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giovedì, ottobre 22, 2020

💛Sardo "il rosso" figlio di Ercole di Bartolomeo Porcheddu

 SARDO “IL ROSSO” FIGLIO DI ERCOLE

Quel “mezzo” Cesare di Claudio, che salì al Palatino di Roma nel 41 dopo Cristo solo perché era rimasto l’unico discendente maschio della sua gens, era più vanitoso di una donna, poiché, come dice quasi ironizzando Plinio il Vecchio, era solito portare in bella evidenza la sardonice, una pietra preziosa che acquistava valore ma mano che le sue striature si tingevano di rosso. Quando questo diamante adornava il mantello di porpora del comandante, avvicinava anche un piccolo principe alla divinità di Marte, dio della guerra, rosso anch’egli come il sangue.

“Su sàmbene no est abba” (il sangue non è acqua) era la frase d’ordine che si ripeteva quando, da ragazzi, si prestava giuramento tagliando con una lama un lembo di pelle all’altezza del polso per fare uscire un po’ di sangue e succhiarlo a vicenda. In tal modo si rinnovava involontariamente un rito millenario, quello praticato dai veri guerrieri che si scambiavano lealtà. Il tradimento di quel giuramento poteva essere lavato solo con il sangue. Sàmbene contra sàmbene.

Nella Sardegna occidentale, dal porto delle Muse di Alghero, passando per la foce del Temo, per giungere all’Arco di Oristano, fino al solco sacro di Sulci/Sant’Antioco, il sole si tinge di rosso sangue quando va a morire alla sera sul mare a “ochidente”. Il tramonto viene commentato ancora oggi in sardo con la frase: «Sa lughe de su sole si nd’est bochende», che tradotto letteralmente in italiano diventa: «La luce del sole se ne sta uccidendo».

Per indicare ai Sardi il punto esatto dove sarebbe risorto il sole del mattino, Orione aveva puntato il suo arco a Oriente, orizende (orlando) la terra, là, dove la luce si riflette come un sasso lanciato nel mare in mille specchi d’acqua. A s’impuddile (alba), Apollo/Apuddu mostra il suo elmo piumato o pennuto trasformandosi in Gallo per dare la veglia alla Gallura o ai Galilenses dell’Ogliastra - Sarrabus - Gerrei - Galilla. La Luchia di Posada, terra del mattino che accoglie il sole nascente, è come una donna “Galana” (solare) che si pettina con i denti a raggiera.

La divinità di Ercole aveva dotato del suo vello e dell’elmo cornuto preso dalla costellazione del Toro/Boe i guerrieri sardi per proteggerli dalle armi nemiche e aveva mandato suo figlio, Sardo, là, a Sardara, dove il vulcano di Monreale aveva eruttato il suo sangue, a raccogliere la sardonice e la terra rossa. La gemma rossa della sardonice avrebbe trasposto dal cielo la stella della costellazione della Corona nella terrena “Corona de su Logu”; mentre dalla terra rossa gettata nella fornace sarebbe venuto fuori il metallo lucente come il sole che avrebbe forgiato il gladio, la spada dorata invincibile.

Poco più a Nord di Marrùbiu (la città di Marte dalla marra appuntita di coloro rosso), la Madre Terra, vista dagli uomini attraverso la divinità di Lusia (protettrice dei tintori), donava un'altra pietra preziosa, anch’essa ricercata per le sue striature rosse, simile alla sardonice: l’andalusite. Claudio Tolomeo aveva chiamato il popolo dei Latini che stanziava sul territorio dei Lusitani sardi con il nome di “Lysaronensioi”. I maggiori centri di questo “Arco” che afferivano ai porti di Putzu Idu e di Bosa erano quelli di Forru Gianu (Fordongianus) e di Lussùrgiu, quest’ultimo, sinonimo di “Lusso” e di “Lusia”.

Presso i Sette Turriones del Grande Carro, a Nord dei Lusitani, Orione aveva prestato la sua cintura di tre stelle agli arcieri Rumanos, Tetiesos e Luchesos che, vestiti con la “lorica” (corazza) di Ercole e con l’elmo pennuto di Apollo, erano divenuti imbattibili. Teti, divinità delle acque sorgive, l’ombelico del Mondo antico posto al centro della “Carena” sarda, aveva ordinato ai fiumi che scendevano dalle montagne della Gallura, del Goceano e delle Barbagie di dissetare con le loro fonti, trasportate dalla costellazione di Gemini (Germanu o Gremanu), i suoi figli della pianura.

Quando Argo/Àrgia, divinità che aveva dato vita alla cerealicoltura, e Latino, divinità che aveva creato i derivati del latte, salparono con la Nave Argo puntando a prua la stella di Canopo (Pula Cana) e trasportarono con loro i figli della costellazione del Cygnus/Cunnu (Cigno) verso luoghi estremi, in quella parte dell’Asia Minore, questi, i Sardi della Sardegna figli di Ercole, portarono la loro lingua e chiamarono i territori a Oriente “Licia/Luchia” e quelli a Occidente “Lidia/Lusia”, così come erano disposti nell’Isola Madre. Nella rossa Lidia/Lusia, essi fondarono Sardi (Sardos), la città rossa più bella e popolosa dell’Oriente.

A un certo punto della storia Mediterranea, intorno al 1180 a.C., quando popolazioni bramose di sangue, giunte a seguito delle truppe ittite ed egiziane, attaccarono l’esercito di bronzo, le spade dorate invincibili del metallo sardo forgiato dal sole niente poterono contro la moltitudine di uomini affamati di potere e assettati di ricchezza. La Licia e la Lidia capitolarono, insieme alle altre regioni anatoliche ed egiziane. A Troia/Wilusa, nella Grecia, nel Peloponneso e nelle Isole non risuonò più il verbo di Sardo, figlio di Ercole.

D’improvviso, il sole di Apollo lasciò lo spazio alla luna nell’oscurità di Diana. L’Isola sacra passò dal giorno alla notte, e il patto di sangue siglato con la linfa venosa fuoriuscita dai polsi dei guerrieri sardi cadde nell’Ade, là, negli inferi, dove neppure le forze più possenti degli dei riuscirono a salvarlo. Nulla poté, in quei luoghi preclusi agli uomini, il bastone nodoso di comando, il Tirso/Turru, che Ercole aveva prestato a Dioniso/Zonosu per condurre le iniziazioni di comandanti e sacerdoti terreni.

Divinità ostili ai Titani spezzarono il filo che per millenni aveva tenuto in Lega i Nove Archi sardi, ovverosia i popoli che sorreggevano il Mondo antico, come la chiave di volta che era servita ad Ercole per affrontare le dodici fatiche. Su babbu non si fiat connotu cun su fìgiu (Il padre non si riconobbe più con il figlio) e i Sardi si combatterono tra fratelli: Rumanos contra Latinos, Lusitanos contra Sardanus, Galluresos contra Galilesos, Calaritanus contra Turritanos.

«Fermatevi!» gridò Sa Die, la Madre del Sole, quella che tutto crea. «Siete proprio così stolti da non distinguere il giorno dalla notte?» ripeté con voce altisonante. «Rimettete a posto ogni cosa che io vi ho donato» continuò a dire «a cominciare dalla lingua». Poi ammoni: «Chiamate ogni uomo, ogni terra e ogni oggetto come io vi ho indicato, e tutto sarà più chiaro». E sentenziò: «Non date retta a chi vuole cancellare la vostra memoria storica di Sardi facendo passare la lettera greca Y per una I anziché per una U».

Pertanto, la Madre del Giorno aggiunse: «Se leggerete ciò che è scritto come io vi ho indicato, avrete la chiave di accesso all’Eden» e concluse dicendo: «Tutto ad un tratto si trasformerà: l’Alba in Apuddu, la Lycia in Luchia; la notte di luna in Jana; il Tyrsus in Turru; il Tyrsenus in Turrenu; il Medium in Mesu; il Gladius in Làsiu; la Lydia nel mantello rosso della Lusia” e la Sardonyce - Sardo-nuche - Nuche sarda nella gemma di Sardo, figlio di Ercole.

Quel “mezzo” Cesare di Claudio in altri tempi, quando gli uomini si sceglievano per valore e non per discendenza, non sarebbe mai salito al potere. Nell’era in cui il rito del sangue era davvero un giuramento eterno, nessuno si sarebbe sognato di infrangerlo. In battaglia, il vero guerriero colpito dal Gladio/Lasiu avrebbe avuto il privilegio di vedere l’ultimo raggio di luce, su raju, riflesso sul bronzo (brundu) lucente, come il sole che muore a Occidente. E, in questa terra di Sardegna, Sardo, figlio di Ercole, sarebbe stato ancora denominato il “Rosso”, per via del suo mantello di porpora della Lusia adornato dalla Sardonice o Nuche sarda.


Bartolomeo Porcheddu


Sardo il "rosso" figlio di Ercole di Bartolomeo Porcheddu





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