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Questo sito nasce ispirato dalla Sacra Divinità dell'Ape, che mi ha amorevolmente guidata alla scoperta di ciò che è la mia Essenza, manifestazione in E come un'ape, prendo il nettare da fiori diversi tra loro, producendo del "miele-Essenza" diversificato. Ma con un filo d'Oro conduttore l'Alchimia nel creare, nell'Athanor della ricerca intima, multidimensionale, animica. E in questa Alchimia, amare le parole nella loro intima Essenza. Soprattutto quella celata. Le parole creano. Sono vibrazioni. Creano dimensioni spaziotemporali proprietà, trasversali. Che uniscono dimensioni apparentemente distanti. Azzardate. Inusuali. Sempre dinamiche Sempre. operose. Come le api. A cui devo ogni mio battito d'Ali. COPYRIGHT ©®I contenuti presenti sul blog Maldalchimia.blogspot.com, quelli scritti ed elaborati dall'autrice, Tiziana Fenu, proprietaria del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti, in qualsiasi forma, se non, riportando nome, ©®Diritti intellettuali riservati e nome del blog,

mercoledì, maggio 22, 2024

💛Le feritoie del nuraghe Santu Antine

 I nostri nuraghi più importanti, come il Santu Antine e il Nuraghe Losa, sono dei luoghi Sacri, dei templi, in stretta connessione con le dinamiche celesti, come avevo già sottolineato nel mio scritto.

Fanno parte di una Geometria Sacra, che li contraddistingue come facenti parte di un'archittetura più vasta, cosmica, non solo terrena 

https://maldalchimia.blogspot.com/2020/11/i-custodi-della-memoria-del-trilobato.html?m=0


https://maldalchimia.blogspot.com/2022/07/sardia-di-sedilo.html?m=0


In questo caso, l'autore Massimo Rassu, spiega dettagliatamente, perché le feritoie, non potevano essere utilizzate a scopo difensivo

Nella tabella che ho riportato, dallo stesso libro dell'autore, riporta la numerazione in senso antiorario delle aperture a partire dall’ingresso della camera a nord, il vano in cui si aprono, il conteggio parziale per singolo vano, e, infine, l’orientamento rispetto al nord (azimut) dell’asse della finestrella guardando dall’interno del nuraghe. Le tre feritoie aperte nella nicchia del corridoio d’ingresso dall’esterno alla corte interna sono state conteggiate a parte. 


Come vedete dalla tabella, sono state catalogate 48 feritoie. 

Contando anche l'ingresso, abbiamo 49 punti di luce 

Un "7 moltiplicato 7"

Il 7 è un numero legato alla ciclicità lunare, perché le fasi lunari, si succedono ogni 7 giorni 

Quindi abbiamo la simbologia della sinergia, come sempre, dell'energia femminile lunare, che interagisce con quella solare, mascolina. 

Come se le feritoie, e lo stesso ingresso del Santu Antine, fossero delle spaccature vaginali, attraverso le quali, il sole feconda questo luogo sacro, che ha la simbologia della creazione, un triangolo equilatero perfetto, con angoli a 60°, mentre il corridoio interno è un perfetto 72°/72 °/36 °. 

Tutti parametri aurei, già identificati e trovati come costante, nell'ingresso triangolare dei nuraghi, riflesso anche di una precisa Geometria Cosmica Divina ( https://maldalchimia.blogspot.com/2020/12/l-ingresso-triangolare-dei-nuraghi.html?m=0) 

Inoltre, il numero 49, sommato, diventa un tredici 

Tredicesimo Sacro Archetipo Ebraico Mem

La Madre Cosmica ancestrale, il Grembo Cosmico, amniotico, mnemonico, dell'umanità. 

Come lo stesso trilobato che custodisce Gilgamesh, passato indenne attraverso il diluvio, che rappresenta la memoria dell'umanità. 

Una Memoria, che siamo tenuti, tutti, come Figli di questa Terra Sacra, a preservare, a custodire, come fecero i nostri Antichi Padri e Madri, e di cui, forse, non siamo più nemmeno meritevoli di questo immenso onore. 


Tiziana Fenu

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https://maldalchimia.blogspot.com/2023/08/orientamento-santu-antine-verso-pleiadi.html?m=0


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Un brano estrapolato dal libro di  Massimo Rassu "Il Santu Antine decodificato. Un computatore del cosmo?" Edizioni Nor


Le numerose feritoie 


Oltre che per i caratteri evoluti della struttura, il Santu Antine si distingue dagli altri nuraghi triangolari per la numerosa presenza nel paramento esterno di piccole aperture verticali, denominate nella terminologia archeologica feritoie oppure occhi di luce. 

Si tratta di strette finestre verticali, strombate verso l’interno, e variamente distanziate fra di loro. Sono aperture particolari, caratterizzate da notevole lunghezza e strettezza, tanto dell’imboccatura interna, quadrangolare, di circa 50-60 cm sia in altezza che in larghezza, quanto soprattutto all’uscita esterna sul paramento di facciata, dove presentano una dimensione di circa 10-20 cm di larghezza e 50-60 cm di altezza. 

Sono sparse un po’ dappertutto. 

Nel piano terra dell’edificio se ne vedono subito 3 in un vano laterale del corridoio d’ingresso dall’esterno alla corte interna; altre 6 nella parete sud del cortile. 

Girando all’interno del nuraghe, si trovano 8 “feritoie” nella galleria anulare del corpo centrale; 5 nella camera nord; 10 nella galleria occidentale tra le camere nord e sud ovest; 7 nella camera sud ovest; 5 nella camera sud est e 10 nella galleria orientale tra le camere sud est e nord. 

Salendo nel primo piano, altre 17 feritoie si individuano tra la galleria orientale e quella occidentale.

La Tabella 1 riporta la numerazione in senso antiorario delle aperture a partire dall’ingresso della camera a nord, il vano in cui si aprono, il conteggio parziale per singolo vano, e, infine, l’orientamento rispetto al nord (azimut) dell’asse della finestrella guardando dall’interno del nuraghe. 

Le tre feritoie aperte nella nicchia del corridoio d’ingresso dall’esterno alla corte interna sono state conteggiate a parte. 

Infine, caso unico per il Santu Antine e forse per tutto il panorama costruttivo dell’epoca, si nota che la feritoia n. 36 del corridoio orientale si biforca in due aperture separate, a raggiera, con angolazioni 65 e 108 gradi. 

Non si tratta, comunque, di elementi costruttivi peculiari del solo Santu Antine, in quanto le “feritoie” sono rintracciabili in molti nuraghi pluricellulari, soprattutto nei corpi di fabbrica secondari che, in genere, circondano il nucleo dell’edificio, oppure in quelli della seconda corte.

Riguardo alla loro funzione, sono state suggerite varie ipotesi: potevano essere delle vere e proprie “feritoie”, aperture adatte, come nei castelli medievali, alla manovra di archi per lanciare frecce, oppure avrebbero avuto lo scopo di illuminare e aerare gli ambienti interni: spiegazione forse plausibile per le camere o per i corridoi ricavati all’interno dell’immensa massa muraria, ma non hanno senso per il cortile interno, a meno che non fosse anch’esso voltato. 

In realtà, la funzione illuminante è talmente scarsa che tutti gli ambienti interni con copertura ancora integra sono parzialmente ravvivati dal sistema moderno di lampade elettriche, installate per permettere il passaggio dei visitatori. 

È stato suggerito che gli ambienti in cui erano aperte sarebbero serviti come forni fusori del metallo, oppure per la cottura delle ceramiche, per cui le aperture avrebbero alimentato la combustione. 

Secondo altri ancora, gli ambienti finestrati sarebbero stati dei magazzini per la conservazione delle derrate alimentari, e quelle aperture servivano solo per aerare i locali e mantenere un giusto microclima interno. Perché così tante feritoie? 

L’alto numero di finestre verticali (o “feritoie”) pone un numero notevole di enigmi irrisolti. Perché ce n’era un numero così insolito, quasi cinquanta? 

Perché erano distanziate in modo così irregolare? 

Esse generano molte perplessità soprattutto se guardate dal punto di vista dell’uso per una eventuale azione di difesa da attacchi esterni, che è la tesi accolta dagli addetti ai lavori, per i quali dalle “feritoie” i difensori avrebbero avvistato il nemico e gli arcieri l’avrebbero colpito bersagliandolo con le frecce. 


Tuttavia, queste finestrine sono inadatte a una finalità di difesa, proprio a causa della conformazione striminzita e dell’altrettanto scarsa ampiezza dell’apertura: 

– la larghezza ridotta dell’imboccatura interna (circa 50-60 cm sia in altezza che in larghezza) non permette (né permetteva all’epoca) l’inserimento delle armi da lancio nell’incavo (a differenza delle vere feritoie!); 

– l’altrettanto stretta uscita esterna (circa 10-20 cm di larghezza e 50-60 cm di altezza) concedeva un angolo di tiro ridottissimo, lasciando a un eventuale arciere la possibilità di colpire uno spazio esterno ampio solamente qualche decina di centimetri; 

– la conformazione estremamente rastremata della cavità, lunghezza sino a 4 metri e andamento perfino sbilenco, non permetteva il brandeggio di tali armi; 

– la stessa configurazione ostacolava una corretta visibilità impedendo al difensore di infilarvi la testa per cercare di vedere il bersaglio da colpire; 

– la ridotta altezza dal piano di calpestio, alcune decine di centimetri appena dal suolo, richiede una postura del corpo assai scomoda per maneggiare un’arma, ma anche semplicemente per osservare l’ambiente esterno. Il difensore avrebbe dovuto avere un’abilità eccezionale – in condizioni peraltro svantaggiose di postura, di brandeggio dell’arma – non solo per colpire un bersaglio mobile esterno all’edificio, ma persino per riuscire a far passare la freccia, il dardo, attraverso lo stretto orifizio lanciandolo da 4 metri di distanza. 


Molte aperture, anche se non tutte, lasciano inquadrare solo una porzione di cielo da una certa quota in su, ma non il terreno antistante, né quello in lontananza, come se i problemi venissero dall’alto. 

In altri casi, oltre alla volta celeste, allo sguardo è permesso anche di scorgere lo skyline, il contorto profilo del lontano panorama, ma non certo l’area prossima al nuraghe da dove sarebbe potuta arrivare una minaccia nemica. Vi è la situazione paradossale che l’esigenza difensiva attribuibile al Santu Antine a causa delle innumerevoli feritoie doveva venire a mancare nel gemello nuraghe Voes (Nule), vista la loro assenza in esso, tranne che nella parte terminale del corridoio orientale. 

Anche i rari ritrovamenti archeologici all’interno delle “feritoie” di alcuni nuraghi smentiscono l’utilizzo per fini difensivi, a favore di un uso in qualche modo legato al culto. 

Proprio all’interno di una feritoia del vano F3 del nuraghe Su Mulinu (Villanovafranca), venne rinvenuto un vaso cultuale, definito «una conca umbilicata con sette becchi e con all’interno un mestolo". 

E dentro le feritoie della torre F del nuraghe Seruci di Gonnesa vennero rinvenuti ossi di animale, femori o tibie, infissi verticalmente. Escludendone una funzione di immondezzaio dei resti di pasto, le feritoie assumono il ruolo di deposito di offerte sacrificali, una opzione legata a un uso sacro del sito. 

Nel nuraghe Arrubiu (Orroli), le numerose feritoie delle camere interne delle torri C, F e G guardavano i cortili X1 e X29, cui si accedeva da un ingresso separato. 

Le due corti interne, poste tranquillamente in sicurezza chiudendo l’ingresso principale, erano in diretta comunicazione visiva / acustica col resto dell’edificio, attraverso queste aperture, che non servivano per bersagliarle con dardi, in completo contrasto con una funzione difensiva. 

Queste semplici osservazioni possono sembrare soggettive, forse lo sono. 

Si può allora esaminare più a fondo il ruolo delle feritoie nel loro complesso, nel quadro più ampio dell’intero nuraghe Santu Antine, immaginato come fortezza.

Su una planimetria del nuraghe perfettamente calibrata rispetto agli assi geografici, sono stati individuati gli assi uscenti dalle singole aperture verso l’esterno, porte o finestre, e sono stati misurati gli angoli rispetto al nord. Salta subito all’occhio che le linee disegnate non potevano rappresentare né le vedute privilegiate di eventuali sentinelle di guardia alle mura, né le direzioni di tiro di armi di difesa (nel caso di archi e frecce), perché dirette a casaccio, concentrando il fuoco su posizioni insignificanti e lasciando completamente indifese proprio le parti più deboli della struttura, a iniziare dagli ingressi. In alcuni casi, sembrano interessate a due o a tre a una stessa posizione a pochi metri dalle facciate esterne, in altri ignorano completamente ampi spazi. 

Per non parlare delle aperture diramantesi dalle camere situate nei tre spigoli: gli sguardi si perdono a raggiera tutt’intorno, ma non si intersecano tra loro né con quelli delle altre feritoie. 

Infatti, le linee in uscita da tutte le aperture racchiudono un certo numero – alquanto alto se fosse stata una fortificazione – di “angoli morti”, ossia di superfici esterne in cui il nemico poteva muoversi di fronte e in direzione dell’edificio senza essere avvistato. Perché non potevano essere adibite a postazioni militari? 

Se queste aperture fossero state usate come artifici militari per la difesa dell’intero edificio, allora gli eventuali nemici, senza essere visti, avrebbero potuto:

– avvicinarsi, persino da più direzioni, a ridosso di porte e mura esterne; 

– scalare le mura e penetrare all’interno dagli spalti; 

– sfondare i portoni d’ingresso ed entrare dai due accessi, ancor più da quello posteriore. Sembrerebbe incredibile, ma nonostante l’alto numero di possibili punti di osservazione e di lancio, quasi uno per ogni metro di estensione del paramento esterno (48 feritoie più due porte, su un perimetro di 126 metri) – una concentrazione superiore a quella riscontrabile nelle costruzioni medievali –, l’edificio non poteva essere difeso adeguatamente. 

Non si lascia così sguarnito un caposaldo militare! 

Strana come fortezza. 

Veramente strana. 

I suoi difensori non avrebbero potuto sorvegliare né tanto meno bersagliare interi settori delle campagne intorno – lasciando scoperto persino parte del perimetro esterno – da cui poteva arrivare la minaccia armata. 

L’alto numero di aperture alla base dell’edificio poteva paradossalmente costituire un punto di debolezza. 

Infatti, preventivamente, gli attaccanti potevano soffocare e stordire gli eventuali difensori accendendo dei fuochi all’esterno del nuraghe, ponendosi oltre la gittata di archi e frecce (pari a circa 65-70 metri), e affumicare, col favore dei venti dominanti, gli interni con le esalazioni penetranti dalle innumerevoli feritoie. 

A queste banali osservazioni, occorre aggiungere altre considerazioni riguardanti l’edificio nel suo complesso. 

È situato in una situazione infossata (a m. 361 s.l.m.), in quanto sorge su una piana circondata da quasi tutte le parti da colline più alte da cui si potevano facilmente controllare le strade di accesso, riducendone, e notevolmente, il suo valore strategico militare. A rigor di logica, andava costruito su una collina dominante la vallata come fece Nicolò Doria nel 1331-32 che edificò il Castello di Giave nel Planu Roccaforte (m. 635 slm), presso la chiesa di San Cosimo di Giave, ad appena 4 km più a sud. 

Nella torre nord si evidenziano due elementi che contrastano con la possibilità di uso come struttura fortificata: 

– un punto di debolezza militare, rappresentato dal secondo ingresso, peraltro privo dei particolari accorgimenti difensivi attribuiti agli altri portoni, come la nicchia interna di corridoio a cui assegnare la funzione di “garitta” di guardia; 

– un pozzo al centro della camera, che si rivela essere un ingombro e un ostacolo alla manovra di attrezzature (per esempio, armi) e al passaggio veloce di truppe.

Tutte queste carenze fanno capire che se l’intento di chi aveva progettato il Santu Antine fosse stato di adibirlo a fortificazione, probabilmente di tecniche castellane e di sistemi d’assedio ne capiva molto poco. 

Se gli utilizzatori si fossero illusi di considerarsi al sicuro da eventuali nemici asserragliandosi nel Santu Antine, si sarebbero trovati da subito in trappola, per essere catturati nel giro di poche ore. 

Rinchiudersi in questo edificio portava inesorabilmente a una sorta di suicidio collettivo. 

Tutto sommato, il presunto castello megalitico di Santu Antine si è dimostrato un costrutto puramente moderno, le cui basi difensive e strategiche sono scarse"



Tiziana Fenu 

Maldalchimia.blogspot.com 

Immagine del Santu Antine di Fabrizio Bibi Pinna 








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