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domenica, ottobre 25, 2020

💛I motivi a pibiones nella cultura sarda

 I motivi a pibiones nell'artigianato sardo


Parto, in questo viaggio tra le tradizioni e la cultura della simbologia della nostra arte e civiltà, dall'osservazione della lavorazione tipica dei manufatti orafi e tessili della Sardegna, chiamata lavorazione "a pibiones" 

Che tradotto  indica i piccoli acini di uva, in piccoli granuli, affiancati tra di loro

Lavorazione che ritroviamo nell' oreficeria come nei manufatti artigianali di tessitura, quali tappeti in particolare, e copriletti

A prima vista sembrerebbe, soprattutto per quel che riguarda l'oreficeria, la tipica lavorazione a granulazione tipica dell'oreficeria etrusca, a sua volta importata dalle vicino Medio Oriente

Tecnica della granulazione che originariamente risale al 2500 avanti Cristo, con ritrovamenti di manufatti a granulazione le tombe di Ur in Mesopotamia, mista a tecniche di filigrana

La tecnica della granulazione, che in Sardegna sarebbe arrivata grazie ai contatti con gli etruschi nel VIII secolo a. C. , tecnica poi abbandonata dagli stessi dal V. sec. in poi

Gli Etruschi amavano ostentare la loro supremazia aristocratica anche e soprattutto attraverso questi manufatti dell'oreficeria

Gli orafi arrivarono da paesi orientali, dove erano bravissimi nell'arte orafa


Ma  Mario Pincherle ha smentito, con degli studi accurati, l' effettiva paternità della tecnica a granulazione, attribuita agli Etruschi 

Mario Pincherle è uno scrittore noto soprattutto per le sue indagini paleotecnologiche in materia di archeologia misteriosa

Grande conoscitore di lingue antiche,  ha anche tradotto molti testi antichi, tra cui gli apocrifi Il Vangelo di Tommaso e Il libro di Enoch, entrambi tradotti dall'aramaico.

Una frase del libro di Osiride, il "PER-EM-RA, e un' attenta indagine storica, hanno premesso  a Pincherle di svelare il mistero di questa antica e raffinata tecnica, realizzando lui stesso, dei gioielli con  microsfere di oro perfette, con l' antico metodo di cauta della torre", così lo chiama nel suo libro "L' oro granulato", utilizzando come ingredienti soltanto Oro, incenso e  colla di mirra( la colla arabica) 

Le microsfere d' oro vengono provvisoriamente applicate al gioiello con la mirra, subito dopo il gioiello viene parzialmente fuso dentro uno stampo di incenso che resiste ad altissime temperature, e una volta raffreddato il gioiello, rinasce dalle ceneri di incenso proprio come l' araba Fenice

Questa tecnica scomparve del tutto nel periodo della Grecia classica e non se ne parlò più 

Tecnica nata in Mesopotamia nel 3000 a. C., si dice, ma si è attestato, dagli studi dell' archeologo, che gli Etruschi non erano assolutamente in grado di riprodurre l' oro granulato, ma che lo rubavano o strappavano ai popoli vinti

I gioielli infatti appartenevano all' epoca di Saragon di Accadia, il re dei 100 nomi e alla civiltà minoica, e di furto in furto sono arrivati fino a noi, chiamandoli, erroneamente " ori granulati etruschi", mentre invece risalgono ad un' epoca che precede di 3000 anni il sorgere della civiltà etrusca

Non paternità etrusca, comprovata anche dalla prova al carbonio c14,  ristabilendo agli Ausoni, gli Antichi Italici del Lazio centrale nell' età del Ferro, la paternalita della  civiltà  che sorse nella nostra penisola, molto prima che i popoli indoeuropei vi giungessero, a dimostrare che

gli ori granulati, precedono di 3000 anni il sorgere della civiltà etrusca, smascherando così anche il falso storico della fibula del Louvre, l' unico gioiello etrusco in oro granulato che pareva fosse la prova della fattezze di questi gioielli


E mia sembra anche strano, che il metodo di Pincherle sia stato chiamato il metodo della torre

Quale torre? Forse una torre nuragica? In Egitto non ci sono torri

Perché una tecnica che è sparita dal resto del mondo, sopravvive fino ai giorni nostri, diventando la tecnica, insieme alla filigrana, che contraddistingue i nostri gioielli, le nostre "prendas", raggiungendo livelli altissimi di raffinatezza, difficilmente emulabili, con granuli talmente piccoli da richiedere una tecnica che si sia affinata da secoli e da millenni? 


Inoltre,  è stato attestato che questa tecnica nasce sotto l' impero di Saragon o Sargon di Accadia( Sargon/Saragon, sempre la radice Sar-, come Sardegna), che era il re dell' impero accadico dal 2335 a. C., fino al 2279 a. C., fondatore della dinastia Akkad, primo re della storia e  creatore di un vero e proprio impero su vasto territorio. Quella civiltà si chiamò Sumer, perché gradualmente il Sud sumerico fu conquistato dagli Accadi, ed essi costituirono un impero che andava dalla Mesopotamia all’Anatolia centrale all’odierna Siria. Oggi si designa come «accadico» il ramo orientale del gruppo linguistico semitico, lo stesso dei sardi

Superfluo sottolineare che i Sumeri potrebbero essere identificati con gli stessi Sardi. 

Abbiamo una Ziggurat, l' altare di Monte d' Accodi, vicino a Sassari, risalente al 5.000 a. C. (a cui ho dedicato un post), nome molto simile ad "accadico" ( Ercole Contu, uno dei padri dell'archeologia Sarda, portò alla luce, negli anni 50,  proprio da questa piattaforma, circa 6000 oggetti, che dato' tra il 4000 e il 3200 a. C.), abbiamo le barche di giunco sarde, identiche a quelle sumere ed egizie( is fassones), e molte altre similitudini 

Un bassorilievo rappresentante la barca solare egizia è stato trovato anche in una Domus de Janas

Sardanapalo, ultimo re assiro, ha un nome molto sardo

Nomi di città con desinenza in Sard- se ne trovano in tutto il bacino mediterraneo, e oltre 


L'Etruria era ricca di metalli ma non aveva giacimenti auriferi

In Sardegna vi erano per lo più giacimenti di argento o di altri metalli come lo stagno, infatti era chiamata, in periodo accadico,  Anaku, "terra dello stagno" ( stessa iniziale di Atlantide..) 

Era la terra dei metalli, probabilmente la stessa Tartessis,/Tartesso, diversamente dall'ambito etrusco,

Una  terra, la Sardegna che, su 24. 000 kmq, nel Neolitico e nell' età del Bronzo, "tira su" oltre 10.000 nuraghi, scava oltre 3500 Domus de Janas, oltre un migliaio di templi e Pozzi, e un migliaio di Tombe dei Giganti 

Un concentrato ad  altissima percentuale non solo archeologica, ma sintomatico di una civiltà viva, che produceva manufatti, vino, che aveva vigneti autoctoni eccezionali, tanto da esportare il vino


La Tartesso città mitica dei metalli, poteva benissimo avere il suo nucleo a Tharros. Hanno quasi lo stesso nome

Le sue mura risalgono a oltre 3000 anni fa, e difronte ad esse si trovava la foce del Tirso, e scritta con l' acronimo ( i Sardi non usavano le vocali in scrittura), risulta TRSS, lo stesso nome di Tartesso

Nome che si trova anche sulla stele di Nora( lapide commemorativa in onore del Tempio di Tharros, offerta dagli abitanti di Nora, fondata dagli abitanti di Tharros), nella prima riga T(a) RSH(i)S

Tartasso, la terra dei metalli, era la Sardegna, ricca di argento, soprattutto, insieme a rame e bronzo, e ossidiana, naturalmente, commercializzata fin da tempi lontanissimi, almeno 8. 000 a. C. 


È chiara quindi, la facilità, con la quale, la lavorazione "a pibiones", si sia potuta sviluppare qui in Sardegna, rappresentativa, della simbologia degli acini di uva, a differenza della civiltà etrusca, che non vantava né di giacimenti di argento o di oro( ne aveva anche la Sardegna, specialmente nella zona di Furtei), né di  una vasta produzione e lavorazione dell' uva

 Dove invece, la produzione a  pibiones si svolge in modo diverso, arrivando fino ai nostri giorni e diventando il tratto distintivo dei nostri manufatti orafi e artigianali  

Perché in questa  particolare lavorazione a granulazione in Sardegna, c'è un significato particolare e ben diverso dalle granulazioni che possiamo vedere vedere nei manufatti di altre culture, perché si carica della simbologia di un elemento importantissimo per i sardi, e la  vino e la vite


Si creano  dei  piccoli "pibioni" , dei piccoli acini d'uva, emulando i pippiolini a cui appeso è ancorato l'acino d'uva

È una sorta  di asola, nella riproduzione al telaio, non è una semisfera decorativa, che potrebbe sembrare un' emulazione della goccia d'acqua, ma è proprio un pibione in rilievo, che riproduce il pipiolino sottile con il suo  Acino di uva

La vite è molto rappresentata nei manufatti sardi, con i suoi tralci, i suoi cirri e le sue foglie 

I cirri sono chiamati anche viticci, e sono le parti più tenere della pianta, quelle a spirale che si avvolgo a dei sostegni, e che permettono alle piante di sollevarsi, in cerca di migliori condizioni, soprattutto in di luce, e infatti la vite è la pianta che più cerca la luce del sole


Esistono degli orecchini stupendi, tipici dell' oreficeria sarda chiamati gli orecchini a grappolo, che rappresentano un grappolo d' uva, con le foglie d'oro o d' argento, e gli acini spesso in corallo rosso, frutto di una maestria eccelsa nel crearli, e simbolo beneaugurante di fertilità 


La vite, insieme al pane, è sempre stato considerato un elemento sacro 

Vino come ebrezza, come nutrimento come, sangue, come fertilità, come immortalità

Bacco il dio del vino, rimanda al nostro Bachis, Bachisio sardo, cognome e nome molto diffuso in Sardegna


Nel bronzetto nuragico itifallico di Ittiri, in provincia di Sassari, è rappresentato un individuo con fallo eretto, che suona il doppio flauto, come le launeddas, figura che richiama i Satiri, chiamati anche Sileni, che facevano parte del mondo di dionisiaco 

Vi è anche un paese, in Sardegna, chiamato Silene di Ploaghe 


Figura di Dionisio, molto sentita anche in Sardegna

Dal libro di Dolores Turchi "Le tradizioni popolari della Sardegna" 

"Esiste nel Museo Archeologico di Cagliari un reperto rinvenuto a Tharros, la cui interpretazione risulta assai enigmatica. Si tratta di un cippo in arenaria conchiglifera, che alcuni datano intorno al iv-iii secolo a.C. Rappresenta tre figure femminili nude, viste di spalle, che paiono strofinare il ventre contro una colonna alla quale sono aggrappate (qualcuno ci vede una danza sacra), mentre una figura maschile con gonnellino, forse un dio, è scolpita frontalmente e dal suo capo emerge una testa taurina, quasi a rappresentare le due nature del personaggio, che, a differenza delle donne, sembra fare tutt’uno con la colonna che lo incorpora. Non è improbabile che si tratti della rappresentazione di Dioniso, datore di fecondità, nelle due forme antropomorfa e zoomorfa. Una sorta di sincretismo, avvenuto in ambito fenicio-punico, con una religione che i sardi dovevano conoscere già prima che i fenici approdassero nell’isola."


I Sumeri-Sardi, adoravano la Dea Vite, chiamata anche Madre Vite, anche se si crede che il culto di Dionisio sia  antiche origine cretesi , dove sono state ritrovate tracce del culto del vino, legato a quello del Toro, simbolo  dionisiaco

Perché la vite è come l'albero della conoscenza

Il cantare e danzare dionisiaco avviene in una dimensione spirituale Divina, dove Dionisio II fanciullo, allegoricamente, viene sacrificato per poi accedere ai misteri della vita, in un ciclo continuo di nascita, morte e rinascita

Anche il sommo sacerdote con diadema circolare, rappresentato nei Bronzetti è rappresentato con le armille nelle caviglie, come un musico, chiaro riferimento al fatto che la dimensione musicale e sonora, era strettamente legata anche alla dimensione spirituale

La pianta della vite è un Archetipo 

Maria, di se stessa, dice che è come la vite fecondata dal sole, dalla Cristo solare

La vite è una pianta solare che si nutre di sole, ma è anche lunare, poiché porta all' Estasi a quel buio della razionalità, che poi ci aiuta comunque a ritrovare la luce

A settembre si vendemmia, e a settembre inizia l'anno, secondo i parametri del calendario della  civiltà Sarda 

Infatti settembre viene chiamato "cabudanni", capodanno

Settembre il nuovo anno, inizia con la vite/vita, con  il rinnovamento, la fertilità, con il brindisi e la celebrazione dell' ebbrezza, della vita stessa


Parlare di uva e di vigneti in Sardegna, è parlare di 150 vitigni  nati in modo autoctono, senza contare gli altri che sono stati importati, fin da tempi remotissimi

Il vino più antico del mondo è stato riconosciuto  nel Cannonau sardo, e si trovano tracce della sua lavorazione finta al Neolitico

Nella pietra di un Torchio ritrovato nelle campagne di Monastir, sul Monte Zara, infatti, gli esperti del Dipartimento di Chimica hanno trovato le tracce dell’acido tartarico presente nell’uva e così si è capito che quel torchio serviva proprio per produrre il vino. 

Le campagne del Campidano erano ricche di vite selvatica e gli Shardana bevevano rosso, una specie di Cannonau di quasi tremila anni fa.

 I primi produttori di rosso del Mediterraneo sono stati proprio i sardi dell’Età del Ferro, quelli che hanno vissuto nei  villaggi dell’isola tra il 900 e il 750 a C. .

Non sono stati certo i Fenici a portare il vino in Sardegna, e il primo Torchio non è quello ritrovato in Francia  appartenente al V sec. a. C., ma quello, appunto, ritrovato nelle campagne di Monastir,  risalente al IX-X sec. a. C. 

E nelle campagne di Cabras, gli archeologi hanno ritrovato più di 15 mila semi ancora in perfetto stato di conservazione, ancora all’interno  dei frigoriferi naturali di quel periodo: profondi pozzetti scavati nella roccia.

Quindi gli antichi Sardi, coltivavano la vite,  il melone, noci, nocciole  fichi,e molto altro


In Sardegna il vendemmiare, è il riunire la comunità sotto un'unico brindisi, un'occasione di socializzazione, di condivisione

Ancora oggi è diffusissima la ritualità del  "su ziru"( "ziru", come Monte Zara, zona del ritrovamento del Torchio), il giro del "bicchierino offerto", con un  proprio codice comportamentale, dove ognuno paga a turno da bere, e  a cui non ci si può sottrarre


Nel Nuraghe Arrubiu, il gigante rosso in basalto di Orroli, rosso come l'uva rossa del Cannonau, risalente, dicono, ma non ci crede nessuno, al 1500 a. C. ( ma io personalmente retrocederei di almeno 4 millenni prima), vi era un vero e proprio laboratorio del vino, adibito a pigiatura dell'uva e a raccolta del mosto

Nel Medioevo, con i giudicati sardi si ha a buon riguardo, la coltivazione dei Vigneti, e nella Carta De Logu (la raccolta degli ordinamenti giuridici in lingua sarda promulgata nel 1392 da Eleonora d'Arborea) , era espressamente proibito tenere vigneti  mal coltivati e   far circolare  liberamente del bestiame in essi 


L' eroe Aristeo, figlio di Apollo e Cirene, che si narra fu il primo a istituire nell'isola le coltivazioni dei vigneti ( oltre che introdurre l'apicultura e molto altro), genera due figli di cui uno, Charmos,  era considerato la divinità del vino, connessa all' Anno nuovo, perché era raffigurato con dei vigneti, come se fossero indicativi del capodanno sardo

La diffusione del vino  in Area Mediterranea, è attestata intorno  al 3500 a. C., e a Creta in periodo più tardo, nel 1200 a. C. 

Da noi, considerando che l'età dei Nuraghi che risalgono a prima della fondazione delle città, potrebbe essere molto più vecchia di ciò che si attesta 

Si parla del bronzo recente, 1300 a. C., circa, e sono state trovate tracce di Vitis vinifera  in svariati nuraghi, a Borore, a Cabras, a Villanovatulo,  a Tuili, a Villanovaforru, a Ittireddu, e in altre località, dove sono state trovate  ciotole come l'attingitoio e brocche, che fanno pensare a pratiche legate al consumo di una bevanda che potesse essere il vino

Inoltre è stato trovata la presenza di complessi processi di vinificazione Il Torchio per la vinaccia, come ho scritto prima

Per non parlare delle anfore del tipo  di sant'Imbenia, ritrovate a  San Vero Milis, Alghero, in altre zone, risalenti all' VIII sec. a. C. e adatte per il trasporto del vino, e di coppe tripodate, con tre piedi, che servivano per la triturazione delle spezie per il consumo del vino aromatizzato


Proprio ieri  ho avuto modo di ammirare  per la prima volta, la stupefacente riproduzione in bronzo  del ricercatore  Valerio Di Camillo, di cui riporto la didascalia esatta, e del quale, per gentile concessione, mi è stato permesso di postare la magnifica foto della riproduzione bronzea 


"Il ritrovamento avvenne nella notte tra domenica 23 e lunedì 24 giugno del 1968. 


Uno dei ritrovamenti più importanti in Sardegna dal punto di vista speleologico ma soprattutto archeologico, nel territorio di Santadi nella cavità carsica della “grotta Pirosu” un gruppo di speleologi e studiosi scoprirono un tempio nuragico sormontato da un tesoro di straordinaria bellezza, composto da migliaia di pezzi tra cui vasellame e bronzi di raffinata fattura. 

(Scoperta dell'Associazione Speleologica Iglesiente ( A.S.I. ) di Iglesias, guidati dal Presidente Prof. Antonio Assorgia).


(Riproduzione in bronzo del tripode ritrovato nell'"altare" del tempio. Altezza totale 14,2 cm. Diametro del cilindro 5,2 cm altezza 3,4 cm. Altezza di un piedino 10,7 cm.) Gli studi sono stati effettuati grazie ai dati forniti dall'archeologo dottor Franco Campus e dai disegni del dottor Franco Satta. Un particolare ringraziamento al mio grande amico Giovanni Romano.


Un piccolo pensiero ai nostri avi che con dedizione hanno saputo fermare il tempo creando un tempio ipogeico per il culto dell'acqua nel ventre della terra"


Ecco, osservando questo stupendo tripode, che ora si trova esposto nel museo archeologico di Torralba, noto subito la lavorazione a granulazione, i Cirri, i riccioli della vite, le spirali, simbolo di nascita, morte e rinascita, di immortalità ( la vita eterna, tipica simbologia dell'uva), della fertilità, esemplificata nella protome taurina/uterina, elemento androgino, insieme, fecondante e fecondato, che nelle corna presenta delle protuberanze

Protuberanze presenti anche negli elmi dei nostri Bronzetti sardi

Protuberanze che indicano chiaramente l' elemento fecondante taurino, penetrante, mascolino, rappresentato dalla punta delle corna, che  penetra la sfericita' del grembo femminile, rappresentato appunto da queste sfere. 

Sono le stesse sfere, a fine corna, che troviamo nel bronzetto androgino di Abini, ritrovato a Teti, in provincia di Nuoro, che presenta anche elementi femminili, come i cerchi concentrici su braccia, gambe e collo, e la valenza del "doppio" 

Doppi occhi, doppie braccia. Una rappresentazione androgina ( anche se vi ho aggiunto altre valenze, in un mio precedente post) 

In questo caso, si tratta di un tripede votivo, finalizzato sicuramente, ad un cerimoniale sacro, magari ad una unione ierogamica sacra, cosa alquanto possibile per la presenza  esteriorizzata in decorazione, dell ' elemento maschile Divino, il Dio Toro, rappresentato in queste tre protomi ad ornamento del tripode, che feconda con le sue corna falliche e appuntite, la sfericita' del grembo femminile

Una rappresentazione beneaugurante di fecondità e fertilità per questa unione sancita con il Sacro vino

Stessi elementi sferici delle sfere pendenti,  che simboleggiano il grembo, sopra le quali  sono incise delle piccole circonferenze ravvicinate, quasi a simulare i chicchi di uva

Tre sfere, in accordo con la simbologia del numero 3, così importante nella cultura e Civiltà Sarda, simbolo di nascita, morte e rinascita, e di creazione completata

Tre elementi di sostegno che si trovano in ognuno dei  tre piedi ad indicare la trinità della creazione,  mezzo fecondante, elemento fecondato e creatura di questa unione, che è simbolicamente nascita/ morte /rinascita, a rivendicare quell' immortalità di cui la vite è simbolismo, e sacralizzata attraverso il vino che sancisce unioni, trasformazioni alchemiche

Un vino particolare, speziato e aromatizzato, magari un vin brule', da bere caldo


E se proprio vogliamo andare nel dettaglio preciso, i tre piedi a ventaglio, del tripode, sembrano la struttura ossea  dei piedi  palmati dell' oca. 

Oca, legata al Sole, alla fertilità, alla Regina dei Vigneti, la Regina di Saba, come tra breve spiegherò 

Un' antica eucarestia ( [dal lat. tardo eucharistĭa, gr. eccles. εὐχαριστία, propr. «riconoscenza, rendimento di grazie», der. di χάρις «grazia»]) 

nell' accezione più primordiale del termine. 

Un brindisi di ringraziamento alla vita, e per la vita, attraverso la vite, e il suo vino che vince ( ingl. "to win" sulla morte), rosso come il sangue mestruale, simbolo di vita e di fecondità 

Questo bellissimo tripode è stato ritrovato a Santadi, la zona della Sardegna dove vigneti sono maggiormente diffusi

E questo rientra perfettamente in quel discorso di Tripodi usati per sminuzzare le spezie che  servivano per aromatizzare il vino speziato, che sicuramente veniva usato in un contesto sacrale/ cerimoniale, o perlomeno in occasioni particolari, visto la ricchezza decorativa di questo tripode e la sua particolare simbologia legata all'uva, alla fertilità e all'immortalità


Ed è stato quindi naturale, che la naturale trasposizione in arte manifatturiera, in ambito orafo e tessile, della vite nella sua simbologia, diventasse  la lavorazione " a pibiones", ad acini d' uva, sarda, così ricchi di significato  per la nostra terra


Ancora più simbolici, se li colleghiamo ad un altro aspetto, assolutamente non trascurabile

Il mosto concentrato dell'uva, qui viene chiamato sapa o saba

Il cognome Saba è molto diffuso qui in Sardegna, e la saba è molto usata nella preparazione dei dolci, soprattutto per il famoso "pan'e saba", il pane fatto con sapa, uvetta e noci, che è tradizione preparare per la festività di "tutti i Santi" e di "tutti i morti", insieme alle "pabassine" 

Un pane Alchemico che simboleggia la rigenerazione verso la vita, e un' onorare la vita dopo la morte


Ma "sapa/saba", è legato anche alla storia della  bellissima Regina di  Saba, di cui si narra nel primo libro dei Re, nella Bibbia e a cui si fa  riferimento anche nel Cantico dei Cantici

Parla del viaggio della Regina di Saba verso Gerusalemme , una regina etiope, per verificare la ricchezza e la saggezza  del Re Salomone

I due  si innamorano, e come scrive lo studioso e ricercatore Leonardo Melis, autore di molti libri sull' antica Civiltà Sarda, e sugli Shardana in particolare, nel suo libro "Shardana popoli del mare" , i discendenti di Menalik,  figlio  del Re Salomone e della regina di Saba, chiamati  "Falasha" , gli ebrei neri, sono gli stessi della tribù di Dan,  gli antenati degli Shardana, dei Sardi, che avrebbero quindi, anche sangue ebreo

Ma questo  è stato constatato anche da altri studi

Tant'è che in Etiopia, c'è un lago che si chiama Tana, toponimo che abbonda in Norvegia, usato soprattutto per i corsi d'acqua, dove abbonda anche la radice "dan /din/ don/ den", in tutto il nord Europa, in Irlanda, dove vi erano i Tuatha  de Danann

Questa è il filo conduttore della ricerca di Leonardo Melis


Ma io, aggiungerei anche, che a Cagliari abbiamo "Il ghetto degli ebrei", che era  un vero e proprio quartiere  abitato da ebrei, visto che  già nel 1309, gli ebrei potevano entrare e uscire liberamente dal castello, con le loro merci, anche senza  la licenza regia, fino a quando nel 1492, Ferdinando il Cattolico, re d'Aragona firma il famigerato " diritto  di espulsione" 

"L' esodo degli Shardana" , lo chiama Leonardo Melis, questi Falasha, questi ebrei neri emigrati, che trovano rifugio in Irlanda diventando Tuatha de Danann, i nostri antenati, discendenti da quella Regina di Saba nera Etiope, chiamata Makeda, che era considerata la "custode della Vigna" , della quale si parla anche nel Cantico dei Cantici, e che viene rappresentata sempre accanto a foglie di vite

Gli Antenati degli irlandesi erano sardi e l'Irlanda molte cose in comune con la Sardegna

La Regina di Saba viene rappresentata e descritta con la pelle nera, non tanto per un riferimento sessuale, o estetico, ma è un chiaro riferimento a pratiche alchemiche di trasformazione, la polvere nera, la pietra filosofale della trasformazione dei metalli 

La polvere nera come la terra d'Egitto "Kemet" , da cui deriva la parola araba "alchimia" 


“Sono nera e tuttavia desiderabile, o figlie di Sion, come le capanne di Kedar, come i tappeti di Salomone. Guardate come sono nera; è stato il sole a bruciarmi così. I figli di mia madre si adirano contro di me. Essi mi hanno posta a custode delle vigne; ma la mia vigna non l’ho protetta. Dimmi tu che ami la mia anima, dove porti gli animali al pascolo, dove riposi il mezzogiorno, cosicché io non debba vagabondare nelle greggi dei tuoi compagni.”

(Cantico dei cantici, I- 5,7)


Così si descrive la Regina di Saba nel Cantico dei Cantici 

Anche nel Corano vi è un riferimento alla Regina di Saba come adoratrice del sole, e pare che la casa etiopica reale ascesa nel 1270, possa essere identificata con il Vero Israele, nata dall'incontro amoroso tra la regina e il Re Salomone, il cui figlio Menelik divenne primo imperatore d'Etiopia, e avrebbe riportato la mitica Arca dell'Alleanza in patria, in Etiopia,  che sarebbe custodita nella cattedrale di Aksum

Quindi la dinastia etiope in cui siamo coinvolti anche nel sardi, trova le proprie origini in Salomone, antenato di Cristo e nella  Regina di Saba, nel secondo millennio avanti Cristo

Bellissima regina, che secondo la mitologia islamica nascondeva sotto le lunghe gonne un piede d'asino e gambe pelose

Piede asinino, che in  Francia divenne "zampa d'oca" 

Così viene rappresentata la Regina di Saba sui portali delle cattedrali gotiche francesi, insieme alle foglie di vite, perché era la regina dei Vigneti


Quindi  in virtù di tutti questi collegamenti con l'uva,  la regina dei Vigneti, la Regina di Saba, la saba/sapa  dei nostri dolci più tradizionali, il richiamo della granulazione che simboleggia l'immortalità, la trasformazione, la fecondità dell' uva e del vino, e la straordinaria somiglianza tra le parole sarde  "bingia" (vigna) e " pringia" ( che indica una donna incinta, in dolce attesa), considerando la Sardegna come patria internazionale del vino, prodotto ed esportato, , e considerando la discendenza dalla  Regina di Saba,  mi è molto difficile pensare che abbiamo aspettato  gli etruschi per rappresentare la lavorazione a "pibiones" 

Lavorazione a granulazione, che essi stessi non hanno portato avanti, oltre il loro periodo di esistenza

La lavorazione a "pibiones" è arrivata fino ai giorni nostri, ed è la caratteristica principale dei nostri manufatti orafi ( oltre che tessili), insieme alla lavorazione della filigrana 

Gli etruschi furono bravissimi nel praticare le più sofisticate tecniche di lavorazione dei metalli preziosi, ma solo perché molti orafi dell' Oriente, arrivarono nelle loro terre soprattutto nel VI secolo a. C.

Infatti dopo, la filigrana  e la granulazione scomparvero

Ma non  scomparvero certo in Sardegna.

Anzi, la tecnica viene raffinata e si mantiene  fino ai giorni nostri

E mi viene anche da credere che fosse una tecnica esportata dalla Sardegna piuttosto che importata dagli Etruschi, visto  che la simbologia  coincide perfettamente con la coltivazione   vitifera in Sardegna e con il collegamento della regina delle vigne, la Regina di Saba


Come sempre, tutto si incastra perfettamente, quando ci addentriamo nel "non detto", ma che viene narrato, esemplificato e rappresentato in modo così sublime ed eccelso, lasciando all' osservatore quello spazio di co-creazione, di complicità, di rivelazione, che ogni volta ci rende partecipi, di questa storia silenziosa e discreta, che ci scorre nelle vene, non esibita, tenuta in custodia come un Bene prezioso da preservare, da non ostentare, da decifrare, con rispetto e ammirazione

Con la stessa luce negli occhi ed emozione di chi ha creato queste meraviglie per chi, dopo di loro

Con infinita gratitudine, per tanta Bellezza, ebbra di meraviglia


Tiziana Fenu


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I motivi a pibiones nella cultura sarda


























































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