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mercoledì, settembre 23, 2020

💛Kenabura prof Dedola

 KENÁBURA ‘venerdì’.


Vale la pena fare la storia del termine sardo kenábura, čenábura, čenàbara.

La Sardegna è l’unica regione (tra quelle ritenute - a torto -  “romanze”) dove il ‘venerdì’ è chiamato kenábura, sardo antico kenápura. Premetto già da ora che il termine è una corruzione creata scientemente dal clero bizantino insediato nell’isola.


   M.L. Wagner  nel tentativo di fornirne l’etimologia imbocca la via greco-latina, e ricorda che già sant’Agostino afferma la presenza della locuzione cena pura nella Bibbia precedente la Vulgata (locuzione sparita poi, stranamente, proprio dalla Vulgata!). Wagner non spiega perché la locuzione latina fosse già presente nella Bibbia (ebraica o greca?) prima ancora della sua traduzione in latino; dice soltanto – senza dimostrarlo – che corrispondeva al greco δεῖπνον καθαρόν ‘cena pura’.

«Cena pura era un termine del rituale pagano (sic), come ci è attestato da Festo, ed è probabile che designasse un pranzo in cui i partecipanti dovessero astenersi da certi cibi; gli Ebrei lo adottarono per designare la vigilia di Pasqua, durante la quale ogni traccia di lievito doveva essere rimossa dalle case».


La denominazione cena pura indicava, insomma, per Wagner, la vigilia della Pasqua ebraica (Pesah), ed oltre a ritenerla una locuzione del rituale …pagano egli sostiene che sia stata usata dagli Ebrei nord-africani.

Egli procede, a ulteriore confusione del discorso, affermando che παρασκευή (parascève) corrisponde a cena pura (sic!), usato in neo-greco per indicare il ‘venerdì’ [mentre noi sappiamo per certo che in origine παρασκευή significava semplicemente ‘preparazione’, esattamente ‘preparazione al sabato, shabbat; e solo in seguito, grazie al poderoso influsso della cultura ebraica nell’Impero d’oriente, giunse a significare tout court ‘venerdì’].


   Wagner non s’accorge nemmeno che la denominazione sarda del ‘pane azzimo’, chiamato pùrile, non deriva, com’egli crede, dal lat. pūrus ‘puro’, quindi non ha nulla a che vedere con cena pura, e tantomeno con kenábura.


   A Wagner sfugge, insomma, che il sardo kenábura, kenápura non deriva dal latino cena pura ma da un composto sardo-ebraico, kena-pura, classico stato costrutto di forma cananea indicante la ‘cena di Purim’ (osserviamo che gli Ebrei, ancora oggi, indicano il complemento di specificazione con la semplice giustapposizione della parola).


   La cena di Purim è la grande cena del popolo ebraico tra il 14 e il 15 del mese di Adar (febbraio-marzo): sono giorni di gioia sfrenata per il mancato sterminio ordito e comandato dal perfido ministro susiano Amàn.

La festa è preceduta da un giorno di digiuno pubblico (Ta’anith Esther), fatto il 13 di Adar in ricordo dell’eccidio operato dagli Ebrei su 75.000 cittadini dell’Impero persiano (loro nemici dichiarati) da loro messo in atto su licenza del re Assuero.

In pratica questi morti ammazzati erano il partito anti-ebraico, governato dal ministro Amàn in barba alla buona fede del re Assuero, il quale della trama che tendeva a detronizzarlo s’accorse all’ultimo istante, grazie all’allarme dato da due ebrei, sua moglie Esther aiutata dallo zio Mardocheo.


   Pur in ebraico indica la ‘sorte’, il getto della ‘sorte’, che fu fatto da Amàn per decidere la data esatta dello sterminio del popolo ebraico, che cadde al 13 dell’ultimo mese dell’anno, quello di Adar.

La ricorrenza annuale di Purim cade per puro caso alla vigila della Pesah, che sta all’inizio del primo mese dell’anno nuovo babilonese; in tal guisa si è confusa Purim con la purificazione dai lieviti attuata prima della Pasqua.

Il fatto di celebrare il Pur (plur. Purim) già purificati dal digiuno del 13 di Adar (e principalmente purificati idealmente dal digiuno di tre giorni fatto da Esther prima di recarsi da Assuero per sventare la trama di Amàn) ha fatto ritenere ai latinisti che cena pura fosse semplice traduzione dal greco δεῖπνον καθαρόν.


La confusione, anzi la vera e propria paretimologia, avvenne già coi primi traduttori del Libro di Esther, poiché già nei Settanta al Libro di Esther (10, 31) c’era un’appendice che rendeva noto in maniera imperitura che la comunità ebraica d’Egitto aveva ricevuto il Libro di Esther dalla Comunità di Palestina.


In tale appendice è scritto che nell’anno quarto di Tolomeo e Cleopatra il sacerdote e levita Dositeo portò in Egitto la lettera di Mardocheo (zio di Esther) che indiceva i Purim per i tempi a venire, affermando che si trattava della lettera autentica tradotta da Lisimaco, figlio di Tolomeo, uno dei residenti in Gerusalemme.

La celebre lettera di Mardocheo fu diffusa in Egitto nel periodo in cui era già cominciata la supervisione romana sul Mare Nostrum (siamo al 114 a.e.v.), e la lingua latina, che oramai entrava in concorrenza col greco e con l’aramaico, può aver favorito la paretimologia dall’ebraico pur al latino pūr-us.


   È nell’Alto medioevo che in Sardegna è avvenuta la commistione del sardo Kena de Purim ‘cena di Purim’ – anzi Kená-pura, classico stato costrutto aramaico indicante la ‘cena di Purim’ – col lat. cena pura che cominciava ad indicare per antonomasia il ‘venerdì’ (per il quale la Chiesa cristiana aveva stabilito un ferreo digiuno in memoria del giorno della crocefissione di Cristo).


La commistione non avvenne per iniziativa del popolo analfabeta. Fu certamente ordita e gradatamente imposta dal clero bizantino, impegnato a scalzare ed eliminare in modo surrettizio gli antichi culti e principalmente i culti degli Ebrei che abitavano in Sardegna.


Prof. Salvatore Dedola, glottologo e linguista


(in foto, "coccoeddus" sardi, tipico pane dell'isola, fatto con pura semola rimacinata di grano duro, lievito e acqua)


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Kenabura di prof. Dedola


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