"Perché io sono qui, dentro il suo ricordo, posso andare avanti se lui non è stato qui prima di me?
Non lo so, ma c’è qualcosa che non torna.
Sono già all’interno del labirinto, che è costituito da un grande tendone semibuio. Quello che vedo è talmente diverso dal mio libro preferito degli antichi miti greci con illustrazioni in bianco e nero, dove avevo visto per la prima volta il mostruoso Minotauro. Questo Minotauro non è spaventoso, ma triste.
Un Minotauro malinconico.
Al centro del tendone c’è una gabbia di ferro lunga cinque, sei passi e alta poco più di una persona. Le sottili sbarre di metallo hanno cominciato ad abbrunirsi per la ruggine. Dentro c’è da una parte un materassino e un piccolo treppiede e nell’altra un secchio d’acqua e della paglia in terra .
Un angolo per l’uomo e un altro per la bestia.
Il Minotauro è seduto sullo sgabello, con le spalle rivolte verso il pubblico.
Lo shock non proviene dal fatto che somiglia a una bestia, ma dal fatto che in qualche modo è un uomo.
È proprio l’aspetto umano che ti impietrisce. Il suo corpo è quello di un bambino, come il mio.
Una prima peluria giovanile sulle gambe, i piedi con dita lunghe, chissà perché mi aspettavo di vedere degli zoccoli. Pantaloncini corti sbiaditi, che gli arrivano alle ginocchia, camicia a maniche corte e… la testa di un giovane toro. Un po’ sproporzionata rispetto al corpo, grande, pelosa e pesante.
Come se la natura fosse rimasta in dubbio.
Ha eliminato tutto quello che sta tra uomo e toro, si è spaventata oppure si è distratta. Quella testa non è né solo di toro, né solo di uomo. Come poterla descrivere se anche la lingua rimane in dubbio e diventa bifida.
Il volto (o il grugno?) è allungato, la fronte leggermente arretrata, ma pur sempre massiccia, con le ossa che sporgono sopra gli occhi. (Di fatto è simile a questa la fronte di tutti i maschi della nostra famiglia. A questo punto mi passo involontariamente la mano sul cranio.)
La mascella inferiore è molto pronunciata, carnosa, le labbra assai più grosse. Nella mascella si nasconde sempre l’elemento più animalesco, quello che l’accompagna più a lungo.
Gli occhi, a causa del viso (o del grugno) allungato e schiacciato, si sono allontanati.
Su tutta la superficie del viso c’è una peluria marroncina, non barba, ma una sorta di peluria. Solo verso le orecchie e il collo questa peluria si fa più ispida e i peli crescono in modo selvaggio e disordinato. E malgrado tutto è piuttosto una creatura umana che non un essere del tutto diverso
Alita in lui una tristezza che nessun animale può possedere.
Quando il tendone si riempie, l’uomo fa alzare in piedi il bambino Minotauro. Questi si alza dallo sgabello e guarda per la prima volta la folla raccolta sotto il tendone. Ci passa in rassegna con lo sguardo, scuotendo la testa a causa della disposizione laterale degli occhi. Mi sembra che abbia soffermato più a lungo lo sguardo su di me.
Del resto non siamo coetanei?
L’uomo che ci ha fatto entrare nel tendone (il suo padrone o il suo istruttore), comincia il suo racconto. Una sorta di miscuglio tra leggenda e biografia, costruita nel corso delle innumerevoli occasioni nelle diverse fiere.
Una storia, nella quale i tempi si inseguono e si confondono.
Alcuni avvenimenti si svolgono nel presente, altri in un passato remoto e dimenticato. Anche i luoghi si rimescolano, regge, scantinati, re cretesi e pastori del posto edificano il labirinto di questa storia del bambino Minotauro fino al punto che tu ti smarrisci in essa. Si rigira e contorce come un labirinto e, purtroppo, non riuscirò mai a ripercorrere i suoi passi.
Una storia con corridoi ciechi, fili che si spezzano, luoghi sordi e scuri e evidenti incongruenze.
Quanto più sembra inverosimile, tanto più sei portato a crederci.
Una linea pallida e retta, come unicamente posso ora esporla, senza la magia di quel racconto, consiste più o meno in quanto segue.
Helios, il nonno materno del bambino era il responsabile del sole e delle stelle, la sera chiudeva a chiave il sole e portava in cielo le stelle, come si porta un gregge al pascolo. La mattina faceva rientrare il gregge e faceva uscir fuori il sole a pascolare.
La figlia del vecchio, Pasifae, la mamma di questo ragazzo, era dolce e bella, andò in sposa a un grande re, da qualche parte, laggiù, nelle isole.
Questo accadde tanto tempo fa, ancora prima delle guerre. Era un regno fiorente, il Signore in persona (quello di laggiù) beveva la grappa col re nelle isole, si stimavano reciprocamente, gli aveva perfino regalato un possente toro, dal manto bianco, una vera meraviglia. Passarono gli anni e un giorno il Signore richiese il toro in sacrificio.
Il re Minjo (Minosse, Minosse… suggerì qualcuno) ne fu addolorato e decise di ingannare il Signore e sgozzò un altro toro, ugualmente forte e ben pasciuto. Ma come si fa ad ingannare il Signore? Se ne accorse, si adirò, si mise a sbuffare e si disse, campa cavallo che l’erba cresce, adesso capirai con chi hai a che fare.
Fece sì che la dolce e bella moglie di Minjo, Pasifae, caddesse in peccato con quello stesso fichissimo toro. (Tra la folla si udirono voci di disapprovazione.) Di qui nacque un neonato, nel corpo uomo e nel viso toro, con una testa di toro. Sua madre lo allattava e lo accudiva ma il beffato re Minjo non poté sopportare una tale vergogna.
Il cuore gli impediva di uccidere il neonato minotaurino e ordinò che lo rinchiudessero negli scantinati della reggia. E quegli scantinati erano un vero e proprio labirinto, lo aveva ideato un grande architetto, sicché, se ci entravi, non riuscivi più a uscirne.
L’architetto doveva essere delle nostre parti, perché i nostri sono i migliori e i Greci sono dei gran pigroni. (Un mormorio di approvazione attraversò il tendone.)
Quell’architetto non ne ricavò grandi vantaggi, ma questo è tutt’altra storia. Gettarono là sotto il piccolo, a tre anni, strappato alla madre e al padre. Immaginate che sofferenza provasse quella piccola anima angelica in quella buia prigione. (A questo punto i presenti presero a piagnucolare benché loro stessi si comportassero proprio così con i loro mocciosi, certo non per sempre, ma solo per un paio d’ore, quando li rinchiudevano dietro le spesse mura delle cantine.)
Lo rinchiusero al buio, continuò il narratore, il piccolo piangeva giorno e notte e chiamava la mamma. Alla fine Pasifae riuscì a ottenere da quell’architetto, che aveva costruito il labirinto, di far uscire di nascosto il bambino e di sostituirlo con un vero giovane torello. Ma questo non sta scritto nei libri, si fa sentire il saputello in mezzo ai presenti. Questo, sottolinea il narratore, rimanga solo tra di noi, che non venga a sapere dell’inganno il re cretese Minjo, lui del fatto non ne ha la più pallida idea.
E così liberarono in segreto il bambino e sempre in segreto lo misero su una nave diretta ad Atene (quella stessa che andava a prendere le sette ragazze e i sette ragazzi destinati al Minotauro).
Il piccolo minotauro scende ad Atene e lì lo trova un vecchio pescatore, lo nasconde nella sua capanna, lo assiste per un paio di anni e lo affida poi a un pastore, che d’inverno scendeva a sud fino alle sponde dell’Egeo a pascolare i suoi bufali.
Tienilo con te, disse, non può cavarsela a stare tra la gente, i bufali invece potrebbero prenderlo per uno di loro. Ecco allora, proprio quel pastore me lo ha offerto alcuni anni orsono. Non lo vogliono neanche i bufali, non lo riconoscono come uno di loro, si spaventano davanti a lui, la mia mandria si è dispersa e non posso più portarlo con me.
Da allora frequentiamo tutte le fiere con questo povero orfanello, abbandonato dal padre e dalla madre, non è né uomo tra gli uomini, né toro tra i tori.
Mentre viene narrato tutto ciò il Minotauro ha abbassato la testa, come se la storia non lo riguardasse, solo di tanto in tanto tanto emette un tenue suono gutturale, lo stesso che cercavo di articolare io con la bocca tappata. Adesso fa vedere come bevi l’acqua, ordina il padrone e il Minotauro, visibilmente contrariato, si mette in ginocchio, immerge il viso nel secchio e beve rumorosamente a grandi sorsi.
Ora saluta questa brava gente.
Il Minotauro tace e guarda in basso. Saluta la gente, ripete ancora l’uomo. Ora vedo che in una mano tiene un bastone con una punta acuminata.
Il Minotauro apre la bocca e ruggisce un profondo, rauco e ostile Muuuuu …
Così si conclude la seduta.
Mi volto, prima di uscire (per ultimo) dal tendone, e per un attimo i nostri sguardi si incrociano nuovamente.
Non potrò mai liberarmi dalla sensazione di aver conosciuto da qualche parte quel volto.
Georgi Gospodinov "Fisica della malinconia" a cura di Giuseppe Dell’Agata Edizione italiana Voland
Maldalchimia.blogspot.com
"Minotauro" kylix 515 aC. Museo Archeologico Nazionale spagnolo
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