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martedì, novembre 15, 2022

💛Brano di Augusto Mulas "L'isola Sacra"

 E se ne parla ancora in questi termini!! 


Nel corso del XX secolo gli studi meritori per importanza, vastità e lungimiranza dell’archeologo Giovanni Lilliu, uniti allo scavo sistematico e scientifico della cosiddetta reggia nuragica di Barumini, hanno definitivamente indirizzato gli studi e le tendenze di quasi tutti gli specialisti verso una visione del nuraghe come casa fortezza del princeps. 

Da quel momento in poi la stragrande maggioranza di studiosi ed esperti non ha fatto altro che avvallare pedissequamente le teorie proposte dal Lilliu: in taluni casi compiendo ricerche archeologiche sul campo in maniera acritica e fondando le proprie conclusioni sulle teorie sviluppate dallo stesso Lilliu e da altri ricercatori, ma mai ponendosi realmente il problema se tutti questi edifici potessero avere solo e soltanto carattere militare e/o civile. 

Tale problematica invece venne sollevata da uno dei più autorevoli linguisti sardi, Massimo Pittau, il quale nel suo fortunato libro La Sardegna nuragica, pubblicato nel lontano 1977 e riedito recentemente (2006), pur non avvalendosi degli strumenti dell’archeologo, ma con l’ausilio della sua disciplina, del ragionamento, e soprattutto dei resoconti di scavo di importanti archeologi degli inizi del XX secolo, avanzò nuove e brillanti ipotesi sull’uso delle nicchie, sul sincretismo religioso tra i nuraghi e i toponimi moderni a essi riferiti, frequentemente ribattezzati con il nome di un santo, o ancora l’evidente uso cultuale di alcune favisse come già sottolineato dal Levi o dallo stesso Taramelli, ma troppo presto dimenticati e sottovalutati dagli studiosi successivi. Se la visione che ci ha fornito il Lilliu della civiltà nuragica può essere giustificata dal fatto che le sue teorie nascono in un periodo in cui ancora erano stati effettuati pochi scavi scientifici sui nuraghi, nei santuari e nei villaggi e quindi i dati disponibili per poter avere un quadro d’insieme della situazione erano scarsi, meno giustificabili appaiono le conclusioni cui sono giunti gli studiosi successivi. E non mi riferisco solo agli archeologi, che tranne in pochi illuminati casi hanno cercato di affrancarsi dalle posizioni del Lilliu, divenute nel frattempo sbrigative e di comodo per quanti non volevano o non riuscivano a orientare la loro ricerca verso altri dati emersi dagli scavi archeologici, sforzandosi di comprendere i segreti di queste costruzioni ciclopiche, non per forza correlate, a mio modo di vedere, a un uso militare. 

Per fare solo un esempio di quanto questa impostazione del nuraghe-fortezza abbia inciso nella letteratura archeologica sarda, si rifletta sul fatto che ancora oggi in numerose guide turistiche dei siti nuragici, e peggio ancora in alcuni studi di valenti specialisti, si continua a definire la nicchia d’andito del corridoio d’ingresso del nuraghe come una “garitta”, lasciando intendere, se non affermando, che lì vi fosse un soldato di guardia.

Qualsiasi antropologo o etnologo potrebbe facilmente spiegarci che in una società come quella nuragica, sviluppatasi durante la protostoria, se non addirittura nella fase finale della preistoria, e considerando anche il livello culturale del Mediterraneo occidentale in cui si colloca l’isola dei nuraghi, sarebbe stato impossibile sprecare degli individui al solo scopo di fare la guardia a un ingresso, quando le risorse umane dovevano essere impiegate in ben altre occupazioni quali la caccia, l’agricoltura, l’edilizia, la guerra; i popoli della protostoria non appartenevano a società del superfluo, ma tutte le energie messe in campo erano indirizzate al sostentamento delle stesse. 

Possiamo allora ipotizzare che nel momento di massimo fulgore della civiltà nuragica migliaia di individui, 4.000-5.000 (presumibilmente non tutti i nuraghi esistettero contemporaneamente), fossero lasciati inoperosi all’interno di una garitta? E per vigilare su chi o su cosa? Al contrario è a dir poco sorprendente il fervore costruttivo di questo popolo che, in poco più di otto o nove secoli stando alle date forniteci dagli specialisti, ha edificato 8.000 nuraghi, 750 Tombe di Giganti, centinaia di villaggi, quasi 140 allo stato attuale delle ricerche tra fonti e pozzi sacri2, decine di villaggi-santuario, senza contare armi, suppellettili, carri, navi, ecc., sicuramente l’esito di uno sforzo comune e prolungato nel tempo di questa comunità, e forse non solo di essa, almeno nello sforzo costruttivo dei nuraghi, che non poteva certo permettersi di sprecare forza lavoro in attività di guardia.


Tratto da  AUGUSTO MULAS  "L’ISOLA SACRA Ipotesi sull’utilizzo cultuale dei nuraghi"  Edizioni Condaghes

Maldalchimia.blogspot.com

Nell'immagine, il nuraghe di Santu Antine a Torralba, in provincia di Sassari

Brano di Augusto Mulas "L'isola Sacra"



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