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Questo sito nasce ispirato dalla Sacra Divinità dell'Ape, che mi ha amorevolmente guidata alla scoperta di ciò che è la mia Essenza, manifestazione in E come un'ape, prendo il nettare da fiori diversi tra loro, producendo del "miele-Essenza" diversificato. Ma con un filo d'Oro conduttore l'Alchimia nel creare, nell'Athanor della ricerca intima, multidimensionale, animica. E in questa Alchimia, amare le parole nella loro intima Essenza. Soprattutto quella celata. Le parole creano. Sono vibrazioni. Creano dimensioni spaziotemporali proprietà, trasversali. Che uniscono dimensioni apparentemente distanti. Azzardate. Inusuali. Sempre dinamiche Sempre. operose. Come le api. A cui devo ogni mio battito d'Ali. COPYRIGHT ©®I contenuti presenti sul blog Maldalchimia.blogspot.com, quelli scritti ed elaborati dall'autrice, Tiziana Fenu, proprietaria del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti, in qualsiasi forma, se non, riportando nome, ©®Diritti intellettuali riservati e nome del blog,

sabato, luglio 10, 2021

💛Il Gigante nella Tomba Madau di Fonni

 Il Gigante di Mont'e Prama nella Tomba dei Giganti di Fonni. 


Un segno inequivocabile.

Una firma, anche qui, oltre che negli ingressi dei Nuraghi.

Un tratto distintivo di coloro che ho battezzato da tempo, gli Architetti Divini, rappresentati, in forma scultorea, dai Giganti di Mont'e Prama, che sono dei Messaggeri, degli strumenti divini della manifestazione della Perfezione Divina sulla terra.

Questo Gigante, perfettamente realizzato in una sorta di nicchia triangolare Sacra, anch'essa con gli angoli di base a 72°, come gli ingressi dei nuraghi, come avevo già avuto modo di approfondire, rappresenta il tratto distintivo del chi furono questi grandi Architetti.

Il luogo, è quello delle tombe dei Giganti di Madau, a Fonni, in provincia di Nuoro, quattro sepolture con un orientamento a sud-est, ai piedi del passo "corr'e Boi" (così chiamato perché somiglia ad una testa di bue con le corna), disposte ad anfiteatro, e risalenti a 3500 anni fa, se non prima, sicuramente.

La prima tomba a destra è sicuramente la più antica, sembra un grande sarcofago delimitato da lastre di granito infisse nel terreno.


Tra queste lastre, spicca la "stele di Madau", che ha simboli legati alla natura e alla rappresentazione delle Pleiadi, mediante le 7 coppelle rappresentate. 

C'è la rappresentazione di una triplice porta, e un modulo di tre cerchi concentrici ripetuto due volte, chiaro indice di un portale astrale, via per la rinascita("nascita/morte/rinascita") dopo la morte, lungo la via Lattea, come abbiamo visto tante volte, sulla traiettoria "Sirio/cintura di Orione/costellazione del Toro-Aldebaran-Pleiadi", e proprio la V della cistella zione del Toro e il suo occhio Aldebaran, sono qui rappresentati. 

Un ritrovamento, in un complesso nuragico, quello di Madau, chiamato anche Gremanu, molto importante, che si estende per 7 ettari, con fonti, pozzi, tombe dei Giganti, e un acquedotto, unico nel suo genere, poiché si tratta di antiche fonti collegate tra loro da un elaborato progetto idraulico, che convogliava le acque sorgive di montagna, usate anche per i riti religiosi.


Ma non è su questo che voglio soffermarmi, ma sulla raffinatezza architettonica e sulla particolare attenzione agli angoli del vano di accesso della tomba maggiore, di forma ogivale(triangolare), che termina appunto, con questa nicchia dove è rappresentato un Gigante, come i nostri di Mont'e Prama.

Osservate l'accuratezza architettonica del vano ogivale di accesso.

Esternamente crea un'architettura di un triangolo di 60° per angolo.

Ma verso l'interno, si restringe, e forma un triangolo che ha come base, due angoli a 72°, dando l'impressione di un ingresso prospettico, sempre più assottigliato, nel grembo della struttura funeraria, nell' utero materno della rinascita.

Rinascita, e grembo materno, sottolineati anche da quell'ingresso perfettamente quadrato, perlomeno con angoli a 90°, che ritroviamo anche negli ingressi delle Domus de Janas, che sono tutti quadrati, come avevo avuto modo di approfondire, perché rappresentano Madre Terra, il suo grembo, con i 4 Elementi, e i suoi 4 punti cardinali.

Rappresentare un Gigante come quelli di Mont'e Prama, in una forma ogivale a 72°, significa sottolinearne la valenza sacrale, come avevo già sottolineato sulla simbologia di questo angolo, presente in tutti gli ingressi dei Nuraghi, nella Sacra Geometria delle nostre Dee Madri, nel pozzo di Santa Cristina, che sono tutti indicatori di un linguaggio comune.


Sono tutti indicatori cosmici di questo avanzamento nella ruota celeste, sia del Sole equinoziale sull'orizzonte celeste, sia dell'orientamento dell'asse di rotazione della terra stessa.

L'angolo a 72° è un parametro Sacro, colonna portante di tutto l'enorme ingranaggio cosmico che fa muovere l'universo intorno a noi(72 sono gli anni necessari per lo spostamento di un grado precessionale durante la precessione degli equinozi, che dura 25772 anni, per un giro completo dell'asse di rotazione della terra sulla sfera celeste). 

Riportandolo come parametro angolare sulla terra, in queste costruzioni megalitiche, nella dimensione della materia, è come se gli antichi Sardi, gli Antichi Architetti Divini, avessero portato un angolino di immortalità che consentisse loro di sentirsi parte attiva di questo ingranaggio, nel grembo stesso della creazione universale, unendo l'Umano e il Divino.

Per questo motivo hanno rappresentato a fine corridoio, proprio una creatura che rappresentasse la manifestazione immortale del Divino in terra: un Gigante di Mont'e Prama.

Giganti che rappresentano la manifestazione concreta  dell'immortalità, poiché rappresentano, il forte legame con la cintura di Orione, il portale dell'immortalità, rappresentata proprio dall'altezza della loro cintura, perfettamente coincidente con il centro della Sacra Geometria, sia nella Vesica Piscis, sia nella quadratura del cerchio.


All'ingresso del corridoio che porta all'immortalita' rappresentata da quel Gigante raffigurato, hanno creato, con grandissima Maestria, un passaggio con due triangoli sovrapposti, uno equilatero, con angoli a 60°, e l'altro isoscele, con due angoli alle basi, a 72°.

E sotto, il quadrato di Madre Terra, presente nelle Domus de Janas, ma anche nella stele centrale dell'esedra delle tombe dei Giganti.


Il triangolo equilatero con angoli a 60° lo abbiamo trovato quando ho individuato il simbolo esagonale sotto il mento del Gigante Pugilatore Efis. Un simbolo che rappresenta sia il Fiore della vita a sei petali, come è presente nella Maschera dei Boes, ma rappresentava soprattutto un importantissimo parametro architettonico, perché corrispondeva all'inclinazione dei raggi solari durante gli equinozi, che creavano un ombra rapportabile all'altezza di 1:3, con un angolo di 60°, angolo sul quale si sono sviluppate, in periodo egizio, le più importanti architetture delle più grandi piramidi, per simulare, in scala più piccola, il Sole all'equinozio, e creare architetture che fossero perfettamente integrate con la Sacra Geometria, così come lo sono le nostre, le proporzioni dei Giganti di Mont'e Prama, il guerriero di Teti, come abbiamo visto, le Dee Madri..

Un angolo a 60° che celebra il Mascolino, l'equinozio di Primavera, la massima espressione della Divinità solare, in perfetto equilibrio con il suo complementare Femminino, la luna, in un'era astrologica che andava sotto la costellazione del Toro, dal 4000 al 2000 a.C., periodo al  quale credo appartengano anche i Giganti di Mont'e Prama.

In questa Tomba dei Giganti straordinaria, a Fonni, hanno voluto celebrare architettonicamente sia la dimensione cosmica e immortale della precessione degli equinozi, con l'ogiva ad angoli a 72°, sia la dimensione Terrena di questi equinozi, sovrapponendovi il triangolo equilatero a 60°.

Un messaggio simbolico molto molto forte.

Si passa per l'utero terreno di Madre Terra, rappresentato dalla porticina quadrata.

Si deve oltrepassare lo stato terreno rappresentato dalla base dell'archittetura Sacra fondata sull'angolo a 60°, di cui gli Architetti Divini sono Maestri.

Si oltrepassa anche il portale della Sacra Geometria cosmica rappresentata da quel triangolo isoscele con gli angoli a 72°, simbolo della precessione ciclica e immortale della precessione cosmica degli equinozi, e si arriva, finalmente, a fine corridoio, a conquistare l'immortalità, rappresentata da quel bellissimo Gigante di Mont'e Prama sullo sfondo.

Perché questo, rappresentano i Giganti, l'immortalità.

Sono Dei, manifestazione del Divino. Sono umani che sono stati divinizzati, sono la parola di Dio, del Divino, il Verbo fatto carne, sulla terra, con quel simbolo esagonale di perfettissima Geometria Divina che portano sul Mento.

Gli Dei senza bocca. Non ne hanno bisogno.

Sono, essi stessi, Verbo vivente, Vibrazione creatrice.

Immortali.

La Tomba dei Giganti come strumento di rinascita, di via per l'immortalità, simbolo dell'Unione tra cielo e terra, tra finito e infinito, tra umano e divinità, rappresentata in modo eccelso.


Tiziana Fenu


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Per approfondimenti

https://maldalchimia.blogspot.com/2021/02/la-geometria-del-6-nel-mento-del.html


https://maldalchimia.blogspot.com/2021/03/le-tre-dee-madri-cosmiche-sarde-della.html


https://maldalchimia.blogspot.com/2021/02/lo-stargate-di-orione-attraverso-sa.html


https://maldalchimia.blogspot.com/2021/06/simbologia-angolo-72-nel-pozzo-scristina.html


Il Gigante nella Tomba Madau di Fonni
























giovedì, luglio 08, 2021

💙7 luglio Tanabata

 7 luglio: Tanabata Matsuri, la festa delle stelle innamorate.

Oggi in Giappone si festeggia il Tanabata, 七夕 "settima notte", una festività tradizionale che affonda le radici nell'antica Cina, più precisamente è ispirata al festival di Qīxī.

Tanabata fa parte dei gosekku, le 5 festività maggiori giapponesi.

La leggenda è basata su una bellissima quanto drammatica storia d'amore tra Orihime (identificata come la stella Vega), figlia dei dio imperatore celeste Tentei, e un umile mandriano di nome Hikoboshi (stella Altair).

Orihime trascorreva le sue giornate a lavorare al fuso per tessere splendidi vestiti che poi regalava agli altri dei celesti, senza mai un giorno da dedicare a sé stessa.

Una volta raggiunta l'età per il matrimonio suo padre decise di strapparla da questa vita e concederla in moglie a Hikoboshi, un pastore di buoi dedito anch'egli solo e soltanto al proprio lavoro,

I due si incontrarono per la prima volta il giorno delle nozze; benchè non si conoscessero, tra loro fu amore a prima vista. Il loro amore fu così travolgente che ben presto entrambi dimenticarono i propri doveri e si isolarono dagli altri dei, così che i buoi finirono per essere trascurati e gli dei si ritrovarono senza i meravigliosi abiti confezionati da Orihime.

Fu allora che l'imperatore celeste, traboccante di rabbia, decise di separarli creando un fiume impetuoso, Ama no Gawa (Via Lattea) ed esiliando Orihime e Hikobashi sulle due sponde opposte, in modo che i due non potessero più incontrarsi.

Ma così separati, i due continuarono ugualmente a non assolvere ai propri doveri: Hikobashi non faceva altro che dormire, per incontrare almeno nei sogni la sua amata Orihime, mentre la principessa, che si struggeva per il suo amore, non cuciva più abiti agli dei.

Il dio Tentei, esasperato e al contempo colpito dal loro indissolubile legame, sentenziò che i due sarebbero rimasti separati l'uno dall'altra ma avrebbero avuto la possibilità di incontrarsi una volta all'anno "nella notte del settimo giorno del settimo mese", a patto che entrambi avessero assolto ai propri compiti.

Ed è così che Orihime e Hikobashi, dopo un anno trascorso a lavorare senza sosta, la notte del 7 luglio attraversano la Via Lattea e sotto il cielo stellato finalmente si riabbracciano.

Per celebrare il loro incontro, i giapponesi indossano lo yukata, una sorta di kimono estivo, e passeggiano per le strade addobbate con lanterne di carta (zen-washi) e tanzaku, strisce di carta colorata che simboleggiano i fili di seta intrecciati da Orihime, su cui vengono scritte poesie e preghiere.

Famosi sono anche i fuochi d'artificio che illuminano il cielo notturno (si crede aiutino Vega e Altair ad incontrarsi), che rendendo ancor più suggestiva e romantica questa serata.


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💙Il. Bacio

 Il bacio è rivelatore dell' intimità di una coppia.

È come addentrarsi nell'intimità dell'Anima.

Non è solo una questione sensoriale di percezione di sapore e odore dell'altro, che si fa ravvicinata.

È l'annullamento della percezione visiva, quella deputata al controllo.

A distanza ravvicinata si devono per forza chiudere gli occhi. 

E questo implica un qualcosa che va molto al di la del gesto automatico che consegue al bacio intimo e profondo. 

Implica l'affidarsi, il fidarsi.

Il mettere da parte paure, remore, pensieri, ragionamenti, dubbi, ipotesi, e tutto ciò che di macchinoso può partorire una mente che teme di abbandonarsi all'Amore. 

Il vero abbandono tra le braccia dell'Amore, quel fidarsi totalmente dell'altro, e affidarsi , avviene un attimo prima del bacio. 

In un attimo di scelta consapevole, voluta, guardandosi negli occhi. 

Il Bacio tra Amore e Psiche, di Antonio Canova, nella sua sublimazione in Bellezza e Perfezione estetica, rappresenta molto bene quest'attimo prima del bacio. 

È la consapevolezza del volersi compenetrare attraverso quel Sigillo tra le labbra che definisca la nuova dimensione del Noi. 

Quando i cinque sensi si fondono. 

Un unico sapore, ci si respira uno nella bocca dell'altro

Il tatto non ha confini. 

Non si capisce dove finiscono le mie labbra e iniziano le tue. 

Le lingue come le due nadi della Kundalini. 

Due serpenti dinamici, carichi di energia. 

Gli occhi sono chiusi, ma aperti energeticamente a scrutare l'altro. 

Che è come una fonte di calore che apre il terzo occhio, che attiva la ghixxdola pixxale.

Il bacio è contemporaneamente annullamento e amplificazione dei sensi.

È l'esperienza della sublimazione dei nostri sensi ad un livello superiore.

È incontro intimo con l'altro.

Molto più intimo dello stesso atto sessuale, che è periferico, lontano dal cuore, ma che al cuore deve comunque arrivare, e dal cuore dovrebbe partire.

Si dice che ci sono baci che non si dimenticano.

No.

Ci sono baci che per un attimo ti hanno fatto dimenticare di te, e hanno creato un'altra dimensione.

Quella del Noi. Consapevole, voluta.

Desiderata. 

Perché il Bacio crea.

È Manifestazione dell'Amore

E se non c'è amore, o ce n'è poco, il bacio resta sterile.

Come un frutto senza succo.

Come due note dissonanti, che insieme non riescono a creare una melodia.


Tiziana Fenu


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Il bacio




💙04/07/2021 crop circle

 04/07/2021

Nuovo Crop circle  a Longwood Warren, Winchester, Hampshire, UK


Questo crop circle ha l'energia del 5 e del 10, sinergizzate dal cerchio, che le completa e le contiene.

Il 5 dei lati del pentagono, e il 10, che è il suo doppio, nei tre moduti a raggiera, a 10 punte.

Il 5 rappresenta un Archetipo femminile, il quinto Sacro archetipo ebraico He, con funzione vita, che geometricamente è rappresentato proprio da un pentacolo-pentagono stellato, simbolo del Sacro Femminino, di Iside, di Venere, di Sirio(e siamo in piena apertura di portale di Sirio), la stella fiammeggiante che veicola il principio Femminino della vita, che unisce le due polarità nel suo grembo.

Poi abbiamo 3 moduli a raggiera, composti da 10 raggi ciascuno.

Il 10 è il doppio del 5, e rappresenta il principio Mascolino, il Sacro Archetipo Ebraico Yod, con funzione concentrazione.

La lettera più piccola dell'alfabeto, rappresentata da un punto, il centro energetico di origine, di rotazione, ma la più importante, tanto da essere stata scelta come la lettera iniziale del Sacro nome di Dio, Yhwh, che contiene anche la H della He, ritenuta talmente importante, da essere ripetuta due volte, al pari della Yod, poiché Maschile e Femminile devono stare in equilibrio.

E questo equilibrio tra opposti, rappresentato anche dal cerchio che tutto contiene in armonia, è rappresentato anche dalla somma dei raggi dei tre moduli, che fa 30, che ridotto teosoficamente diventa un 3, simbolo della perfezione trinitaria.

Infatti il "10 +5", fa 15, che ridotto teosoficamente fa 6(1+5).

Il 15 rappresenta l'archetipo Samech, con funzione pressione, e rappresenta anche l'Arcano maggiore del Diavolo, che ha davanti a sé i due Amanti del 6, incatenati, ma in modo che si possano facilmente liberare, poiché la presa non è stretta.

Il Diavolo è la scelta, il dubbio, il libero arbitrio, la pressione dettata dalla Samech, che spinge verso la nostra libera scelta, ma deve essere sempre orientata all'unita', all'abbraccio, al "6", che è unione degli Opposti, come rappresentato da questo crop circle, dove il Maschile 10, e il femminile 5, si integrano perfettamente, in armoniosa sinergia formale e simbolica, uniti in un triplice abbraccio simbolico, dinamico, creativo, di rinascita, nel grembo del pentagono di Sirio, della Sacra Madre, attiva energeticamente, in modo particolare, in questi ultimi giorni


Tiziana Fenu ©®

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04/07/2021 crop circle




💛Ardia di Sedilo

 L'Ardia di Sedilo è una secolare corsa a cavallo che si corre il 6 e 7 luglio in Sardegna. 


Un centinaio di cavalieri discende a passo sfrenato il percorso che va da ''Su Frontigheddu'' al santuario di San Costantino. La corsa è guidata da Sa prima pandela (La prima bandiera), da due cavalieri da lui scelti (sa segunda e sa terza pandela) e da alcune scorte, che rappresentano l'esercito di San Costantino. Gli altri cavalieri rappresentano invece l'esercito pagano di Massenzio.

La corsa, secondo la tradizione popolare, rievoca la battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312. Massenzio, con l'appoggio del senato, si era autoproclamato augusto dell'Italia e dell'Africa. Costantino, nonostante una netta inferiorità numerica, inflisse la sconfitta decisiva il giorno dopo la celebre visione, nella quale, secondo le fonti agiografiche cristiane, vide una croce di luce con la scritta ''Εν Τουτω Νικα'' reso in latino come In hoc signo vinces (in questo segno vincerai).

I cavalieri si radunano nel pomeriggio del 6 luglio davanti alla casa del parroco, per la consegna de sa pandèla (bandiera) al capocorsa e a due cavalieri da lui scelti (seconda e terza pandela). Con il sindaco e il parroco a cavallo, due carabinieri in alta uniforme sempre a cavallo, il corteo procede a passo d'uomo verso il Santuario di San Costantino, a sud dell'abitato.

L'Ardia si affaccia a Su Frontigheddu, un piccolo promontorio naturale da cui si può scorgere uno scenario mozzafiato: la folla riempie la vallata del Santuario, in fervida attesa. A un certo punto l'Ardia parte d'improvviso, nella polvere e con l'incitamento dei presenti: davanti le tre pandèlas, dietro gli altri cavalieri vestiti di una camicia bianca. Una volta raggiunta la chiesa si procede al passo per alcuni giri. Poi il capocorsa sprona il suo cavallo, e la corsa al galoppo riprende temeraria lungo il percorso tra due ali di folla, fino a quando dopo un numero imprecisato di giri il capocorsa decide di concluderla.

La mattina del 7 luglio all'alba si ripete la corsa. Nel pomeriggio la processione in onore di San Costantino.

La seconda domenica successiva si tiene l'Ardia a piedi, lungo lo stesso percorso dell'Ardia a cavallo.

(https://www.comune.sedilo.or.it/index.php/vivere/cultura/18)


Sono andata a recuperare un post che avevo scritto a novembre "Origine del nome di Atlantide"

(https://maldalchimia.blogspot.com/2020/11/origine-nome-atlantide.html ), del quale mi ricordavo che avessi parlato anche dell'Ardia di Sedilo. 


Scrivevo:

"Per me ha maggiore senso logico, se consideriamo la A di Atlantide come un'evoluzione della svastica iniziale. 

Che comunque sia, essendo un' antichissimo simbolo che simboleggiava il moto rotatorio del Sole, del Dio Sole/Toro,simboleggia anche regalità (...) 

Ma consideriamo ancora il nome stesso di Atlantide, e il nome Sardegna, niente di strano che inizialmente la Sardegna avesse come iniziale la A stessa, e che il nome fosse S' Ardegna,  visto che "sa/su" sono usati come articoli determinati vi. 

E se consideriamo solo il nome " Ardegna", e consideriamo la radice, la prima parte , "Ard-", vediamo che è la stessa radice di una parola molto importante in Sardegna, di cui si celebra anche una festa a luglio , una corsa a cavalli in onore di San Costantino, culto arrivato , così si dice, da Costantinopoli in età bizantina nel VII sec.d.C., S'Ardia di Sedilo di Santu Antine, proprio lo stesso nome del  nuraghe Trilobato di Torralba. 

Ma io non do molta importanza a tutte queste influenze post cristiane. 

Sicuramente le prove di "balentia", di coraggio sarde, con i cavalli ,,sono sempre esistite

Il cavallo sardo ha infatti origine antichissime. 


Ma ciò su cui volevo soffermarmi era il significato proprio di questa radice "ardia" , che poi potrebbe benissimo essersi evoluta in 

"S'ardia "

"S'ardegna"

Sardegna

"Ardia", deriva da verbo "bardare "e significa "custodire, proteggere". 

La S' Ardegna, forse come custode delle antiche memorie di Atlantide? 

Dal mio punto di vista si, assolutamente


Ci sono troppi elementi che riportano ad Atlantide. 

Troppa Geometria Sacra, per essere ignorata. 

(...) Parlare di triangolo equilatero perfettamente inscrivibile in un cerchio, è parlare di un trilobato facente parte della Geometria Sacra

Che parla del suo sviluppo in verticale, come una molecola d'acqua, come ho già scritto, in onore di quella memoria ancestrale che non possono dimenticare e parla anche di una precisa simbologia

È  armonia di elementi all' interno di una società, di un nucleo, oltre che rappresentare la creazione stessa, come la primaria configurazione di un atomo, quello che da origine al primario fiore della vita. 

Come quello sulla fronte dei Boes. 

O come quello della Sartiglia. 

Il triangolo inscritto nella circonferenza , è anche simbolo di Massoneria. 

Termine che ha perso la sua simbologia iniziale di  "Iniziati ai Misteri ", di coloro, che da alchimisti, conoscevano il segreto della pietra filosofale, il segreto dell'immortalità. 

Perché , questo erano, gli Antichi Sardi. 

Degli Atlantidei Iniziati ai Sacri Misteri. 

E le memorie della loro antica civiltà di Origine, si trova ovunque nel mondo. 

Ne hanno lasciato tracce ovunque. 

Nuraghi ovunque. 

Questo elemento circolare, come una frenesia, migliaia di Nuraghi edificati a memoria di quella circolarità di Atlantide, che non potevano dimenticare. 

La stele di Boeli, Sa Perda Pinta, a Macomer, ne è un esempio..cerchi concentrici perfetti, i più perfetti petroglifi , riguardo i cerchi concentrici, mai realizzati, così sono stati definiti. 

Perche Atlantide ce l'hanno avuta sempre negli occhi. 

Nei doppi occhi dei Giganti di Mont'e Prama, i primi S' Ardi. 

E se "ardiare/ bardiare", significa custodire, è chiaro che i custodi per eccellenza, sono loro, i Giganti dalle doppie pupille. 

Quelle che rappresentano i cerchi concentrici che hanno sempre nello sguardo, a memoria di Atlantide, e della sua planimetria a cerchi concentrici. "


Quindi, abbiamo una Sartiglia, dedicata ad un presunto, cristiano," San Costantino ", ma, guardacaso, abbiamo un nuraghe" Santu Antine"( diminutivo di Costantino) che risale a svariati millenni prima del Santu Antine cristiano.

E un'Ardia, che significa "proteggere, custodire", come è nella simbologia propria del trilobato, come avevo scritto nel post "I custodi della memoria del trilobato"

(https://maldalchimia.blogspot.com/2020/11/i-custodi-della-memoria-del-trilobato.html) 


Scrivevo:

"Ma questa parola, "trilobato", l'avevo già letta da qualche parte e ho faticato a risalire alla fonte, ma alla fine ci sono arrivata. 

Era un pezzo che riguardava l' epopea di Gilgamesh, l' Eroe accadico alla ricerca della memoria dell'immortalità, il quale narra di quando  Noè/Enki, ricevette l'ordine di costruire l'Arca e introdurre in essa, in questo "Bozzolo gigante", il seme della vita, che viene chiamato proprio il "trilobato". 

Ecco il passo  in cui viene nominato :

"Il Trilobato 

che ha una parte oscura 

e un' altra luminosa 

e una terza parte, che le unisce, amorosa"

Quindi anche i nostri nuraghi trilobati, potrebbero essere una trasposizione architettonica del principio  molto semplice della creazione, dove i due poli opposti si uniscono e danno vita a un terzo elemento, che è la parte più bella, il frutto dell'amore, ed è l'unione tra i due

Visto in questa ottica, anche i nuraghi trilobati, sembrano in tridimensionale, oltre la planimetria triangolare , come delle Piramidi tronche a base triangolare, che si ergono, a degradare, verso l'alto, la cui planimetria ricalca il trilobato, il fiore a tre punte, il fiore, il triangolo, della creazione

Non dimentichiamo che il fiore a sei punte, è un'evoluzione del trilobato a tre punte, ed  è il simbolo rappresentativo di due elementi molto importanti della Cultura e Civiltà Sarda

(...) 

Questa a disposizione a triangolo, che si vede nei nuraghi trilobati, e specialmente nel Santu Antine, risponde a due chiamate

Una, nella materia della Madre Terra, contrassegnando una planimetria a  triangolo, e l'altra risponde ad una esigenza spirituale di espansione ed elevazione verso l'alto, verso il divino, dal quale si possa attingere Sapienza conoscenza e divinità e accedere ad un'altra dimensione Superiore, e lo si vede dall' architettura maestosa dei Nuraghi conici che puntano verso l' alto in forma spiralizzata a decrescere 

Anche oggi si fa largo uso dalle Piramidi energetiche per energizzare il corpo e la mente, e ricaricarsi con l'energia dell'universo

La stessa Piramide di Cheope è una potente convogliatrice di energia. 

Il simbolo poi, unito al rito, avvicina e unisce al Divino

La fiore a tre punte, è sempre stato presente nella storia dell'umanità, un tema grafico che si trova in ogni civiltà, rappresentato in forma geometrica  come un triangolo 

Si trova in ambito mesopotamico, egizio, miceneo, indonesiano, giapponese, presso i celti( rappresentato graficamente dal Triskel), e già presente nei bassorilievi assiri, già nel III millennio a. C. , legato al concetto di regalità e divinità, che poi in epoca medievale acquisisce nello specifico, una valenza Cristiana legata alla Vergine Maria, le "fleur de lis", il fiore del Giglio, già presente in araldica a rappresentare la sovranità e discendenza regale, un lignaggio di sangue blu, fino a rappresentare la stessa Trinità Divina. 

Ma di sangue blu si parla anche degli Antichi Sardi, gli Uomini dalla pelle blu, a cui riguardo, svariati ricercatori hanno fatto delle interessanti indagini e pubblicazioni. 

Il fiore a tre punte, il trilobato, era presente anche già in epoca precolombiana, legato al concetto di albero della vita. 

Il simbolo a tre punte, come simbolo quindi, di autorità regale, di resurrezione intesa come  "nascita /morte e rinascita" , matrice della creazione. 

Nelle rappresentazioni dei sovrani, spesso sono rappresentati anche  con uno scettro bicefalo, una sorta di Y stilizzata

Quella stessa Y, che come dice prof. Sanna, nei suoi approfonditi studi  sull' antica scrittura Sarda, è l' acronimo della  divinità creatrice dei Sardi, "y" o "yh", a indicare l' androginia della divinità, che è maschile e femminile insieme, il cui simbolo era la pietra, il bronzo e il numero 12, come le 12 tribù dell' antica Israele. "


Quindi, tirando le somme, parlare" de S'Ardia", è parlare della sacra ricorrenza dei Custodi Sardi.

Sedilo in provincia di Oristano  e Torralba in provincia di Sassari.

A Oristano, a Cabras, abbiamo i nostri Sacri Custodi, i Giganti, che spero restino uniti, nonostante la trasferta forzata del pugilatore Manneddu. 

I Sacri Custodi della Memoria, attraverso il primo Archetipo della creazione, l'aleph, la matrice della civiltà dell' Oro atlantidea, e millenni fa, avevamo già il nostro "Antine-Costantine/o" da celebrare.

Era il nostro nuraghe, il nostro trilobato, il nostro "fleur de lis", simbolo di un lignaggio reale che ancora riecheggia attraverso le vibrazioni energetiche della dura pietra che ne custodisce la memoria.

S'Ardia si festeggia oggi, a  Sedilo, ma tutti noi, siamo custodi, finché avremo la volontà e il privilegio di custodire e trasmettere questi antichissimi riti, che certo non risalgono al periodo cristiano, ma a molto, molto prima.

D'altronde, piccola chicca, e licenza linguistica molto personale, come sempre, perche amo le parole, in particolare quelle sarde, e mi piace giocare con le loro variegate simbologie, il cavallo, simbolo di questa rappresentazione rituale, in sardo, si chiama "cuaddu", parola molto simile a "cuau", che significa "ben nascosto, custodito", e con questo, casualità, ritorniamo al significato della parola  "ardia", parola che significa, appunto, custodire.

E chissà, davvero, quale originario significato aveva questa rappresentazione,, talmente importante da essere arrivata fino ai giorni nostri, quasi incontaminata, selvaggia e ribelle, come lo spirito dei S'Ardi.


Tiziana Fenu


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Ardia di Sedilo




💛Dolicocefalia (Longhi)

 Ho avuto modo di chiacchierare con un antropologo circa la particolarità, presunta o reale, della dolicocefalia. Riassumo le informazioni ottenute.

La dolicocefalia è tipica delle popolazioni mediterranee, originarie della Mezzaluna Fertile (culla della civiltà secondo la quasi totalità degli studiosi) e quindi caratteristica dei semiti.

Gli Europei hanno origine semitica (tesi peraltro proposta da altri studiosi [1] ). Gli Europei tendono pertanto a presentare dolicocefalia. I dolicocefali semiti rappresentano solitamente un 20-25% della popolazione.

Alla dolicocefalia è comunemente associata un’intelligenza superiore, o comunque capacità intellettive particolari (e su questa ipotesi confido parecchio in quanto sono stato ‘bollato’ come dolicocefalo).

Quanto esposto è semplicemente il sunto di una chiacchierata, senza la ricerca di riscontri oggettivi e altre indagini. È pericoloso addentrarsi in questioni razziali; pensate che alla base della follia nazista vi era l’ipotesi che al vertice della piramide sociale ci dovesse essere l’ariano biondo ovviamente dolicocefalo.

È comunque interessante notare che i teschi ritrovati negli ipogei sardi sono quasi tutti dolicocefali e che i pochi sopravvissuti dell’ipogeo maltese hanno tutti la medesima caratteristica.

I teschi di Malta potrebbero appartenere ai sacerdoti custodi dell’ipogeo, del resto sono gli unici rimasti: forse sono stati ‘selezionati’ nel tempo e preservati proprio in quanto più importanti degli altri resti. Questa casta sacerdotale potrebbe aver diffuso il culto della Dea nel corso dei millenni.

Oppure TUTTI i teschi o quasi, ritrovati durante gli scavi presentavano caratteristiche di dolicocefalia?

In effetti l’articolo di National Geographic già citato sottolinea questa particolarità.

In definitiva abbiamo che: gli ipogei di Ħal-Saflieni e di Anghelu Ruju risalgono allo stesso periodo; i due siti presentano caratteristiche del tutto simili (architettura in negativo, falsi elementi architettonici, false porte, colore rosso e simbologia); al loro interno sono stati ritrovati numerosi resti umani; la percentuale di teschi dolicocefali tra tali resti è molto elevata; in entrambi i sepolcri sono state ritrovate statue della D.M. e simboli del dio Toro

Le popolazioni che si resero protagoniste della trasmissione del culto doppio Dea/Toro di Malta e della Sardegna, potrebbero essere di etnia simile se non addirittura appartenere alla stessa.

Forse i culti venivano tramandati da sacerdoti dal cranio dolicocefalo, sacerdoti serpente, che provenivano dalla Mezzaluna Fertile. Come accennato nella Parte I, nel sito archeologico pre-sumerico di Al’Ubaid in Mesopotamia, sono state rinvenute numerose statue davvero particolari: raffigurano esseri metà uomo e metà serpente, con il cranio decisamente allungato.

Sono quasi tutte abbigliate in maniera bizzarra, con imbottiture sulle spalle e alcune con strani caschi (quasi indossassero tute sportive o addirittura spaziali). Molte statue, indubbiamente femminili, presentano a livello del pube segni a triangolo e alcune sono intente ad allattare il proprio figlio, anch’esso dalle chiare fattezze rettiliane: si tratta forse dell’antenato comune alla base delle raffigurazioni classiche di Iside e della Madonna?

Il teschio allungato delle donne-serpente è diventato il copricapo egizio di Iside e l’aureola della Vergine Maria?

Sono tutti tentativi di diffondere un messaggio antico di migliaia di anni legato a questa particolare forma del cranio?

Le domande qua si sovrappongono e superano le risposte.

Di certo, tornando alle statuette di Al’Ubaid, per arrivare a creare settemila anni fa immagini di esseri mezzo rettile e mezzo uomo/donna, in posizione eretta e in atteggiamenti decisamente ‘umani’ (come nel gesto di allattare il proprio figlio), l’artista deve per forza aver visto qualcosa di anomalo.Senza addentrarci nei meandri delle teorie di contatti tra popoli antichi ed extraterrestri che vedremo in ogni caso tra poco, non è assurdo pensare che esistessero persone con caratteristiche fisiche anomale (il cranio molto allungato deforma anche i lineamenti, rendendoli più simili a quelli di un rettile) che, rivestendo ruoli fondamentali ed elitari nelle società antiche, venissero considerati alla stregua di divinità, spingendo molti a emularli nell’aspetto.

Di certo la dolicocefalia è rimasta nei millenni un segno distintivo talvolta legato anche a mosse inaspettate. Ad esempio Akhenaton, il faraone eretico dalla forma del cranio inequivocabile, che diffuse il culto monoteista del Sole, simbolo duale della Luna: forse voleva ripristinare un antico culto sia pur con caratteristiche adattate alle tradizioni egizie ove il sole era elemento fondamentale.

Del resto Iside/Dea Madre . era sempre raffigurata con un grosso sole tra corna bovine e la compagna di Akhenaton, Nefertiti, era sempre al suo fianco e rivestiva grande importanza, così come la sua progenie dal cranio allungato.


l faraone Akhenaton con consorte e figli A complicare (o forse a semplificare) ulteriormente le cose ci pensa ancora la Sardegna, restituendo un reperto davvero incredibile, del quale è d’uopo parlare: si tratta di una statuetta in bronzo di epoca nuragica ritrovata nei pressi del comune di Nule, in provincia di Sassari, zona che offre davvero una ricchezza archeologia enorme.

Viene comunemente definito ‘toro androcefalo’ in quanto raffigurerebbe un toro con cranio umano, una sorta di centauro giusto per citare la mitologia classica.

Personalmente non vedo assolutamente nulla di androcefalo, anzi.

Scorgo un essere per un terzo toro, un terzo umano e un terzo serpente. Addirittura si intravedono gli occhi allungati, del tutto simili a quelli delle statue di Al’Ubaid. Questo reperto sembra rappresentare il missing link tra toro, serpente e uomo. Per stimolare ulteriormente la vostra curiosità accenno al fatto che una statua simile è stata ritrovata tra gli idoli della tribù Dogon del Mali, già famosa per le presunte informazioni astronomiche che la legano alla stella Sirio (adorata anche dagli Egizi)


Tratto da "Misteri di un antichissimo culto: la Dea e il Toro" di Giancarlo Maria Longhi


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Immagine

– Nule, Su Casteddu de Santu Lisei, toro androcefalo (da Lilliu 1980: 131, fig. 122).


Dolicocefalia (Longhi)




💛Sardegna isola megalitica prof Sanna

 'SARDEGNA ISOLA MEGALITICA'. MA NON SOLO. ISOLA DELLA SCRITTURA*.


Prima a Berlino, poi a San Pietroburgo e Salonicco e quindi a Napoli. La mostra della Sardegna isola delle 'grandi pietre' delle costruzioni per il culto è iniziata il 30 giugno di quest'anno per poi proseguire fino al mese di settembre del prossimo anno. Il dato della Sardegna 'megalitica' è noto al mondo da molti decenni e non sarà tanto questo a richiamare i visitatori quanto quello dei Giganti a tutto tondo, le statue che hanno rivoluzionato la storia della statuaria nel Mediterraneo antico. Ma nella mostra c'è anche dell'altro: un documento piccolo ma grandissimo destinato, insieme ad altri (tanti altri) a rivoluzionare anche la storia della scrittura nel periodo della grande invenzioni degli alfabeti ideografici e consonantici. Parlo del cosiddetto 'brassard' (in realtà non un 'para braccio' ma una bipenne, un oggetto della 'religio' dei popoli antichi) di Is locci santus. Di esso oggetto - documento scritto, andato 'smarrito' nel secolo scorso e poi 'ritrovato' un anno fa (ed esposto per breve tempo nel Museo Nazionale di Cagliari) ci siamo interessati numerose volte sostenendo (v. Sardoa grammata, 2004)  che è una delle prime attestazioni della scrittura dei nuragici, vale a dire dei popoli costruttori di molti dei monumenti del megalitismo sardo, ovvero della cultura architettonica di cui si celebra in questi giorni la grandezza nella mostra berlinese. E' scritto con la tipica scrittura nuragica ,in mix e a rebus, e reca circa la 'bipenne' (l'ascia del fulmine divino) un contenuto lessicale (BI _DENTE)  prettamente 'indoeuropeo' che fa molto riflettere sulla teoria della lingua sarda 'figlia' della lingua latina. Io non so se, nell'esposizione, qualche didascalia avverta e sul 'contenuto' di senso (la bipenne, il sole e il toro) e  circa quello paleografico (caratteri pittografici e consonantici protosinaitico-protocananaici) del brassard o se invece venga esposto senza alcuna informazione lasciando intendere che essa è quella stramba dell'Atzeni (caratteri romani e pastore che porta al pascolo una pecora (sic!). Comunque sia, interessa il fatto che ad una mostra del nuragico, accanto ai Giganti si affianchi oggi  un perla documentaria di scrittura; interessa ancora il fatto che i curatori della mostra, pur senza avvedersene (?), hanno esposto una delle prove più evidenti che il megalitismo sardo prese in prestito (ed anche inventò, rielaborandola) la scrittura scoperta  nell'Oriente mediterraneo; interessa infine il fatto che, come per le mostre precedenti circa la Stele nuragica di Nora (ritenuta erroneamente di produzione 'fenicia'), venga esposto un oggetto scritto sui segni del quale, mi auguro, si concentri la curiosità dei paleografi e degli epigrafisti di tutto il mondo. Certo, sarebbe stato giusto e doveroso affiancare al Brassard  di Is Locci santus perlomeno il documento della barchetta scritta di S'Urbale di Teti (con scrittura 'provata' scientificamente). Ma questo di sicuro non sarà stato fatto. E tutti ormai, allibiti per uno scandalo che si intende evidentemente procrastinare come scandalo , fregandosene di ogni pudore, sanno perchè. Ma è facile, cari sciocchi negazionisti, misoneisti ad oltranza,  essere profeti: un giorno sarà una mostra intera, non uno o due oggetti piovuti miracolosamente in un'esposizione, che farà ammirare il completo 'megalitismo sardo'; saranno molti oggetti (in ceramica, in pietra e in metallo) a renderlo ancora più nobile e più grande; saranno I Giganti di Cabras e di Sardegna, con il loro sigilli di bronzo in guisa di spalline, ad informare il mondo di una terra, la Sardegna, che con così grande splendore si è espressa per altezza di spiritualità oltre che di materialità. Popolo grandissimo tra popoli grandissimi dell'epica età del bronzo e del ferro del Mediterraneo.

       

* Come molti avranno notato, con questo 'pezzo' faccio una eccezione al mio solito 'ozio' delle vacanze estive. Ma l'occasione ghiotta della mostra berlinese non poteva non spronarmi a scrivere due righe di considerazioni.


Prof. Gigi Sanna, autore, ricercatore, docente, esperto in antiche scritture e alfabeti, con particolare attenzione verso quelli sardi


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Sardegna isola megalitica, prof. Sanna





💛Bronzetto con arpa

 Osservando questo bronzetto,  postato in una pagina in inglese, della quale vi lascio il link(https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=4140541272659351&id=465586463488202), che definiscono "fenicio"(peccato che questa definizione appaia nella didascalia del Museo di Cagliari nel quale è esposto) raffigurante un suonatore di lira, risalente all' VIII sec.a.C, proveniente dalla zona archeologica del Monte Sirai, presso Carbonia, mi vengono alcune considerazioni. Nel post originario  definiscono quest'arpa, un "nebel", ma cercando, ho trovato che il nebel si riferisce alla tipica arpa triangolare ebraica, uno degli strumenti più antichi, quella alta che si suona da seduti, per intenderci.

Lasciamo perdere la questione "fenici", poiché sono convinta che sempre di sardi si tratti.

Ciò che mi colpisce di quest'arpa è proprio la sua conformazione, diversa dalle classiche arpe, e dalla lira.

Spesso ho pensato che quello che presumono sia un arco, tenuto in mano dal Gigante arciere di Mont'e Prama, fosse invece un'arpa.

Questo perché l'arpa, fin da tempi remotissimi, essendo uno dei primi strumenti musicali, era considerata uno strumento sacro, simbolo del Sacro Femminino, che produce il suono, la melodia, nella sua forma accogliente come un ventre, poiché nella sua simbologia di numero pari, le estremità dell'Arpa, di forma taurina/uterina, il suo vuoto interno, accoglie il caos creatore, come una cassa di risonanza dell'armonia divina e universale, che il Femminino incarna egregiamente.

Ma quest'arpa, tenuta in mano da un bronzetto sardo, e non fenicio, rappresenta simbolicamente ciò che il motivo portante di tutta l'Antica Civiltà Sarda, per due motivi.

La forma è come un tridente, come la lettera ebraica Shin.

Sappiamo che la Shin è molto presente nell'Antica Civiltà Sarda, nelle forme di scrittura.

Questo ventunesimo Sacro Archetipo ha una funzione traslante, trasformatrice, ed è legato al concetto di Fuoco, come Fuoco Sacro, alchemico, il compimento dell'opera trasformativa.

Ternario trasformativo che abbiamo visto tante volte anche all'interno delle Domus de Janas, con le tre cornici dei passaggi, o delle false porte, con i triangoli, con i "tridenti" in ocra rossa.

È sempre lo stesso concetto "nascita morte/rinascita". Un concetto alchemico di trasformazione attraverso il Fuoco, la Shin, appunto, lo Spirito di Fuoco. 

Solo il Fuoco consente di raggiungere il compimento della trasformazione, la Pietra filosofale. 

Zolfo, Mercurio e Sale. 

Maschile, femminile e principio unificante.

Gli Antichi Sardi si sentivano figli di questa energia solare, vivificante, taurina.

Taurina, che era allo stesso tempo, anche uterina, quindi androgina, maschile e femminile allo stesso tempo, e la rappresentazione nella forma, di questa energia, era sempre triadica.

I più maestosi e sacri nuraghi sardi hanno la conformazione infatti, di un trilobato, come il Santu Antine di Torralba, in provincia di Sassari e il Nuraghe Losa di Abbasanta in provincia di Oristano, come ho avuto modo di approfondire parlando dei trilobati. 

"Nascita/morte/rinascita", é il filo conduttore della nostra Antica Civiltà Sarda.

Un linguaggio comune, una koine', che giustifica e contraddistingue le nostre costruzioni megalitiche, i nuraghi, le tombe dei Giganti, le Domus de Janas, i pozzi Sacri.

Anche nel nostro Carnevale vi è lo stesso linguaggio di purificazione e rinascita attraverso il Fuoco, attraverso la Shin

Shin, Fuoco Sacro, che non può essere imprescindibile dalla sua controparte energetica, l'acqua.

Infatti il "tridente" è non solo simbolo del Fuoco a tre lingue, ma anche il simbolo di Nettuno, il Dio dell'acqua..

Quest'arpa, di questo bronzetto, la ritengo, per la sua specifica particolarità di forma a "tridente/Shin", assolutamente esemplificativa e rappresentativa della spiritualità dell'Antica Civiltà Sarda, e non fenicia.

Impariamo a chiamare le cose con il loro nome.

Per rispetto, ma soprattutto perché questo linguaggio Sardo è ovunque, se ci guardiamo intorno, e se ne sappiamo identificare i codici specifici di comunicazione.


Tiziana Fenu


©®Diritti intellettuali riservati


Approfondimento sulla simbologia dei Sacri Nuraghi trilobati. https://maldalchimia.blogspot.com/2020/11/i-custodi-della-memoria-del-trilobato.html?m=1


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Bronzetto con arpa




💛Simmetria interno/esterno pozzo S.Cristina

 La sacra simmetria tra esterno ed interno nel pozzo di Santa Cristina 


Prendo spunto da questa bellissima immagine riportata dalla pagina che si occupa del pozzo di Santa Cristina, della quale vi lascio il link( https://www.facebook.com/152106614847867/posts/4128824047176084/), per fare alcune mie personali considerazioni.


Il foro apicale esterno, come potete vedere, è sottolineato da una conformazione a "cupola", con più pietre ravvicinate, che riporta la stessa geometria interna, almeno nella sua valenza simbolica, con una forma evocativa di una cupola appena accennata, della tholos interna al pozzo.

Trovo questa Raffinatezza estetica e simbolica, estremamente significativa.

L' interno come l'esterno, in modo che la forte valenza sacrale di questo tempio( poiché lo considero un tempio sacro, più che un pozzo), permei anche l'esterno della struttura.


Struttura che, abbiamo visto nel mio precedente post a riguardo, riporta la forma del Sacro Menat, che indica il contrappeso, il portale equinoziale che è complementare a quello solstiziale  dell'ingresso ad angolo 72 °, con i suoi gradini, come abbiamo visto.

È un Sacro Tempio che racchiude in sé la simbologia dell' intero scorrere del tempo, con i suoi solstizi, e i suoi equinozi.


Una simbologia "gemellare", dove l'esterno, deve avere il suo riflesso nell'interno, dove ai solstizi, devono corrispondere gli equinozi, dove alla tholos interna, deve corrispondere una cupola esterna, anche se appena accennata.

L' importante è che ne richiami la simbologia, unite da quel fascio di luce che penetra, ad unire cielo e terra, sole, fuoco e acqua, umano e divino.

Come una spina dorsale, una Kundalini di sola luce ed energia che vivifica e trasmuta, chi ne viene lambito e attraversato.

Perché quando si viene "colpiti" dalla luce del sole che entra da un oculo, si diventa sacri come la stessa ierofania, ci si trasmuta in luce, si perdono i contorni umani, ci si divinizza.

E sappiamo bene quanto nell'antica Civiltà Sarda, le ierofanie fossero importanti, come ho già approfondito. 


Questo concetto del "gemellare", è molto importante, e ne avevo già parlato nel mio precedente post.

È il riflesso del concetto cosmogonico primordiale della creazione. 

Avevo scritto :

"E questa concezione cosmogonica del "doppio", delle coppie primordiali gemelle cosmogoniche che creano la prima civiltà, ha un'enorme importanza, perché astrologicamente, quella che venne definita l"eta' dell'Oro, si trovava, come cloruro equinoziale, quando il sole sorge, all'equinozio di primavera, sotto la costellazione dei Gemelli.

Si narra che il primo fuoco degli umani, venne acceso nell'età aurea dei Gemelli, forse un milione e mezzo di anni fa, quando si scoprì che con due bastoncini "gemelli", per confricazione, cioè per notevole sfregamento, si poteva creare la scintilla di vita, di sopravvivenza, del fuoco.

Questo concetto del "gemellare", dal quale scaturisce il fuoco vitale, poi è rimasto nel corso dei secoli, fino ad arrivare anche al periodo che riguarda le concezioni cosmogoniche in Egitto, quindi sino al 6000/4000 a.C.circa, periodo dell'era dei Gemelli, appunto.

Ecco perché le divinità creatrici sono come gemellari in una stessa entità, androgine.

Ed è per questo motivo che crearono coppie(maschio e femmina) in numero uguale, per creare i primi nuclei di Umani.

Ed ecco perché questo è stato riflesso anche sul piano terreno

Abbiamo un nuraghe che è contemporaneamente fuoco(nur) e acqua(Nun), e questo equilibrio lo si è cercato in tutte le manifestazioni architettoniche."


Nello stesso modo, abbiamo, nel pozzo di Santa Cristina, un gemellaggio androgino, di proporzioni auree, tra la cupola esterna, dove è situato il foro apicale, maschile, e la tholos a cupola, interna, femminile, accogliente come un grembo

La cupola esterna è maschile, poiché la collina primordiale, primigenia, indica quella naturale forma fallica umana che cerca, verso l'esterno, il contatto con il Divino.

Mosè, cerca il contatto con il Divino, così come succede in ogni racconto cosmogonico e mitologico, attraverso il monte Sinai, così come Zeus, per citarne solo un altro, lo rappresenta attraverso il monte sacro dell'Olimpo.

Invece il femminile, cerca il contatto con il divino, attraverso il grembo, la cavità, la tholos, in questo caso, così raccolta, rassicurante, uterina.

In una struttura, così architettonicamente completa, sofisticata e alchemicamente e simbolicamente integra, come il pozzo di Santa Cristina, che suggella l"unione alchemica degli opposti, del maschile e femminile, di fuoco e acqua, di sole e luna, di equinozi e solstizi, non poteva che esserci continuità e dialettica semantica,  tra le forme archittetoniche, anche tra esterno ed interno.

Poiché tutta la sinergia si sviluppa proprio grazie a questa dialettica, studiata minuziosamente in ogni particolare, non solo con funzione architettonica ed estetica, ma, nello specifico, nella forte simbologia alchemica che essa rappresenta, in un continuo e meraviglioso gioco di rimandi stilistici e semantici, di corrispondenze, di Sacre Geometrie, che rivelano molto più di ciò che i nostri occhi riescono a cogliere.

Poiché l'intento era che sentissimo oltre il visibile, per farci accedere a quella dimensione di coscienza superiore di cui i nostri Antichi Sardi, erano depositari e artefici.


Tiziana Fenu


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Approfondimenti sulle collina cosmogonica. https://maldalchimia.blogspot.com/search?q=Sfere


Approfondimenti sul Menat, la forma esterna del pozzo.   https://maldalchimia.blogspot.com/search?q=Menat


Approfondimenti sulle ierofanie. https://maldalchimia.blogspot.com/search?q=Ierofanie


Simmetria interno/esterno pozzo S.Cristina







💜Sembra logico pensare

 Sembra logico pensare che il dimorfismo visibile, o differenza di forma, tra le due metà dell'umanità abbia avuto un profondo effetto sui sistemi di credenze paleolitici.  Sembra anche logico che il fatto che sia la vita umana che quella animale siano generate nel corpo femminile e che, come le stagioni e la luna, anche il corpo femminile sia soggetto a cicli, abbia portato i nostri antenati a vedere il potere di dare e sostenere il vita del mondo in modo femminile e non maschile.  Insomma, più che materiali casuali e sconnessi, i resti paleolitici di figurine femminili, l'ocra rossa delle sepolture, e le conchiglie di ciprea a forma di vagina sembrano essere manifestazioni di quella che si sarebbe poi evoluta in una complessa religione incentrata sul culto della Madre Dea come fonte e rigeneratrice di tutte le forme di vita.  Questo culto della Dea, come fanno notare Giacomo e altri studiosi, sopravvisse fino al periodo storico «nella figura composita della Magna Mater del Vicino Oriente e del mondo greco-romano».[38]  Questa continuità religiosa è chiaramente osservata in divinità ben note come Iside, Nut e Maat in Egitto;  Ishtar, Astarte e Lilith nella Mezzaluna Fertile;  Demetra, Core ed Era in Grecia e Atargatis, Cerere e Cibeles a Roma.  Anche più tardi, nella nostra stessa eredità giudaico-cristiana, possiamo ancora vederlo nella Regina del Cielo, il cui giardino è bruciato nella Bibbia;  nella Shechina della tradizione cabalistica ebraica, e nella cattolica Vergine Maria, la Santa Madre di Dio.  Di nuovo sorge la domanda sul perché, se queste connessioni sono così ovvie, sono state minimizzate, o semplicemente ignorate, nella letteratura archeologica tradizionale.  Una ragione che è già stata indicata è che non si adattano al modello proto e preistorico di una forma di organizzazione sociale maschilista o maschilista.


Tratto da "Il calice e la spada" di Riane  Eisler


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Sembra logico pensare






💜Riconoscerai il tuo compagno..

 Riconoscerai il tuo compagno,

quando desidererà far parte della tua vita senza interferire.

Nel momento in cui sarete soli più che toccare il tuo corpo, vorrà intrecciare le mani.

Riconoscerai il tuo compagno,

quando di fronte alla tempesta

con la sua saggezza e pazienza allenterà le tue paure.

Quando di fronte alle tue mancanze,

il suo pensiero sarà abbondante…

e desidererà ripararti per farti avanzare.

Capirai che sarà lui, quando applaudirà ai tuoi traguardi e piangerà con te per i tuoi fallimenti, invogliandoti ad andare avanti.

Ti motiverà a crescere insieme,

riempendo di rispetto le tue mattine

e di sole i pomeriggi grigi.

Quando in libertà e spontaneità

vorrà abbracciarti senza legarti,

e la sua critica sarà costruttiva e non distruttiva.

Quando insieme non temerete l’impegno

perché vi consegnerete senza riserve

e nei vostri occhi scorrerà la magia e nei baci la speranza.

Quando lo incontrerai, ti sentirai a casa,

e ringrazierai la sua presenza benedicendo il suo cuore.

Perché comprenderai che la vostra unione trascenderà l’anima.

Perché non vi accontenterete di un amore comune, in quanto saprete che voi stessi siete, l’amore…

Quando succederà, prega…

perché l’Amore Sacro può fare molta paura.


Carla Babudri


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Riconoscerai il tuo compagno




💜Mio signore amato

 Mio signore amato,

non aver paura, non muoverti, resta in silenzio, nessuno ci vedrà, rimani così, ti voglio guardare, io ti ho guardato tanto ma non eri per me, adesso sei per me, non avvicinarti, ti prego, resta come sei, abbiamo una notte per noi, e io voglio guardarti, non ti ho mai visto così, il tuo corpo per me, la tua pelle, chiudi gli occhi, e accarezzati, ti prego, non aprire gli occhi se puoi, e accarezzati, sono così belle le tue mani, le ho sognate tante volte adesso le voglio vedere, mi piace vederle sulla tua pelle, così, ti prego continua, non aprire gli occhi, io sono qui, nessuno ci può vedere ed io sono vicina a te, accarezzati signore amato mio, accarezza il tuo sesso, ti prego, piano, è bella la tua mano sul tuo sesso, non smettere, a me piace guardarla e guardarti, signore amato mio, non aprire gli occhi, non ancora, non devi aver paura son vicino a te, mi senti?


Tratto da "Seta" di Alessandro Baricco


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Mio signore amato




💜I fiori simbolici

 9_- I FIORI SIMBOLICI 

L'uso dei fiori nel simbolismo è, come si sa, molto diffuso e si ritrova nella maggior parte delle tradizioni; è anche molto com-plesso, ed è nostra intenzione indicare qui solo alcuni dei suoi significati più generali. 

È evidente infatti che, a seconda che sia preso come simbolo questo o quel fiore, il senso deve variare, almeno nelle sue modalità secondarie, e parimenti che, come avviene in genere nel simbolismo, ogni fiore può avere in se stesso una pluralità di significati, legati per altro tra di loro da certe corrispondenze. 

Uno dei significati principali è quello che si riferisce al principio femminile o passivo della manifestazione, cioè a Prakriti, la sostanza universale; e, a tale riguardo, il fiore equivale a un certo numero di altri simboli, fra i quali uno dei più importanti è la coppa. 

Come quest'ultima, infatti, il fiore evoca con la sua stessa forma l'idea di un «ricettacolo» ciò che di fatto è Prakriti in rapporto alle influenze emanate da Purusha, e anche nel linguaggio corrente si parla del «calice» di un fiore. 

D'altra parte, lo sbocciare di questo fiore rappresenta al tempo stesso lo sviluppo della manifestazione, considerata come produzione di Prakriti; e questo duplice senso è particolarmente chiaro nel caso del loto, che è in Oriente il fiore simbolico per eccellenza, il cui carattere specifi-co è di sbocciare sulla superficie delle acque; quest'ultima, come abbiamo spiegato altrove, rappresenta sempre l'ambito di un certo stato di manifestazione, o il piano di riflessione del «Raggio celeste» che esprime l'influenza esercitata da Purusha su que-st'ambito per realizzare le possibilità che vi sono potenzialmente contenute, avvolte nell'indifferenziazione primordiale di Prakriti [Si veda «Le Symbolisme de la Croix», cap. xxiv]. 

L'accostamento con la coppa, che abbiamo ora indicato, deve naturalmente far pensare al simbolismo del Graal nelle tradizioni occidentali; ed è appunto il caso di fare, a questo proposito, un'osservazione assai degna d'interesse. 

Si sa che, tra i vari altri oggetti che la leggenda associa al Graal, figura in particolare una lancia che, nell'adattamento cristiano, non è altro che la lancia del centurione Longino, dalla quale fu aperta nel fianco di Cristo la ferita donde sgorgarono il sangue e l'acqua raccolti da Giuseppe d'Arimatea nella coppa della Cena; ma è altrettanto vero che questa lancia o qualche suo equivalente esisteva già, come simbolo in qualche modo complementare alla coppa, nelle tradizioni anteriori al cristianesimo [Cfr. «Le Roi du Monde”, cap. v. 

Si potrebbero riportare, tra i diversi casi in cui la lancia è usata come simbolo, alcune curiose somiglianze che giungono fino a certi particolari: così, presso i Greci, si riteneva che la lancia di Achille guarisse le ferite che causava; la leggenda medioevale attribuisce la stessa virtù alla lancia della Passione]. 

La lancia, quando è posta verticalmente, è una delle figure dell’“Asse del Mondo», che s'identifica con il «Raggio celeste» di cui parlavamo un momento fa; e si possono anche richiamare, a tale proposito, le frequenti assimilazioni del raggio solare ad armi come la lancia o la freccia, sulle quali non è il caso di insistere ulteriormente. 

Da un altro lato, in alcune rappresentazioni, gocce di sangue cadono dalla lancia stessa nella coppa; ora queste gocce di sangue non sono qui nient'altro, nel loro significato principiale, che l'immagine delle influenze emanate da Purusha, il che evoca d'altron-de il simbolismo vedico del sacrificio di Purusha all'origine della manifestazione [Si potrebbe anche, sotto certi aspetti, far qui un accostamento con il conosciutissimo simbolismo del pellicano];

e questo ci ricondurrà direttamente alla questione del simbolismo floreale, da cui con tali considerazioni ci siamo allontanati solo in apparenza. 

Nel mito di Adone (il cui nome, del resto, significa «il Signore»), quando l'eroe è colpito a morte dal grifo di un cinghiale, che svolge qui la stessa funzione della lancia, il suo sangue, spandendosi per terra, fa nascere un fiore; e sarebbe senza dubbio ab-bastanza facile trovare altri esempi analoghi. 

Ciò si ritrova pure nel simbolismo cristiano: è così che Charbonneau-Lassay ha segnalato «un ferro da ostie del secolo XII, in cui si vede il sangue delle piaghe del Crocifisso cadere in goccioline che si trasformano in rose, e la vetrata del secolo XIII della cattedrale di Angers ove il sangue divino, che scorre in ruscelli, sboccia ancora sotto forma di rose» [«Regnabit», gennaio 1925. Segnaliamo anche, in riferimento a un simbolismo affine, la raffigurazione delle cinque piaghe di Cristo con cinque rose, una posta al centro della croce e le altre quattro tra i suoi bracci, insieme che costitui - sce anche uno dei principali simboli rosacrociani]. 

La rosa è in Occidente, con il giglio, uno dei più consueti equivalenti di ciò che • il loto in Oriente; qui sembra d'altronde che il simbolismo del fiore sia riferito unicamente alla produzione della manifestazione [Deve restare ben inteso, perché questa interpretazione non possa dar luogo ad alcuna obiezione, che vi è una relazione strettissima fra «Creazione» e «Redenzione», che non sono altro che due aspetti dell'operazione del Verbo divino], e che Prakriti sia rappresentata piuttosto dallo stesso suolo vivificato dal sangue; ma vi sono anche dei casi in cui sembra che le cose stiano altrimenti. Nello stesso articolo che abbiamo appena citato, Charbonneau-Lassay riproduce un disegno ricamato su una cartagloria dell'abbazia di Fontevrault, che risale alla prima metà del secolo XVI ed è conservata oggi nel museo di Napoli, in cui si vede la rosa posta ai piedi di una lancia eretta verticalmente, lungo la quale piovono gocce di sangue. 

La rosa vi appare associata alla lancia esattamente come lo è altrove la coppa, e sembra proprio raccogliere delle gocce di sangue piuttosto che provenire dalla trasformazione di una di esse; è evidente del resto che i due significati non si oppongono per nulla, ma piuttosto si completano giacché queste gocce, cadendo sulla rosa, la vivificano e la fanno sbocciare; e va da sé che questa funzione simbolica del sangue ha, in tutti i casi, la sua ragione nel rapporto diretto di quest'ultimo con il principio vitale, qui trasposto nell'ordine cosmico.


Tratto da "Simboli della scienza sacra" di René Guénon (titolo originale  "Symboles fondamentaux de la Science sacrée")


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I fiori simbolici




💜Solo per un mago..

 Solo per un mago il mondo è per sempre fluido, infinitamente mutabile ed eternamente nuovo. 


Solo lui conosce il segreto del cambiamento, solo lui sa veramente che tutte le cose sono accovacciate nel desiderio di diventare qualcosa di diverso ed è proprio da questa tensione universale che egli trae il suo potere.


(Peter S. Beagle)


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Solo per un mago




💜L'organo sessuale

 L’organo sessuale – punto di congiunzione di importanti terminazioni nervose, in particolare del sistema nervoso simpatico e dei nervi spinali, che in virtù delle proprie connessioni con il cervello sono in grado di stimolare l’intero organismo – è in un certo senso la radice dell’albero della vita.

L’uomo cui è stato spiegato l’uso corretto del sesso può mantenere il corpo e la mente in buona salute e vivere serenamente per tutta la vita.

I principi pratici di un sano comportamento sessuale non vengono insegnati perché la società considera l’argomento immorale e indecente. Nella sua cecità, l’umanità pretende di coprire la Natura con un velo perché le sembra impura, dimenticando che essa è sempre immacolata e che l’impurità e l’indecenza non sono certo una caratteristica della Natura, ma fanno parte della mentalità umana.


Sri Yukteswar – La scienza sacra


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L'organo sessuale




💜L'Amore non vive nel tempo.

 L’amore non vive nel tempo. E’ fuori dal tempo...L’amore è un sentimento al di fuori del mondo razionale. E’ lui che unisce gli amanti, solo lui. Guai a metterci sempre il nostro io, i nostri ragionamenti... E’ il desiderio che unisce le persone, il desiderio…Nelle cose dell’amore non c’è niente da capire…Noi non scegliamo mai, è l’anima che sceglie per noi. Più domande ci facciamo, più stanchiamo l’anima…Mai ragionare sul perché nelle cose affettive… Non dipende da te...L'Amore è... abbandonarsi a quel fuoco che lui accende ogni volta che ti viene vicino. E’ quel fuoco l’evento…Quando quel fuoco si accende non ci sono più domande. Quindi niente più domande, niente più riflessioni…L’amore vive…nell’adesso, nel senza tempo. E’ forse l’unico atto vitale che possiamo conoscere senza il tempo. Quando siamo nel senza tempo siamo seduti sull’eterno e nell’eterno niente si separa da niente...


(Raffaele Morelli)


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L'Amore non vive nel tempo




💜Alla fine del Natufiano

 Alla fine del Natufiano, all’antivigilia dell’invenzione dell’agricoltura, assistiamo alla «nascita degli dèi». L’arte dei cacciatori franco-cantabrici durante il Paleolitico recente, precedente perciò alla cultura natufiana, era un’arte animalista. Tuttavia a volte è presente anche la figura umana: un esempio sono le Veneri paleolitiche dette aurignaziane. Il Natufiano ha lasciato pochi generi di figure antropomorfe. Esse compaiono soltanto nell’VIII millennio, soprattutto nella regione dell’Eufrate, sotto forma di figurine femminili che diventano sempre più numerose a partire dall’8000 a.C. circa. Le forme sovradeterminate di queste figurine e le loro posizioni sono simboliche e significative di un certo pensiero. Dopo averne compiuto uno studio sistematico, Cauvin non esita a scrivere che all’inizio dell’VIII millennio vediamo ritrarre la figura che sarà la «Grande Dea orientale». A Mureybet essa compare in un ambiente paesano sedentarizzato, ma che ancora non conosce l’agricoltura. La sua comparsa non simboleggia perciò un’idea di fecondità agricola – che si preciserà più tardi – ma un nuovo senso del divino. Intorno al 7000 a.C. una seconda figura umana maschile accompagna talvolta la dea, ma occorrerà attendere Çatal Hüyük nel VI millennio per trovare questo dio nel pantheon neolitico. Presso i cacciatori natufiani predomina ancora l’arte animalista. A Mureybet sono stati trovati dei bucrani, risalenti all’8200 a.C., inseriti in sedili, sebbene il toro non facesse ancora parte dell’alimentazione. Perché ciò avvenga occorre attendere un mezzo millennio (verso il 7700 a.C.). Ciò consente di dedurre che molto presto il toro ha avuto un ruolo nell’ideologia religiosa degli abitanti di Mureybet. Molto tempo prima della sua cattura, esso ossessionava la psiche dell’uomo, che gli attribuì un posto nella sua concezione del sacro. È questo l’inizio del culto del toro che si diffonderà in tutto il Vicino Oriente.


 Tratto da Mircea Eliade "Il dizionario degli Dei"


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Alla fine del Natufiani..




💜Così il mondo..

 Così, il mondo che ci circonda, in cui si sente la presenza e l’opera dell’uomo – le montagne sulle quali vive, le regioni popolate e coltivate, i fiumi navigabili, le città, i santuari – hanno un archetipo extra-terreno, concepito sia come una «pianta», come una «forma», sia semplicemente come un «doppio» esistente precisamente a un livello cosmico superiore. Ma non tutto, nel «mondo che ci circonda», ha un prototipo di questa specie. Per esempio, le regioni desertiche abitate da mostri, i territori incolti, i mari sconosciuti su cui nessun navigatore ha osato avventurarsi ecc., non dividono con la città di Babilonia o con il nomos egizio il privilegio di un prototipo differenziato. Essi corrispondono a un modello mitico ma di un’altra natura: tutte queste regioni selvagge, incolte ecc., sono assimilate al caos; esse partecipano ancora della modalità indifferenziata, informe, precedente la creazione. Per questo, quando si prende possesso di un determinato territorio, cioè quando si comincia a esplorarlo, si compiono riti che ripetono simbolicamente l’atto della creazione; la zona incolta è prima di tutto «cosmizzata», poi abitata. Ritorneremo fra poco sul significato delle cerimonie di presa di possesso delle zone di nuova scoperta. Per ora vogliamo sottolineare che il mondo che ci circonda, civilizzato dalla mano dell’uomo, ha, come unica validità, quella dovuta al prototipo extraterrestre che gli è servito da modello. L’uomo costruisce secondo un archetipo; non soltanto la sua città o il suo tempio hanno modelli celesti, ma anche tutta la regione che abita, con i fiumi che la bagnano, i campi che gli danno il nutrimento ecc. La carta di Babilonia mostra la città al centro di un vasto territorio circolare circondato dal mar-ra-tum («fiume di acqua amara»), esattamente come i sumeri si raffiguravano il paradiso12: questa partecipazione delle culture urbane a un modello archetipico conferisce loro la realtà e la validità. Lo stanziamento in una zona nuova, sconosciuta e incolta, equivale a un atto di creazione. Quando i coloni scandinavi presero possesso dell’Islanda, landnáma, e la dissodarono, non considerarono questo atto né come un’opera originale né come un lavoro umano e profano. La loro impresa era per essi soltanto la ripetizione di un atto primordiale: la trasformazione del caos in cosmo per opera dell’atto divino della creazione. Lavorando la terra desertica, essi ripetevano infatti l’atto degli dèi che ordinavano il caos dandogli forme e norme13. O meglio: una conquista territoriale diventa reale soltanto dopo o, più esattamente, per mezzo del rituale di presa di possesso, che è solo una copia dell’atto primordiale della creazione del mondo. Nell’India vedica un territorio veniva preso legalmente in possesso per mezzo della costruzione di un altare dedicato ad Agni14. «Si dice che ci si è stanziati (avasyatī) quando si è costruito un gārhapatya, e tutti quelli che costruiscono l’altare del fuoco sono stanziati (avasitāḥ)», dice il Śatapathabrāhmaṇa (VII, 1, 1, 1-4). Ma l’erezione di un altare dedicato ad Agni è precisamente l’imitazione microcosmica della creazione. Anzi, un qualunque sacrificio è, a sua volta, la ripetizione dell’atto della creazione, come affermano esplicitamente i testi indù (ivi, XIV, 1, 2, 2b ecc.; vedi sotto, cap. 2). I conquistadores spagnoli e portoghesi prendevano possesso, in nome di Gesù Cristo, delle isole e dei continenti che avevano scoperto e conquistato. Il piantare la croce equivaleva a una «giustificazione» e alla «consacrazione» della zona, a una «nuova nascita», che ripeteva anche il battesimo (atto di creazione). A loro volta i navigatori britannici prendevano possesso delle regioni che avevano conquistato in nome del re d’Inghilterra, nuovo cosmocrator. L’importanza dei cerimoniali vedici, scandinavi o romani ci apparirà più chiaramente quando esamineremo in particolare il senso della ripetizione della creazione, l’atto divino per eccellenza. Per ora consideriamo solo un fatto: ogni territorio occupato con lo scopo di abitarvi o di utilizzarlo come «spazio vitale» è prima di tutto trasformato da «caos» in «cosmo»; cioè, per effetto del rituale gli viene conferita una «forma» che lo fa così divenire reale. Evidentemente la realtà si manifesta, per la mentalità arcaica, come forza, efficacia e durata. Perciò il reale per eccellenza è il sacro, poiché soltanto il sacro è in un modo assoluto, agisce efficacemente, crea e fa durare le cose. Gli innumerevoli gesti di consacrazione – degli spazi, degli oggetti, degli uomini ecc. – tradiscono l’ossessione del reale, la sete del primitivo per l’essere.


Tratto da Mircea Eliade "Il mito dell'Eterno ritorno"


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"El otro reloj" "The Other timepiece", 1957 Remedios Varo

Così, il mondo..




💜5 maggio. Giornata mondiale Api

 20 maggio giornata mondiale delle Api. 


Perfino il matematico Pitagora – probabilmente un iniziato ai misteri del monte Ida – attribuiva la sua longevità ad una dieta a base di miele. E se durante le Thesmoforie siracusane si preparavano mylloi (focacce) a base di sesamo e miele rappresentanti i genitali della dea, ancora oggi in India si usa spalmare del miele sul sesso della sposa in occasione delle nozze. Ancora la prima liturgia cristiana imponeva di far assaggiare il miele ai battezzandi, e continuava ad usarlo come libagione (insieme al vino e al latte) nei rituali funebri a Siracusa.


Ricorda la Albertocchi (2012: 68), citando Kerènyi, che il miele ha lo stesso colore del pallido sangue divino, l’ichòr omerico, e che lo stesso termine viene usato da Aristotele per definire il liquido amniotico delle partorienti. L’elemento liquido rientra nel complesso insieme simbolico al cui centro stanno le grotte-ninfeo, là dove nascono le sorgenti sotterranee. L’acqua – sacra alle Ninfe [15] e in alcuni testi sovrapposta ad esse come sinonimo – non è semplicemente un liquido dissetante, e non è ancora (siamo in un’epoca precedente alla “rivoluzione” agricola) importante per la cerealicoltura. L’acqua di sorgente è essenza ctonia: proviene dal ventre della Dea e i luoghi in cui essa sgorga sono luoghi di confine e insieme di collegamento tra due mondi altrimenti separati: il nostro mondo e il mondo infero. Perciò le api-Ninfe sono esseri che abitano il confine tra la vita e la morte, come ognuno di noi prima della nascita trascorre nell’acqua i nove mesi liminali della gestazione. L’acqua è quindi un elemento sacro e legato alla vita, alla morte, alla rinascita; essa risana, feconda, purifica [16].


Il legame tra Ninfe e acque sorgive, non “addomesticate” a scopo agricolo, chiarisce la loro relazione con la sfera del selvatico, e le sedi naturali delle api/Ninfe, le grotte da cui sgorgano acque perenni, rafforzano il simbolismo ctonio dell’insieme. È nelle grotte che ha avuto origine il culto dei morti: le grotte sono al contempo tombe dove i morti riposano e ventre gravido della Madre da cui si ri-nasce. Il miele, liquido amniotico divino usato nei riti funerari, e l’acqua sorgiva sono i mezzi per “conservare” e proteggere i morti e coloro che devono ritualmente ri-nascere. Ma il miele sembra legato anche alla parola, tramite la stessa radice relittuale semitica *DB(R) il cui significato è “effondere, fluire”. Dabar è la “parola ispirata”: profetica, poetica o cantata. Il profeta (o il poeta) è collegato all’ape: dalla loro bocca il miele/parola ispirata “fluisce” (Aspesi 2011: 75-82).


Ecco un altro insieme simbolico: in Mesopotamia il sumerico ka-lal, “bocca di miele”, è epiteto di divinità; e in un inno babilonese si dice di Ishtar: ha «labbra dolci come il miele, vita è la sua bocca». Nella letteratura greca troviamo diversi esempi di Ninfe o sacerdotesse legate all’attività profetica: Pindaro chiama la Pizia Melissa di Delfi, là dove un tempio venne costruito dalle api, e dove la prima profetessa di Gea fu la Ninfa Dafni; nell’Inno Omerico a Hermes le tre vergini-api «insegnano, in disparte, la divinazione»; la Ninfa Erato era profetessa di Pan in Arcadia; le Thriai nutrici di Apollo sono definite da Esichio le prime profetesse, e tali sono anche le ninfe Sfragitidi presso il monte Citerone (Andò 1996: nota 117). Anche Omero associa il miele alla parola, e insieme ai poeti i filosofi (Saffo, Pitagora, Pindaro, Platone, Socrate) vengono definiti ’nutriti e illuminati dal miele divino’. Lo stesso Pindaro sembra mettere in connessione méli (miele) e mélos (canto).


D’altronde il miele è l’ingrediente per una tra le più antiche misture psico-attive, tra le più semplici da realizzare e con grandi implicazioni cerimoniali: il melikratos (da miele e kratos  “forza, potenza”) o idromele, formato dalla mescolanza di miele e acqua, la cui fermentazione produce una bevanda dal potere inebriante e di tradizione antichissima, precedente all’uso del vino e usato nei riti tesmoforici o di altre dee parthenoi [17]. Ma già nella grotta dell’Ida [18] dove crebbe Zeus Kretagenes si celebrava una festa misterica annuale con la preparazione rituale dell’idromele (Caruso 1994: 25): Plinio, descrivendo il procedimento per la preparazione della bevanda, sottolinea che la fase della massima fermentazione doveva avvenire al sorgere eliaco di Sirio, momento importantissimo nella religiosità greca, che corrispondeva, nei principali centri religiosi, al Capodanno.


Il miele è stato dunque nutrimento, farmaco, sostanza inebriante, e le Ninfe/Api sono le intermediarie, tra le divinità e gli esseri umani, tra cielo e terra, per questa sostanza sacra. Questi elementi ci spingono a comparare i riti legati alle Ninfe al viaggio sciamanico di altre tradizioni culturali, che comprende – oltre alle sostanze inebrianti – pratiche di digiuno, musica, danza e utilizzo rituale della voce per accedere a quegli stati non ordinari di coscienza dai quali potevano scaturire le visioni “profetiche” o “poetiche”. Le Ninfe, infatti, possono anche rapire: la ninfolepsia [19] ad esempio è un particolare stadio religioso, un entusiasmo profetico ispirato dalle Ninfe ai mortali, una dimensione estatica, non legata alla follia ma decisamente al mondo selvatico e non addomesticato, slegata dalla cornice cittadina. Il ninfolepto è catturato dalle Ninfe e «strappato alla polis, ma attraverso la possessione delle Ninfe riguadagna un ruolo sociale e mantico» (Schirripa 2009: 82-83). Nei ninfei si ritrovano iscrizioni e dediche di “rapiti” iniziati al culto delle ninfe. Socrate, nel Fedro, è un ninfolepto, ed evidenti tracce di questa forma di sacralizzazione si ritrovano nella poesia greca di ambito egizio, nelle dediche epigrammatiche alle ninfe del Nilo,  nella tarda poesia orfica. Servio (Georgiche 4, 363) ci racconta di bambini offerti alle ninfe del Nilo, e suggerisce un rituale di iniziazione paragonabile alla discesa eleusina degli inferi. Non si può fare a meno di pensare ai racconti dei bambini “rapiti” o “scambiati” dalle Donne di Fora in Sicilia.


[http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/kore-e-le-ninfe-nel-mediterraneo-tra-api-e-miele-2/] 


(placchetta Artemide-Ape, Rodi, VII Sec.a.C.)

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20/05.giornata mondiale Api