tra gli opposti, tra la vita e la morte, e come costantemente applicassero questa abilità  energetica, ogni giorno, fin da piccoli. 

Un' educazione verso la vita, e verso la morte

Morte, che è sempre stata loro alleata, perché è semplicemente un'altra dimensione, che si può affrontare  anche ridendo di qualche attitos azzardato, a doppio senso, e gioendo delle risate dei bambini, limpida e cristallina come l'acqua delle Sorgenti sarde. 

Una risata destrutturante, rivitalizzante, quella bambini mentre si rincorrono di casa, o mentre imbandiscono la tavola anche per loro, per la notte che verrà, e che culla nel suo ventre, le Anime dei morti. 

Quest' anno niente scampanellio di prima mattina. 

Mancherà a tutti, soprattutto le loro risate diamantine, simbolo della continuità della vita, attraverso la memoria, depositata tra le loro calde manine mentre accolgono i Doni per i morti, che non sono morti, riposano altrove. 


Tiziana Fenu

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Radici della tradizione de "is animeddas" nella tradizione Sarda



















giovedì, ottobre 29, 2020

💛Significato dei mesi in sardo. (Dedola)

 Significato dei mesi in sardo secondo antichi dizionari: ottobre

A meno che la lingua dei Sardi non venga salvata da un “Deus ex machina” potente, volitivo, misericordioso, capace di suscitare una riscossa di massa oggi inimmaginabile, non c’è lume che possa far presagire la nuova alba del nostro pensiero. Il più delle volte l’ignoranza inveterata e belluina entro cui le accademie ci hanno imbragato ci rintana nella moda del pensiero “coloniale” (un vizio che non sappiamo evitare), e ciò che somiglia alla lingua italiana ci appare come prodotto d’importazione. Ma non è così, quasi mai lo è. Questa prospettiva deve essere ribaltata nella coscienza che nel Tirreno già da 10-30-40.000 anni fa esisteva una lingua comune, e che oggi non c’è alcun male a notare parole uguali provenienti dalle due sponde.


MESI E LADÁMINI indica il mese di ‘Ottobre’ ed è parola molto antica, parola sarda, anche se percepita con fastidio per quel ladámini contiguo all’it. letame. Fin dalle arcaiche procedure del Neolitico, nel mese di Ottobre si cominciò a distribuire il letame sui campi. Ed è proprio la forma ladámini a fare scoprire la genuina antichità del nome sardo, la più vicina alla fonte originaria, che è la voce assira (w)alādum ‘to give birth, dare la vita, generare’. Già decine di millenni addietro si aveva coscienza che il letame genera nuova flora dai pascoli.


 

Parola talmente importante, questa, che diede il nome alla “tomba dei giganti”, nel centro-nord chiamata lada, ossia ‘colei che genera la vita’. Infatti la “tomba dei giganti” divarica religiosamente le sue tornite gambe verso sud-est, laddove il Dio Sole s’alza giocondo a seminare vita sulla Terra, e quella porticina al centro dell’esedra del gigantino non è altro che il delicato e pudico ingresso della vagina della Dea Tellus, la Dea Madre dell’Universo che riceve la vita dal Sole e rigenera tutto il creato, nell’eterno ciclo di nascita e morte, la Metempsicosi mediterranea.


Sono i Latini ad aver conservato male l’originaria parola (w)alādum, e fin dal 200 avanti l’Era Volgare lo confusero con laetus e scrissero laetamen, chiamando ager laetus ‘campo lieto, felice’ il campo fecondato dal letame. È da là che s’instaurò l’it. letame. Ma ancora una volta è la Sardegna ad aver conservato molte più forme per l’identico concetto, spia dell’enorme importanza che i Sardi annettevano all’evento, ed anche spia della ripartizione dell’isola tra potenti tribù. Era talmente importante l’aspetto della “fecondazione” che i quattro cantoni sardi (che possiamo considerare i Quattro Giudicati ante litteram) diedero quattro nomi diversi al solo mese di Ottobre.


RUZZITTU è l’altro nome, diventato persino cognome; arcaico nome sardiano avente base nell’antico babilonese rubṣu(m) ‘letame d’animali; lettiera’ + sumerico itud ‘mese’, col significato appunto di ‘Mese del letame’. Ma dopo la dominazione romana arrivarono i preti bizantini con la loro foia “civilizzatrice”, mirante a far sparire ogni e qualsiasi aspetto dell’antica civiltà isolana, considerata indegna d’una nuova spiritualità avulsa dalla “corposità” che i nostri avi tenevano nei rapporti con Dio, una novità in cui l’astrazione re-indirizzava ogni pensiero ad immagini eteree, sradicate dai bisogni dell’umanità e ricche di parole formalizzate dove imperava la rigorosa separazione dell’uomo da se stesso.


Era cominciata l’era dei santi. Ora si può notare il raffinato impegno dei preti a mistificare ogni aspetto della civiltà sardiana, stravolgendolo e reimpostandolo con linguaggio ipostatico, dove gli antichi vocaboli riemergevano come nuova epifania del “divino”, luminosa dimostrazione della “predestinazione” del popolo sardo verso la nuova santità che gli era riserbata fin dai millenni trascorsi.


SANTUAÍNI in tal guisa, in molti villaggi dell’isola, diviene il nome del mese di Ottobre. Il quale con San Gavino non ha niente da spartire, avendo la stessa etimologia già vista per l’Autunno della Gallura (Vagghjmu).


Infatti la sua base etimologica è il sumerico ua ‘approvvigionatore, rifornitore’ + gin ‘grass, erba’: ua-gin ‘approvvigionatore di erba’, ed in Sardegna l’erba comincia a crescere proprio con le prime piogge autunnali, che normalmente cadono all’inizio di Ottobre (Sant-ua-[g]ìni). Non mette conto fare osservare l’apposizione di quel Sant-, che i monaci bizantini inventarono per ogni occasione, senza che in questo caso si tenesse conto che santu Aìni (san Gavino) a Porto Torres, luogo del suo martirio, si festeggia nel mese di Maggio, non ad Ottobre. Ma tant’è. I preti avevano l’imperiosa esigenza di seminare ignoranza tra un popolo analfabeta, dimostrando che l’antico linguaggio, reinterpretato foneticamente, era la via profetica che spianava “le vie del Signore”. In modo identico procedettero anche in un altro cantone.


SANTU MIÀLE (san Michele) è nome del mese di ‘Ottobre’ nel centro-Sardegna. Tenuto conto che in questo periodo cominciano le grandi piogge, possiamo ricavare l’etimologia dall’assiro šatûm ‘bere’ + alû ‘Toro celeste’ (ipostasi del Dio Sommo, colui che fa cadere lo “sperma” divino ossia la pioggia: da confrontare col romano Giove Pluvio). In composto fece šatûm alû, ed al genitivo šatûm alī, col significato di ‘piogge del Dio Toro’. Non è un caso che la festa di S. Michele Arcangelo (ricorrenza bizantina) in mezza Sardegna ricada il 29 settembre, si può dire “a bocca di pioggia”. I Bizantini stavolta avevano azzeccato anche le date, giungendo al clamoroso risultato di “non cambiare nulla per cambiare tutto”.


Prof. Salvatore Dedola, glottologo


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Significato dei mesi in sardo








💜Il chakra della corona..

  Il chakra della corona controlla ed energizza la ghiandola pineale, il cervello e l'intero corpo. 

Il malfunzionamento di questo chakra può manifestarsi come malattie della ghiandola pineale e del cervello, che possono manifestarsi come malattie fisiche o psicologiche. 

La moderna ricerca scientifica mostra che la ghiandola pineale è collegata ai processi di invecchiamento e antietà.


Intelligenza intuitiva e intelligenza mentale

Il chakra della corona - Kether è il centro dell'intuizione superiore o della facoltà buddhica superiore. 

Questa facoltà, quando è completamente sviluppata, si manifesta come "conoscenza diretta" o "percezione interiore diretta". 

È sapere senza dover studiare.  Ciò che viene appreso attraverso la facoltà buddhica in pochi minuti richiederà settimane, se non mesi, per essere messo in parole. 

Una persona con solo una facoltà mentale sviluppata dovrà svelare o superare un problema;  considerando che una persona con una facoltà buddhica anche solo parzialmente sviluppata ha una rapida comprensione generale del problema e della sua possibile soluzione

Sfortunatamente, il nostro attuale sistema educativo non incoraggia lo sviluppo dell'intuizione, sulla base del fatto che la soluzione o conclusione non è razionalmente  raggiunta 

La percezione o l'intuizione diretta non è logica o razionale. 

La verità è che la facoltà intuitiva è al di là della logica;  trascende la logica e la mente razionale. 

Nel buddismo, la percezione interiore diretta o l'intuizione è chiamata Budhichitta. 

Kether è il centro intuitivo. 

Cos'è l'intuizione?  Qual è la differenza tra intelligenza intuitiva e intelligenza mentale? 

La differenza è simile a quella tra un uomo che può vedere e un uomo che è cieco.  Se un cieco vuole conoscere un elefante, deve toccarlo per un bel po 'di tempo, raccogliere dati ed elaborarli per avere un'idea della forma dell'elefante. 

Una persona che ha occhi per vedere aprirà semplicemente gli occhi e saprà esattamente che aspetto ha un elefante e dirà: "Quello è un elefante". 

L'intelligenza intuitiva è proprio come aprire gli occhi e dire: "So di cosa si tratta". 

L'intelligenza mentale richiede lo studio e l'uso della logica attraverso il ragionamento induttivo e deduttivo.  Molte scoperte scientifiche vengono fatte attraverso l'intelligenza intuitiva. 

Le idee lampeggiano semplicemente nella mente di alcuni scienziati.  Molti buoni uomini d'affari hanno un'intelligenza intuitiva.  Loro "guardano" a certe transazioni e vanno dritti al punto nell'esecuzione dei piani.  La pratica prolungata della Meditazione sui Cuori Gemelli aiuta una persona nella sua capacità di “vedere” e “penetrare” molto rapidamente.  Le persone con intelligenza intuitiva diventeranno molto superiori. 


Traduzione dal testo in inglese di Choa Kok Sui.  "The Spiritual Essence of Man: the chakras and the inverted tree of life"


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Il chakra della corona..




💛Il Toro come simbologia nell'antica Civiltà Sarda

 Il toro come simbologia dell' antica  civiltà Sarda


Il toro è sempre stato un simbolo di energia fecondante maschile, indispensabile elemento per la creazione

È stato rappresentato in ogni cultura, preceduto in epoca paleolitica da animali possenti e virili come il mammut o il bisonte

Apis, il toro sacro, era venerato anche presso gli Egizi, il figlio di Hathor, rappresentato con macchie bianche che dovevano rappresentare la mezzaluna nel fianco e il triangolo sulla fronte

Questi Tori sacri venivano anche sepolti in un'unica area  comune in granito, dentro dei corridoi sotterranei chiamati Serapemeum, come il Serapeo di Saqqara, con  giganteschi sarcofagi probabilmente realizzati per ospitare i resti mummificati dei Sacri Tori Api ritenuti venuti dal cielo, ma in effetti molti di essi sono stati trovati vuoti. Otto metri cubi di volume interno a 12 metri di profondità, risalenti a  oltre 3000 anni fa, a 800 metri dalla piramide di Teti

Strano. Un "Teti" lo abbiamo anche noi in Sardegna, dove è stato ritrovato il famoso bronzetto di Teti

Ventiquattro tombe che al loro interno presentano anomalie energetiche

O forse erano portali dimensionali, come le Domus de Janas, come le Tombe dei Giganti, come i nuraghi, accumulatori di energia

Rappresentavano il  sole, l'elemento indispensabile, insieme all'acqua, per fecondare la terra


Della potenza simbolica ed energetica  del Toro, abbiamo rappresentanza e testimonianza qui in Sardegna

Protomi taurine ovunque, nelle Domus de Janas, nella sagoma delle tombe dei giganti

Protomi taurine che si sovrappongono e si identificano, come un elemento androgino anche nella valenza simbolica del femminino, dell'utero

Protomi taurine uterine che insieme formano una potente sinergia creativa


Credo che la civiltà Sarda sia stata  l'unica a rappresentare,  nell' unico segno grafico della protome Taurina, la doppia complementare valenza, anche  della simbologia uterina

Questo è evidente soprattutto osservando la costruzione architettonica delle tombe dei giganti dove vi è un chiaro riferimento al ritorno all'utero cosmico della madre terra e al grembo primordiale

E questa particolarità che si è sviluppata  nella civiltà Sarda, differisce di molto, dalle altre civiltà, dove il Toro Sacro conserva la sua valenza  di animale Sacro e sacralizzante, veicolo e simbolo di una dimensione iniziatica e sacrificale, necessaria per la generazione della vita, che non si è sviluppata nella nostra Civiltà, ma, anzi, ha lasciato spazio a quella dimensione sinergica con il Femminino, con la Dea Madre, lunare e uterina, per creare dimensioni oltre le strutture archittetoniche

Quelle dimensioni ultraterrene e ultrasensoriali che eppure permeano la dura pietra, estrinsecandosi in frequenze che differiscono dal resto del paesaggio, quasi ad indicare quell' impronta energetica che il Padre e la Madre Celesti, il Toro, il Sole e la Luna, hanno voluto imprimere a questa Terra, dove nessuno dei due è più importante dell' altro

Dove uno è l' aspetto complementare dell' altro


Il toro è stato adorato in quasi tutte le civiltà, da quelle mediterranee a quelle orientali, e la venerazione del Toro è iniziata circa 15.000 anni fa, come dimostrano le pitture rupestri, per esempio nel nord della Spagna, ad Altamira , risalenti al Paleolitico superiore, dove il soffitto delle grotte è ricoperto di imponenti dipinti con grosse mandrie di bisonti

Mammut, bisonti, tori. La simbologia iconografica non cambia. Potenza, virilità, fertilità

Le cerimonie iniziatiche avvenivano all' interno di queste grotte, e forse hanno inizio proprio con queste pitture rupestri

La prima testimonianza del culto del toro, arriva dall' Anatolia, 7000 anni fa


Una filosofia che si avvicina molto al tipo di unione e di complementarietà con il femminino e con l'acqua che lo rappresenta, la troviamo nel mitraismo,  religione misterica del dio iranico e persiano Mithra, diffusa specialmente in Asia minore nel 300 a.C, e poi in tutto l' occidente, compresa l'Italia, diffusa tramite le guarnigioni militari, a partire dalla fine del I sec. d. C.

Anche se ci sono delle differenze con la rappresentazione simbolica in Sardegna, l'acqua è intesa come elemento Purificatore, e  acqua e toro sono sempre rappresentati vicini

Nella classica iconografia mitraica vi è una rappresentazione del Dio  Mitra nell'atto di uccidere il Toro sacro

Dal suo corpo poi, si sarebbero generate  tutte le piante sacre terapeutiche, dal midollo si sarebbe creato il grano, e dal suo sangue la vita

Questo rituale in genere viene chiamato tauroctonia

Viene narrato, nell'ambito del mitraismo, che il dio del  male, invia un serpente e uno scorpione che cercano di attaccare il toro ai testicoli e di bere il suo sangue. Questo per contrastare tutte le forme di vita che da esso si generano

Ma il toro riesce ad ascendere verso la luna e dà origine  a tutte le costellazioni

Infine il Dio Mitra e il  Toro, diventano vincitori comunque sul male, e festeggiano con un  banchetto a base di acqua e di vino, che rimane nel culto mitraico come una forma di agape, di banchetto rituale, quasi un antesignano dell'Eucarestia Cristiana


Tra l'altro, i luoghi cerimoniali e di culto dei seguaci del mitraismo, erano nelle cavità e caverne naturali( chiamati mitrei) come le nostre Domus de janas

Considerando che il mitraismo  sembra nascere dal culto persiano di Mitra, nel 400 avanti Cristo, e che questo culto è stato adottato dai romani per via delle diffusione nelle  legioni dell' Oriente, a partire dal I  sec. a. C., è chiaro che essendo le Domus de Janas molto più antiche di almeno 3000 / 4000 anni, riguardo le rappresentazioni delle protomi taurine, il culto mitraico non può che essere una derivazione della nostra simbologia taurina/ uterina, considerando anche l' importanza che si dava all' elemento dell' acqua, sempre presente nelle rappresentazioni mitraiche cultuali


In ogni caso, in Sardegna non si è sviluppata questa simbologia del sacrificio, tipica del culto mitraico

Il toro che viene sacrificato in ambito mitralico all'interno della caverna, simboleggia l'altra faccia del sole, quella oscura, lunare

Il toro viene considerato come una forza oscura da affrontare, e questa ritualità faceva parte di una preparazione ai "misteri iniziatici", i quali  contemplavano l'incontro con le potenze dell'invisibile, per appropriarsene e integrarle con sé

Fin dall'inizio  il toro è stato simbolicamente collegato con il cielo, in ambito egiziano, come se fosse il lato notturno del sole, con le sue corna Lunari

In effetti, durante  lo sgozzamento del Toro, Mitra non guarda mai il toro negli occhi, per non restarne ammaliato, come Perseo che non può guardare negli occhi Medusa mentre la uccide, quasi che fosse un eroe che sconfigge le forze Oscure,  l'autore di un "sacrificio necessario" e positivo( l ' uccisione del Toro), con il quale inizia la creazione

Un sacrificio cosmogonico  che inaugura il "regno della luce"

Infatti negli antichi Veda(antichissima raccolta in sanscrito vedico di testi sacri risalenti al X X sec. a. C.,  una delle letterature più antiche al mondo, testimonianza di una arcaica civiltà indiana), il sole e le  vacche erano inizialmente chiuse nella pietra, e a anche il cielo era considerato di pietra

Si diceva infatti  che un cielo di pietra, serrava il sole e le vacche come in  una caverna e in questo senso, Mitra, veniva visto  come il "Signore delle vaste praterie", è un' iniziatore simbolico nel "segno della luce" 

Un sacrificio necessario per la creazione della  vita, che si deve compie non all'aria aperta ( come fu di consuetudine greco-romana), ma in un antro chiuso dentro la caverna, come se fosse un sacrificio notturno

Quello silenzioso degli degli Eroi, con l'uccisione del Toro Cosmico, generatore di vita


Invece, cambiando scenario e passando alla mitologia greca, abbiamo un Minotauro umano con la testa di toro, figlio di Pasifae  (moglie  di Minosse Re di Creta) e di un toro Celeste, rinchiuso nel labirinto costruito da Dedalo

Quel Dedalo, che a detta dei Greci, fu il leggendario costruttore delle torri in Sardegna che i greci chiamavano Daedaleia, la cui venuta in Sardegna, secondo la tradizione letteraria greca, risale al XV sec. a. C., mentre il Dedalo che accompagna Iolao risale al XIII sec. a. C, e comunque è chiaro lo stretto legame tra cultura Sarda e micenea

Toro che a Creta, veniva onorato ogni nove anni, dal sacrificio di sette fanciulli e sette fanciulle

La civiltà minoica era legata alla simbologia delle corna taurine rappresentate nell'architettura cretese insieme al tridente, simbolo che per la sua forma richiama le corna taurine

Nella civiltà minoica era praticata la tauromachia, già dal II millennio a. C.

Erano degli spettacoli nei quali si eseguivano degli esercizi atletici e acrobatici sui tori, da parte di giovani atleti, anche femminili, attraverso una sorta di danza acrobatica potenzialmente fatale, attraverso la quale si sfidavano le pericolose corna del toro, come dei valorosi gladiatori

Erano ragazzi che appartenevano alla nobiltà, e quindi di un certo prestigio sociale

Era l'eccellenza atletica in un rituale di spettacolarizzazione, che sottolineava nel contempo, quanto importante fosse simbolicamente  importante il toro, considerato sacro e con una forte potere sacralizzante

La presenza femminile in questi giochi atletici sacrali, indica  come anche  le sacerdotesse della Dea Madre avessero una posizione di prestigio al pari di quella maschile, e sono da considerarsi antropologicamente importanti, perché rientrano in quella ritualistica simbolica della fertilità, nella quale il femminino era parte attiva , del quale il Dio Toro  era la massima esemplificazione


In tutti i miti della leggendaria Atlantide, si narra di tre giovani in re, tre giovani eroi, Androgeo( figlio dello stesso Minosse, e atleta sacro) , Eracle e Teseo, che hanno dovuto riportare vivo il temibile  toro bianco di Creta all'interno del recinto di Poseidone, per sacrificarlo su un altare formato da un blocco di bronzo

Quindi si tratta di una vera e propria investitura regale

Il Dio Toro nella sua rappresentazione minoica, era rappresentato coronato dal simbolo della doppia ascia bipenne, e dal rosone solare, specialmente a Creta, dove era considerato il tramite del dio Celeste

Ascia bipenne ritrovata anche in Sardegna

Ascia bipenne che rappresenta l'equilibrio del maschile e del femminile, come due triangoli che si uniscono attraverso il vertice in comune

Come quelle che si vedono tra le mani dalla Tanit


Non è una clessidra, quella che viene banalmente identificata come due triangoli che si toccano per il  vertice, come ho già scritto nel mio post sulla simbologia del fulmine

È la rappresentazione della forza duale elettromagnetica, del dipolo solare cosmico, che crea espansione di energia

È la rappresentazione della forza cosmica creatrice generatrice di due enti identici

Ascia bipenne delle quali si trovano tracce importanti anche in Sardegna

E tra l' altro, volevo sottolineare che le asce bipenni trovate sull' isola di Creta, erano lunghe oltre i due metri e mezzo, quindi potevano essere impugnate solo da uomini di statura veramente alta, dei Giganti

I giovani atleti che sfidavano il Toro venivano chiamati con il nome di Asterio, il nome del Minotauro, come il principe della tribù dei Coribanti, che erano i sacerdoti di Cibele (figlia di Gea e Urano) e degli operatori  sacrali, dei  guaritori che agivano in stato di trance ipnotico, attraverso la danza e i suoni, come fossero delle divinità minori della religione greca, i grandi Dei di Samotracia, famosi per i culti misterica che praticavano, i Cabiri, dei quali ho già parlato nel mio precedente post, dei quali facevano parte anche gli Antichi Sardi, entrambi, Samotracia e Sardi, come naturali discendenti dei Pelasgi

Il fatto che questi sacerdoti della Dea Cibele, il cui culto si praticava anche in Sardegna, la Grande Madre divinità primordiale, proprio quella che ha una corona turrita sul capo, che sembra un nuraghe, agissero sotto ipnosi, e che questi giovani atleti chiamati con il nome di Asterio si dilettassero in danze e acrobazie ipnotiche intorno al toro, sfidandolo, (Asterio contiene lo stesso nucleo consolatico STR, che indica il divino femminile, come stria- barbagianni e Tirso della Sardegna) sono simbolici di un  Sacro femminino guaritore, che pratica l'ipnosi come terapia curativa come le nostre  Bithie dalle doppie pupille


In Sardegna vi è una forte presenza del culto del toro a partire dal IV  fino al II millennio a. C., presente in  ogni manifestazione della civiltà di quel periodo

In Sardegna la presenza del culto mitraico, e ci sono tracce del culto mitraico 

Anche il carcere di Sant'Efisio, pare che fosse un luogo di incontro dei devoti di Mitra, i quali sceglievano, in onore di questo dio dalle origini persiane, sempre ambienti sotterranei, o grotte, poiché Mitra era nato in una grotta


Quindi in  Sardegna il culto del dio Toro  come divinità solare fecondante dalla dea madre, era  molto sentito, ma con la particolarità che è sempre andato  in sinergia complementare con essa

Non viene inteso come in altre civiltà e culture come un sacrificio necessario  cosmogonico


Qui in Sardegna abbiamo una visione totalmente divergente dalle altre culture di quel periodo parliamo del III-IV millennio a. C. con la quale invece il culto del Toro procede

In Sardegna si sviluppa sin dal Neolitico con incisioni rupestri o pitture dentro le Domus de Janas

La  Civiltà Sarda, di cui troviamo tracce in ogni angolo del mondo

Nel II e III millennio, astrologicamente, eravamo in piena epoca del Toro


E d'altronde, proprio il grafismo del primo archetipo Sacro, la prima lettera sacra dell'alfabeto ebraico, l'Aleph, quello della generazione androgina,  ha la forma di una svastica, e simbolicamente l'Aleph, il bue/toro, come tale, dimostra la terribile forza dei vorticanti movimenti spirituali nel Piano materiale

Aleph è associata all'elemento Etere, o Akasha, da cui sono usciti tutti gli altri elementi (Aria, Fuoco, Acqua, Terra), ed è associato al chakra della gola (chakra Vishudda, l'Etere), quello che ha la sua corrispondenza con la vagina femminile( Vishudda-udda, di cui parlai in un precedente mio post) 

Il tracciato di questa lettera (in aramaico) corrisponde alla testa di un bue/toro con le sue corna


L'Etere contiene in sé una forza vorticante. I chakra del corpo sono dunque centri Eterici animati da un movimento di rotazione

Toro è anche l'immagine del Dio maschile, è l'EL, il Dio Toro

 Sono le danze in cerchio intorno a pietre erette, a quei betili e menhir, le "perdas fittas", così tanto diffusi in Sardegna, a volte lente, a volte veloci, che simboleggiano l'unione dei princìpi maschile e femminile, il coito, dove la forza vorticante o circolare è un'espressione della forza sessuale. 

Nelle pratiche tantriche o taoiste, la circolazione dell'energia descrive un'ansa tra i due partner (orbita microcosmica) e passa dall'uno all'altro

È la stessa ansa generatrice di energia, di cui ho parlato nel post sulla simbologia del fulmine, quella che si attiva con le due polarità maschile e femminile, rappresentata graficamente da due coni/triangoli, uniti per il vertice, come una coppia divina fosfenica, generatrice di luce

L'energia di questo corpo vivente è animato da movimenti vorticanti, rotazionali, proprio come lo spin degli elettroni.


Nell'ortografia di Aleph è contenuto il nome Divino – El-, contrazione del nome Divino –Elohim-, Dio che va a presiedere tutta la creazione. La restante lettera è la Pe che, in quanto iniziale della parola Peh (Pe-He), significa Bocca. 

Vista in questo modo Aleph potrebbe leggersi El Peh = Bocca Divina, ovvero: Il verbo Divino attraverso il quale si farà la creazione.

Quindi Aleph, la creazione, non solo è Toro, come forza fecondante, come anche come suono, come parola che crea

Aleph, il Toro, può essere ribaltata e gira su se stessa, come una spirale

Il movimento che genera la vita e che unisce gli opposti

E questo combacia esattamente con ciò che ho scritto nel mio post sulla simbologia del fulmine, che è la forza Creatrice della creazione, quello che energeticamente si ricreava con il movimento ad ansa per evocare pioggia e fulmini, e nelle pratiche di incubatio, molto diffuse in. Sardegna


Tutti i nuraghi sono costruiti a spirale conica

Le cupole sono perfettamente spiralizzate

E sicuramente ciò che è rimasto di visibile dei nuraghi, è la parte del cono inferiore. 

Quella superiore, l'altra parte del cono deve essere stata esattamente come tutte le riproduzioni che vedo dei nuraghi, polilobati e non, così come è rimasta in alcuni nuraghi

L' altra parte del cono, rovesciato, del dipolo generatore di energia, come ho sempre sostenuto, perché i nuraghi erano esattamente accumulatori di energia, sede di cerimonie mistiche e iniziatiche, come ho scritto nel mio precedente post, di cui gli sciamani sardi erano i maestri iniziatici, i cabiri di quel campo sonoro ed energetico, perché i coni generatori creano un campo energetico armonioso in espansione in cerchi concentrici, i quali, appunto, sono il risultato di un polo elettrico

E questa polarità opposta dei coni elettrici, può aumentare la vitalità, rappresentata dalla crescita, o diminuire la vitalità, rappresentata dal decadimento, e rigenerare la vita anche attraverso la stessa morte

Le Due polarità, co-creano  insieme, essendo di polarità opposte

È come il principio del tornado. Massima forza nelle spirali in espansione, e massimo equilibrio al centro

Forza che può essere creativa o distruttiva

E gli antichi sardi sapevano bene come utilizzare questa forma di energia delle polarità contrapposte, anche a livello sonoro, sia per le pratiche di evocazione, per le incubatio, e come costanti centraline generative di energia


Tra l' altro, sicuramente, praticavano il Fosfenismo, parola derivante dal termine greco “Phos” che significa Luce, che indica un insieme di tecniche che permettono di trasformare l’energia luminosa in energia mentale. Le stesse provenivano comunque dalle tradizioni di culto iniziatiche del sole e del fuoco (ad esempio in Grecia con i Misteri Eleusini, e ancor prima in Oriente con i misteri cabirici

Ma come ho detto nel mio precedente post, i cabiri sono gli antenati prenuragici dei Sardi) .

Esse si basano sull'osservazione del sole o di una grande fiamma e sono in grado diprovocare il fosfene che, spesso inconsapevolmente, veniva utilizzato per sviluppare le facoltà sottili nell'uomo

Tutte le strutture architettoniche in Sardegna, sono basate sull' osservazione e sull' utilizzo delle potenzialità rigenerativa del Sole


Nel sito preistorico di Santu Lesei( Nule) è stato ritrovato un  bronzetto nuragico, un toro androcefalo, un mostro antropomorfo come un centauro

Forse una rappresentazione del Boe Muliache,  un' antico personaggio del folklore sardo, che ha influenzato la civiltà minoica e il rito del Minotauro

Il  "sacrificio" del Toro in  un'ottica di generazione e rigenerazione, appare necessario

Poiché dopo la sua morte si trasforma in luna, che raccoglie come un' utero cosmico il suo stesso seme,  e che con i suoi cicli delle sue lunazioni, scandisce i cicli fertili della donna  e della terra

Seme fecondante che viene purificato dall' acqua lunare femminile, e che poi viene sparso quotidianamente sulla terra sotto forma di rugiada

Questa connessione tra Toro e Luna, è chiamata  Hauma, liquido dispensatore di vita, la bevanda inebriante usata nei sacrifici rituali, 

La luna è in contemporaneamente luogo di morte e luogo di rinascita, dove rinasce la vita

Affinché sulla terra ci sia la rigenerazione della vita, la luna deve morire, (fase rappresentata dalla luna calante) e con essa deve morire anche il toro, che deve essere ucciso simbolicamente  dal Mitra Ariete


E infatti Apis, il toro egizio , è nero con una macchia bianca a forma di luna crescente, simbolo di Iside/ luna


Quindi tutta la potenza di "Osiride /Toro/ fuoco" , risiede nella "Luna/ Iside /acqua", poiché la Luna è generazione solo se associata al sole

Per questo motivo la luna è considerata una grande madre Cosmica, perché contemporaneamente è sia maschile che femminile, perché si lascia fecondare dal sole, la sua controparte energetica, e insieme scandiscono i ritmi della vita

Gli antichi chiamavano "Ape" la luna, e inizialmente la luna era considerata maschile.

Le "Api" erano Infatti le sacerdotesse di Demetra,  le dee dell'iniziazione alla fertilità

Sia  perché la luna è produttiva e fertile, sia perché  la luna è anche "Toro/Apis"  in senso androgino

Poiché l'esaltazione della Luna, del femminile, avviene attraverso il toro e viceversa, in più come dice  la  leggenda, le api nascono dei buoi

Il toro associato all'acqua lo si vede anche nei vasi Minoici , dove i Tori sono spesso decorati con motivi concentrici, simbolo del femminile acquifero, del liquido amniotico dispensatore di vita


D'altronde il fuoco primordiale, quello generativo nasce nel buio del grembo, della Grotta, dell'umidità, dell'acqua, della luna che lo purifica, e lo fa evolvere ad una nuova vita

Il seme, lo spermatozoo simbolico del toro, si sacrifica con la morte, per rinascere dalla Luna, purificato

Luna che magnetizza il calore del sole

Luna che deve liberare  la Quintessenza Vitale e Pura del Toro in ambiente sacro, notturno, oscuro, come quello di una grotta, di una caverna

Come quello Sacro e silenzioso delle Domus de Janas


Questo processo , in alchimia viene chiamato "l'estrazione dell'acqua Divina", dell'acqua Argentea, di quel Mercurio che poi viene trasformato in oro, proprio dall'acqua, che è fonte di vita, per il grano, per l'uva, per ogni forma di vita

Infatti la Stella Maris, il fiore a sei punte, il "fiore della" vita , in alchimia è chiamato "acqua stellare"

Stella Maris o "fiore della vita", così caro ai sardi, e così importante nella simbologia della civiltà Sarda, tanto da inciderla sulle maschere dei Boes, e che rappresenta l ' elemento trasformante, Alchemico del Mercurio,  nella sua forma più nobile, nella sua forma di "acqua Metallica lunare", bianca e brillante. Argentea. La Sardegna, tenendo conto che potesse benissimo essere Tartesso, la terra dei metalli, abbondava di argento

Infatti, anche l' acquifero Nettuno  è rappresentato da un tridente che richiama le corna taurine, la luna uterina con le sue corna taurine

Infatti il nome greco di Nettuno deriva da "Bous", toro/bue" e da "immagine/ simulacro /spettro"


Così viene descritto, nel "Il Mistero delle Cattedrali" di Fulcanelli ,  questo processo alchemico dello "zolfo/sole/toro" che si trasforma in acqua pura attraverso l'azione mercuriale e purificatrice  della luna

"Considerati dal punto di vista della pratica alchemica, il toro ed il bue erano consacrati al sole, proprio come la vacca lo è alla luna, e raffigurano lo Zolfo, principio maschile, dato che il sole è chiamato metaforicamente Padre della pietra. Quindi, il toro e la vacca, il sole e la luna, lo zolfo ed il mercurio sono dei geroglifici d’identico significato ma indicano le nature primitive contrarie, prima della loro congiunzione, nature che l’Arte sa estrarre dai miscugli imperfetti.

[...] il mercurio volgare, purificato da ogni impurità e perfettamente volatilizzato, assumerebbe una qualità ignea che normalmente non ha, e sarebbe capace di diventare, a sua volta, solvente.

[...] Per ottenere il mercurio filosofico, si deve dissolvere il mercurio volgare senza diminuire in nulla il suo peso, perché tutta la sua sostanza dev’essere convertita in acqua filosofica. I Filosofi conoscono un fuoco naturale che penetra fino al cuore del mercurio e che lo spegne interiormente e conoscono anche un solvente che lo cambia in acqua argentina pura e naturale; essa non contiene e non deve contenere nessun corrosivo. Non appena il mercurio è sciolto dai suoi legami, ed è vinto dal colore, assume la forma d’acqua, e quest’acqua è la cosa più preziosa del mondo. Ci vuole assai poco tempo perché il mercurio volgare prenda questa forma».


In alchimia , quindi, il seme del toro è lo zolfo, colui che si infiamma per  generare  calore  nel grembo femminile della trasformazione e generazione, rappresentato  dalla  luna, la madre Mercuriale , quel Graal divino, custodito dalle  sacerdotesse egizie come  fuoco Celeste di Ptah, il dio creatore, il demiurgo,  di cui il Toro Api era l' oracolo, il rappresentante sulla terra

Che si incarna continuamente e viene custodito , nei bracieri, nei crateri, nei tripodi, che rappresentano simbolicamente l'organo femminile della generazione

"Sangue/ vino" che bolle nel sacro calice della fermentazione della vita, come il pane e il vino Santo, sono il fuoco della materia, la loro unione produce la vita

Ecco perché la presenza dei vasi Tripodi come quello nominato nel mio post riguardo i  luoghi di culto in Sardegna, del Tempio di Santadi, nella grotta Pirosu, nella riproduzione del ricercatore Valerio di Camillo

Perché attraverso la bollitura del vino, si riproduce quella fermentazione simbolica del  sangue, vitale generatrice di vita


Si deve sacrificare il toro rendendolo sacro letteralmente e non in senso negativo, al culmine della sua manifestazione fecondante, prima  che perisca con vecchiaia e malattia, per essere poi riportato in vita, attraverso la luna Mercuriale e trasformatrice, in una forma più forte e vigorosa

"Sacrificato", nel senso di essere "reso sacro" alla grande madre affinché possa ancora rigenerarsi in Toro

Anche l'antilope e il cervo hanno la stessa simbologia, tant'è che si trovano nell' artigianato sardo e nelle protomi della navicella nuragica

Erano considerati più regali, rispetto al toro

Il Minotauro è Minosse stesso, minor la figura mitica principale dell' Antica Creta sotto forma di toro

E il labirinto è una rappresentazione dell'utero primordiale

Arianna viene spesso rappresentata con il fuso in mano, colei che tesse il labirinto, l'oriente creatore che attira a sé 

"Arianna è una forma di airagne (ragno), per metatesi della i. La nostra anima non è forse il ragno che tesse il nostro corpo?

(...) Ma questa parola significa anche " prendere, cogliere, trascinare, attirare"; da esso deriva άίρην, ciò che prende, attira, coglie. 

Quindi άίρην è la calamità, la virtù rinchiusa in quel corpo chiamato dai saggi: nostra magnesia.  

(...) Nel dialetto provenzale, il ferro è chiamato aran e iran secondo le varie inflessioni. 

(...) Ma "aryan" è anche l’astro che esce dal mare, che sorge, l’Oriente. 

(...) il più celebre dei labirinti antichi, quello di Cnosso a Creta(...) era chiamato Absolum e questa  parola è assai vicina a quella di Absolu (Assoluto), nome con il quale gli antichi alchimisti indicavano la pietra filosofale"


Frasi tratte da "il mistero delle Cattedrali" di Fulcanelli


Perché Arianna, la signora del labirinto, tesse intorno a sé la sua comunità, come Aracne, come un ragno, attraverso il cordone ombelicale rappresentato dal labirinto.

Una comunità di appartenenza

Ancora oggi ad Austis(Nu) si balla su ballu sardu a kintorzu, memoria del ballo della gru cretese, precluso agli "stranieri"


La  Civiltà Sarda, di cui troviamo tracce in ogni angolo del mondo

Nel II e III millennio, astrologicamente, eravamo in piena epoca del Toro

In Sardegna, si assiste diversamente dalle altre civiltà, ad una totale simbiosi tra elemento maschile ed elemento femminile, tra Sole e Luna tra Toro e utero

Non si sente più la necessità di sacrificare il toro attraverso delle  ritualità, o sacralizzarlo in modo che diventi veicolo di rituali iniziatici e regali

Si assiste fin dal Neolitico ad un totale assorbimento  e complementarietà tra i due elementi, e questo lo si nota soprattutto a partire dalle Domus de Jana, dove le protomi taurine, da elementi singoli diventano elemento decorativo sacrale che sovrasta il Portello iniziatico,  il Sacro ingresso del defunto verso la vita ultraterrena dopo la morte

Le Due forze agiscono in sinergia

Lo si vede specialmente in alcuni passaggi (e anche nelle false porte) all'interno delle Domus de janas, spesso con quelle tre cornici superiori  bene in evidenza

Domus de janas alchemiche di guarigione e rinascita legate ai cicli lunari, in cui la Dea Madre guaritrice si fa portavoce

Tre protomi sovrapposte legate  ai  3 cicli lunari di nascita, morte e rinascita


Abbiamo una simbologia molto forte in questa immagine nella Domus de janas Sas Concas di Oniferi( Nu) , dove partendo dal basso vediamo una cornice fa da  contorno ad  una porta, un piccolo passaggio

Tre cornici incastonate l'una dentro l'altra, nella parte superiore, una H ad unire insieme le due parti, superiore ed inferiore, quasi ad unire simbolicamentele due dimensioni, quella della vita e della morte

La struttura portante è quella cornice che incornicia quella piccola porta, questo passaggio

È tutto un insieme  che rimanda ad un unico e inconfondibile archetipo, oltre che alla H di Hermes/Mercurio

L' ottavo Sacro archetipo "He" con funzione  riparo, ovile, influenzato dall'energia lunare, e simbolo della rinascita  dopo la morte

È rappresentato dalla lettera "H", quella che ben si vede come tratto di unione tra le due parti superiori ed inferiori, la cui forma rappresenta un recinto chiuso, un luogo sicuro , un riparo, ciò che mantiene in piedi l'ordine naturale delle cose

Ed è proprio questo ordine a rappresentare la manifestazione fisica della creazione


La lettera "H" che si muove  verso il mondo dei morti e dell'ombra, perché la H è come Hermes, come il Dio Mercurio psicopompo, in quanto alchimista e trasmutatore

E la H è proprio quell' acqua lunare, Mercuriale, trasmutante

Anche la formula dell' acqua è H2O

L' ossigeno è l' elemento più infiammabile in natura. 

Acqua e fuoco insieme

L' idrogeno, componente dell' acqua, ha come simbolo H, dal greco Hydor, acqua, più la radice "ghen-", "generare" 

"Gen-", "Jana" 

Anche la Jana genera, ed è un potente agente trasformante, mercuriale

Tanto che la H, nell' antico alfabeto sardo, era rappresentata dalla Tanit


Ecco perché le protomi taurine sono così rappresentate, nella storia della civiltà sarda

Perché rappresentano, nella simbologia originaria, la forza energica ed elettrica degli opposti, il movimento circolare della svastica che rappresenta l' Aleph, il toro primordiale e creativo, il Demiurgo

Svastica, che crea, con il suo movimento, collegato al suo complementare, la vita stessa, la rinascita, la forza creatrice, che sia forza elettrica, forza del suono o forza ipnotica rigenerante

Gli Antichi Sardi sapevano benissimo come gestire le energie della natura e trarne i massimi benefici, al punto da edificare strutture architettoniche che sono accumulatori e trasformatori di energia

E il simbolo di questa loro potenza, è proprio in quella protome taurina/uterina dalla quale inizia, con la loro sinergia, tutta la creazione. 

La svastica creatrice dell'Aleph/Toro

E in questo ci sono arrivati, non solo, prima di altre civiltà, ma hanno mantenuto sempre questa simbiosi attiva

A loro non servivano giochi olimpici con i tori per dimostrare la loro regalità, o ottenere un' investitura regale

Lo erano già, dei Re

Dei magnifici Sovrani

Sciamani e Sovrani, che agivano sempre con le loro controparti femminili, con la polarità opposta

Detenevano quelli che a noi sembrano "grandi misteri" e che resisteranno al tempo, all' uomo stesso

Non credo, però che ci siano grandi misteri dietro. 

Dovremo imparare ad osservare, a sentire le forze del cosmo, della natura, come facevano loro

Osservatori silenziosi e rispettosi. 

Tutt' uno con la Natura e le sue Energie

Cosa che noi, abbiamo perso da tempo, ma verso la quale ci hanno dato preziosissime tracce per ritrovarla

Per ritrovarci

Adesso come allora

In una dimensione dove il tempo non esiste

Perché loro, gli Antichi Sardi, il tempo, lo creavano


Tiziana Fenu 


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Il Toro come simbologia nell' antica Civiltà Sarda