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domenica, ottobre 25, 2020

💛"Quando cantavamo alla luna : su (i)dillu" di Bartolomeo Porcheddu

 QUANDO CANTAVAMO ALLA LUNA: SU [I]DILLU


“Beni intonende unu dillu” (vieni intonando un canto) è il verso dei Tazenda che ci ha fatto incantare nella notte di Sanremo del 1991. La possente voce di Pierangelo Bertoli che tuonava “Spunta la luna dal monte” era allora il ritornello quotidiano che potevamo sentire in ogni luogo. In quel momento, Andrea Parodi era tutti noi, la voce unica della Sardegna. Quando intervistai per la mia rivista Logosardigna, n. 4 del 2008, Gino Marielli, il compositore del gruppo, ebbi l’impressione di avere a che fare con un gigante di Monte Prama. Ma poi mi rasserenai quando vidi Gigi Camedda, che abitava vicino a casa mia, alle prese con la vita di tutti i giorni, come me.


Il Dillu è il nome di un canto sardo ritmato e veloce che accompagna spesso il ballo tondo, su “ballu tundu”, Sa Dilliriana, in cui uomini e donne in coppia si alternano nella danza per poi formare insieme un unico cerchio, come quello rappresentato dalla luna piena. Il Piccadillu era un pendolo rotondo che veniva legato alla culla del neonato per farlo addormentare; un po’ come i pendagli moderni che usano i maghi per ipnotizzare le loro vittime. Con il termine “Ballariana”, in sardo, s’intende anche un oggetto tondeggiante, simile ad una pallina, che varia e ruota come la cacca dell’agnello.


Il significato di “Dillu” è rimasto incerto fino ad oggi e viene associato generalmente alla prima parola che possiede la stessa radice, ossia al “Dilliriu”, in italiano “Delirio”, che vuol dire “perdita del controllo razionale”. Il problema è che il “Dillu” è un sostantivo a cui per aferesi è stata fatta fuori la prima sillaba. In origine, è relativamente semplice aggiungere la prima vocale, il termine era quello di “Idillu”, in italiano “Idillio”, che vuol dire “componimento poetico e musicale improntato al maggior benessere interiore”. Quindi, esattamente l’opposto del Dilliriu/Delirio.


L’Idillio, infatti, era il poema pastorale, tradotto dai Latini con “Idyllium” e dai Greci con “Εỉδύλλιον (Eidullion). Con “Idys” o “Idus” i Romani indicavano tra gli altri il 13° giorno del mese di dicembre, quando la luna raggiungeva la sua massima luminosità e chiudeva il suo ciclo annuale di 354 giorni, 8 ore, 48 minuti e 36 secondi; diverso da quello solare di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Per questo, in sardo campidanese, il mese di dicembre è detto mese di “Idas”, ovverosia mese della nascita della luna nuova, e concordava con il mese di “Nadale” logudorese, che segnava invece la nascita del sole, segnata il 25 dicembre, giorno del solstizio d’inverno.


Nella letteratura antica, il 13 di dicembre, oggi di Santa Lucia, era dedicato alla divinità di Diana, la dea lunare; mentre il 25 di dicembre, oggi la nascita di Gesù, era il giorno consacrato ad Apollo, il dio del sole. Diana ed Apollo erano fratelli quasi gemelli. Diana infatti nasce prima di Apollo e per questo, secondo la mitologia, aiutò la madre a partorire il fratello. Ancora oggi, la messa di mezzanotte per celebrare la nascita di Cristo si chiama “Missa de Puddu” (A-Puddu – Apollo). Lo scrittore greco Callimaco nei suoi Inni scrive: «La Sardegna è difesa da torri tutta intorno, Apollo guarda Diana, quale baluardo è più forte?».


Nell’antichità esistevano due calendari, uno agricolo (lunisolare) e uno politico. Il calendario politico era contrassegnato da aggettivi numerali che andavano da 1 a 10 e teneva conto del periodo in cui si poteva fare la guerra. Questa iniziava a marzo e finiva a dicembre, poiché nei mesi di gennaio e febbraio si osservava una tregua nelle attività belliche. Per cui il decimo mese del calendario politico era in latino December, da cui l’italiano Dicembre. I Sardi non accettarono mai il calendario politico romano e seguirono a chiamare il mese di dicembre, rispettivamente, con Nadale (logudorese) e Idas (campidanese).


Il Monte Ida era una montagna sacra dell’Isola di Creta, che dominava sulla pianura di Massara, nei pressi della quale era posta la città di Festo (Phaistos), luogo dove è stato rinvenuto il famoso disco di argilla in cui è raffigurato il guerriero sardo con l’elmo piumato. L’altra montagna sacra alla Ida era situata nella regione storica della Troade, in Anatolia, nei pressi della città di Troia (Ilos). Il Monte Ida cretese era anche scritto “Idha”, per meglio rappresentare graficamente il suono cacuminale della Idda sarda. Monte Idda è infatti presente in Sardegna in diversi luoghi, tra cui a Siliqua, San Vito, Castiadas e Posada. Idili o Idile è anche un cognome sardo.


Sa ‘Idda, il paese, nasce quindi da ‘Ida ed è la trasposizione sulla terra della luce lunare al suo massimo splendore. Sono direttamente collegati alla Ida lunare anche alcuni pozzi sacri, come Putzu Idu, o paesi come Idu, rinominato dai Cristiani Santu ‘Idu (San Vito). Come si evince da questi esempi, la consonante che manca in appoggio alla vocale /i/ iniziale era la /V/ che con il betacismo poteva essere scambiata o sostituita con una /B/. Quindi, Vidda o Bidda, in latino scritta Villa con la doppia /ll/ cacuminale, hanno comune radice con Vida e Bida (Vita), da cui Ida, nascita della luna nuova.


Il ballo tondo era pertanto dedicato alla luna, astro propiziatore di fertilità per le donne, che contavano con le lune il loro periodo di gravidanza. Il ballo era ritmato e festante ed ancora oggi è riprodotto magnificamente nella Dilliriana di Teti. Durante il ballo, le coppie si aprono e si chiudono in un cerchio per raffigurare le fasi della luna, crescente o calante. Il cerchio rappresentava una società di eguali, che aveva preso a simbolo fin dall’antichità la Corona, disegnata nel cielo dalla omonima costellazione, trasposta sulla terra di Sardegna dalla “Corona de Logu” medievale.


Se in migliaia di anni abbiamo perso per strada solo una vocale, la /i/, non ne dobbiamo fare un dramma, perché possiamo continuare a cantare e ballare su Dillu così come ci è giunto fino ad oggi. D’altronde, nel ballo, la differenza tra Dillu e Idillu non fa saltare il ritmo. Nel canto, poi, il suono è impercettibile e nessuno, oltre ai Sardi, si accorgerà della differenza. Ma questo, ovviamente, che rimanga tra noi, quando i Tazenda riproporranno la canzone con il coro che canta alla luna “Beni intonende un’idillu”.


Prof. Bartolomeo Porcheddu, ricercatore, docente di lingua sarda e autore


Maldalchimia.blogspot.com



 

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