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https://maldalchimia.blogspot.com/2021/08/festa-di-lughnasadh.html?m=0
Festa di Lughnasadh
Festa di Lughnasadh, del raccolto, del grano, del nostro Logudoro/Lugh d'oro.
Tra domani, 31 luglio, e lunedi 1 agosto, si celebra la festa pagana, di Lughnasadh(il cui nome significa proprio agosto), o Lammas, la festa del raccolto, del grano, festeggiato in tutte le culture, compresa la nostra, per la quale avevo scritto un articolo in proposito, poiché Lugh, il dio solare al quale è dedicata la festa ha la stessa radice del nostro Logudoro, il Lugh d'oro.
Scrivevo, nel post di cui vi lascio il link
( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/01/il-lugh-d-oro-di-orotelli.html)
"Lugh era un Dio Solare, che rappresentava anche lo spirito del grano, che non muore mai, perché il grano tagliato, rinasce come farina o pane, festeggiato ufficialmente per il Lughnasad, la festa dell'estate del primo agosto, che diventata poi la festa di Lammas.
E il pane, è il simbolo dei 4 elementi della Natura, si impasta con il grano, ridotto a farina(terra), con l'acqua, lievita grazie all'azione dell'aria, quando si alveola, e si cuoce con il fuoco.
Lugh si affaccia, sulla scena delle divinità, evidentemente quando il culto di Madre Terra, femminea e feconda, lascia spazio alle divinità maschili, che si sovrappongono al matriarcato monoteistic
Lugh, il "luminoso", dio della fertilità, del Sole e della Luce, era il re dei Tuatha de Danann, abile in molte tecniche, che gli valsero il nome di Salmidanach, il "multiforme artigiano".
Lo si rappresento' come un "Mercurio Lugh" , proprio per le sue abili qualità alchemiche e trasformative in ogni forma di artigianato.
Aveva con sé dei corvi profetici, chiamati Lug, ed era associato al cinghiale, associato ai druidi, i sacerdoti e sacerdotesse dei tempi antichi.
Lug mi fa pensare a Logudoro
Luogo d'oro
Lug doro
Luce d'Oro
Ma anche luogo, Logu, del Mercuriale Lugh, che poteva trasformare ogni cosa in Oro.
La magica Tartesso. La mitica terra dei Metalli, sempre più spesso identificata con la Sardegna."
E come sempre, tutto riporta sempre alla nostra terra, alla nostra Sardegna, dove la sacralità del pane è stata immortalata anche nei bronzetti, come vedete nelle immagini.
Il nostro Logudoro/Lugh d'Oro, doveva essere, anticamente, una distesa enorme tutta dorata, tutta coltivata a grano dorato, e non solo in riferimento a questo.
Un Luogo d'Oro, ai tempi dell'età dell'Oro, guidato da Uomini di Sapienza e Sapere.
E il pane, doveva trattarsi di una" semplice pita", con acqua e farina, come quella nominata nel brano che ho riportato sotto.
Maestria nel pane, che è diventato sempre più elaborato, come in nessuna parte nel mondo, per il quale si eccelle, in vere e proprie opere d'arte, che fanno parte, ancora parte, del nostro quotidiano, in una grande varietà.
Tiziana Fenu©®
Maldalchimia.blogspot.com
Di seguito, riporto un brano tratto da" Il grano e la Dea", di Maria Ivana Tanga, pertinente proprio a questa festività del raccolto, del grano.
"Una civiltà, quella del grano, che segnerà il paesaggio mediterraneo in maniera indelebile, modificandone la storia e la geografia.
In sostanza, il grano indurrà l’uomo primitivo ad organizzare le prime forme di società civile. La spiga di grano diverrà, ben presto, il simbolo dell’ ordine civile ed alimentare dischiuso con l’ agricoltura. L’ immagine di una donna che macina il grano all’ ombra delle pareti domestiche diverrà il simbolo stesso del progresso, di una vita affrancata dalla fame, nell’ ambito rassicurante dell’ οικός, del nucleo familiare.
L’ uso estensivo dei cereali macinati a fini alimentari segnerà una tappa fondamentale nella storia del ‘mare nostro’, agendo da marcatore culturale e principio di identificazione delle genti mediterranee. ‘Civiltà del grano macinato’ definirà Esiodo la civiltà sorta sulle sponde del Mediterraneo.
L’ottanta per cento del vitto dei popoli mediterranei, sarà costituito, essenzialmente, da farine e granaglie. Dalle zuppe di grano elleniche alle puls’ romane, dalle ‘migas’ spagnole alla ‘fregola’ sarda: l’alimentazione mediterranea sembra dipanarsi lungo i mille rivoli tracciati, nel corso dei secoli, dalla ‘civiltà del grano’.
Sotto il segno del grano, abbiamo cercato di disegnare una sorta di ‘geografia alimentare’ del bacino mediterraneo che, pur nel rispetto delle diversità locali, si pone come obiettivo ultimo la riaffermazione di una comune radice cultural-gastronomica. Tantissime sono le preparazioni a base di grano che, dal Bosforo a Gibilterra, differiscono tra loro solo nel nome o per qualche ingrediente secondario. Pensiamo, ad esempio, al cous cous.
Dal Marocco alla Sardegna, dalla Tunisia alla Sicilia: mille modi diversi di interpretare un unico alimento, in cui i sapori e i profumi del Mediterraneo sembrano esaltarsi a vicenda. Un cibo che, travalicando i confini delle singole appartenenze, può essere preso a vessillo di quella ‘multiculturalità’ alimentare che si è venuta a realizzare sulle sponde del ‘mare nostro’, frutto di contatti e di mescolanze tra genti e culture diverse.
Del resto, ‘il cibo, più della parola, si presta a mediare tra culture diverse1’ ci ricorda Massimo Montanari. Unica al mondo, la cucina mediterranea, risultante dall’incontro di tradizioni gastronomiche diverse, presenta caratteri di fondo unitari. Un altro cibo che unisce i popoli mediterranei sotto le insegne della ‘civiltà del grano’ è, sicuramente, la ‘pita".
Semplice, arcaica focaccia di acqua e farina, ci è sembrata celebrare al meglio, nelle sue mille declinazioni (berbera, araba, turca, musulmana, balcanica, napoletana), quell’ ‘unità plurale’ mediterranea di cui parlano studiosi del calibro di Henri Pirenne, Fernand Braudel o Franco Cassano2. ‘Unitè plurielle’, ‘unità plurale’ risultata dal contatto tra culture e tradizioni diverse, talvolta diversissime, unite da una comune radice, quella fulgida ‘civiltà mediterranea’ matrice di un modello di società aperta al dialogo, naturalmente predisposta all’ incontro tra popoli.
Dal grano al pane: tremila anni prima di Cristo, la ‘civiltà mediterranea’ metterà a segno la sua conquista più importante. Il Mediterraneo e il suo pane: una storia avvincente che celebra, definitivamente, la vittoria dell’ uomo sulla natura selvaggia.
E’ il ‘pane della civiltà’ contro la barbarie, contro il kaos primigènio, contro l’ indistinto primordiale. Il pane, quale ‘cifra’ di civiltà, assurgerà a sacra ‘icona’ di una mentalità, di una cultura radicata nella terra. Quella feconda, solare ‘cultura mediterranea’ che riterrà sacri il pane, il vino e l’olio. I primi pani saranno impastati proprio sulle sponde del Mediterraneo.
Più di ogni altro alimento, può essere ritenuto il cibo-simbolo dell’ identità mediterranea, elemento di coesione delle popolazioni affacciate sulle ‘sacre sponde’. Nel pane si vengono a stratificare saperi e sapori, valori, usanze, credenze che affondano le radici nel cuore profondo della ‘cultura mediterranea’. Pensiamo a quel ‘pane-sole’ degli egiziani antichi o a quel pane forgiato a forma di falce lunare che il popolo greco offriva alle dèe della Natura, meravigliosi ‘refrain’ di una cultura ancestrale, una cultura impastata nella terra, baciata dal sole, bagnata dal mare, dal caldo mare mediterraneo.
Veri e propri trofei di acqua e farina, cesellati dal mito, plasmati dal fluire del tempo, dai marosi della storia, impastati di sogni e di bisogni, di fatica e di sudore. I pani del Mediterraneo: compendio del concetto stesso di mediterraneità. Essenza mediterranea allo stato puro. Proprio come quel profumo di pane che si sprigiona, caldo, avvolgente, quasi sensuale, dai forni del Mediterraneo, puntuale, ogni mattina. Un ricordo indelebile, frammento, ‘refrain’ dell’ antica memoria mediterranea. Tra odori e sapori. Tra visioni antiche e suggestioni nuove. Tra mito e rito, il pane mediterraneo, da millenni, racconta la storia di un mondo chiuso nel caldo abbraccio di una civiltà feconda, fecondissima.
Una civiltà che chiama ‘madre’ la terra.
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Festa di Lughnasadh
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