Le janas
I particolarismi sardi e le differenziazioni locali isolane non sono certo una novità, ma quando si parla di creature fantastiche e di nomi con i quali queste vengono riconosciute, la varietà è pressoché sorprendente. Tutto vero anche quando parliamo di fate sarde,che convenzionalmente chiamerò janas, il nome statisticamente più utilizzato per definirle.
Merita comunque ricordare che le janas sono anche bajane e ajane a Lodine, Lodè, Mores, Bonorva, Rebeccu, Ozieri, Pattada, Buddusò e dintorni, fadas, ma anche birghines e virghines nel nuorese.
Mentre jana, bajana e ajana suonano come varianti di un medesimo nome, fadas e janas, sono probabilmente due tipologie etimologiche differenti.
Le differenze non si esauriscono solamente nel nome, visto che in base a questo sono diversi i tratti fisici che le caratterizzano e le dimore nelle quali abitano.
Normalmente le fadas vengono descritte come donne dalla statura normale non necessariamente abitatrici delle domus de janas, che per altro nel Logudoro sono chiamate anche furrighesos o coronas, abitate non solo da fadas, ma anche da indios, nanos e irribios.
L’analisi del nome ci può aiutare anche a scoprire qualcosa di più su queste misteriose creature: sia bajana che bazana sono due termini che dialettalmente vengono usati per indicare una donna nubile, proprio come birghines e virghines che indicherebbero entrambi una donna vergine e dunque nella Sardegna tradizionale anche una donna nubile.
Le stesse leggende dipingono le janas come creature fantastiche nubili e vergini.
In merito all’etimologia di jana molti si sono espressi a favore della teoria che vede il termine degradazione di Diana, antica divinità romana, che fu oggetto di culto anche in Sardegna.
Solo con il subentrare della religione cristiana la divinità femminina, lunare, protettrice delle donne e dei parti, venne relegata al ruolo di entità malefica e demoniaca.
Uno stesso percorso la parola Diana la subisce anche in Romania dove Diana è divenuta Zina.
Nelle Asturie invece si parla di xana e in Portogallo di ja.
Nell’antico provenzale invece si conservava il termine jana con il quale si intendeva curiosamente l’Incubo e in francese antico si parlava comunemente di gene.
In Toscano jana è strega, mentre in napoletano strega è janara
Delle somiglianze quanto mai esplicative: jana è strega o Incubo in buona parte del territorio romanzo, figura femminile che subisce demonizzazione fino a diventare spauracchio.
Una volta creata la connessione fra Diana e jana, è importante ricordare che la divinità non era solo protettrice delle donne, ma anche e soprattutto delle vergini: requisito fondamentale per diventare sua sacerdotessa era guarda caso, come accennato poc’anzi nel caso delle janas, essere nubili e vergini, per dirla alla maniera sarda birghines e bajane.
E’ inoltre interessante notare come nel Logudoro jana è anche il nome della mantide religiosa e ad Oristano è un piccolo insetto bianco.
Nel nuorese la jana ‘e mele, è la dannosa bestiola nota ai più con il nome di donnola, mentre in Ogliastra e nel Sarcidano, margiana (mala jana) è termine molto vicino al più noto margiani, la volpe.
Molto più raramente le janas possiedono nomi proprio: l’unico che ho avuto modo di riscontrare è quello di chiriga, cirriaca, termini che in greco antico indicherebbero “colei che ha il potere”.
L’evoluzione del termine jana non si è ancora fermato, tanto che non di rado diventa sinonimo di strega
Tratto da "Creature fantastiche in Sardegna" di Claudia Zedda
Mie personali considerazioni
Ogni Donna Sarda è ancestralmente, animicamente e geneticamente "Jana dentro"
Ci sono cose che conosce, senza che mai le siano state insegnate
Gesti antichi, come possono essere i gesti rituali di accoglienza del calore del sole attraverso le mani "a coppa" e le braccia sollevate
Oppure nel "ciuexi su pani", come fanno i gatti nel fare le fusa
Le Donne Sarde, spesso hanno il silenzio negli occhi e la Memoria nel cuore.
A volte non ricordano
Ma non dimenticano
Qualcosa di cui la loro stessa Essenza è impastata
E questa Memoria parla di Appartenenza, a tutto ciò che è stato del Femminino, prima che fossero Janas
Chi ha intrecciato, non solo capelli di seta di mare, ma soprattutto la storia della nostra Civiltà, sono state le silenziose Janas, i portali, le guaritrici, le accompagnatrici, le bogadoras, le accabbadoras
Loro che hanno iniziato e finito cicli di continuo, in sincrono con i cicli lunari, con i cicli mestruali, con i cicli gestazionali, con i cicli di morte e di vita
Perché una cosa è dire "d'appu boccíu" (l'ho ammazzato), e ben altro è dire "d'appu finíu" ( l'ho finito)
"l'ho finito"
"L'ho accompagnato e sono stata artefice della chiusura del suo ciclo vitale qui nella dimensione terrena"
Con quella sacralità nei gesti e negli occhi, e quella delicatezza e rispetto nella scelta di un termine, piuttosto che un'altro, che solo una vera Accabadora Sarda può avere
Perché in lei, è sacralizzato il rispetto della vita
Perché è lei stessa, portale tra vita e morte
È una Jana
Una janna, una porta, un portale
Solo una donna con Sangue Sardo nelle vene, poteva essere un' accabadora
Solo nella nostra cultura poteva nascere un tale rispetto per la vita, da consentire alla stessa donna, portatrice di vita, di concludere attraverso quelle mani che hanno custodito il primo vagito, l'ultimo respiro prima della chiusura del ciclo terreno
Il potere e la nobiltà delle donne sarde lo si vede quando cercano l'altrove al di là dell'orizzonte
Al di là del mare, attraverso la via del maestrale, che scompiglia loro i capelli
Come se non fosse sufficiente, il perimetro dell'orizzonte, a spiegare la vastità che hanno dentro
Per conoscere una Jana Sarda, bisogna varcare la porta, attraversarla
Perché è lei stessa porta di altre e sconosciute dimensioni
Mai narrate, ma vissute, attraverso gesti che sono loro naturali, come sistemarsi la treccia a crocchia
È solo dentro la loro dimensione, che si capisce su quali coordinate si è mossa la nostra civiltà
Gli uomini fanno la storia
Le donne, fanno le civiltà
Tiziana Fenu
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