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mercoledì, settembre 25, 2024

💛Anghelu Ruju

 Oltre alle rappresentazioni della dea Madre e del dio Toro, in numerose tombe sono state rinvenute illustrazioni geometriche, ma anche di tetti o di altri elementi architettonici, come se questi luoghi richiamassero le abitazioni in uso alle popolazioni del tempo, talvolta ricalcando il più fedelmente possibile le capanne circolari e rettangolari, tramite la riproduzione delle coperture di legno, delle travi a raggiera, delle colonne interne, e di altri elementi di arredo. Esse quindi, in quanto luogo deputato alla prosecuzione dell’esistenza dopo la morte, creavano un ideale continuum con le abitazioni dei vivi. Si pensa infatti che la cerimonia funebre prevedesse il trasferimento del defunto da una “casa”, quella terrena, all’altra, quella ultraterrena riservata all’anima per l’eternità. La salma, molto probabilmente, veniva tinta con l’ocra rossa, così come le pareti interne del sepolcro, e con le spoglie erano riposti gli oggetti che avevano accompagnato il defunto quando era in vita. In molte tombe, infatti, sono stati ritrovati monili, come frecce di ossidiana e coltelli, ma anche manufatti come collanine, braccialetti e anelli. Oltre agli oggetti, veniva forse lasciato anche del cibo, da consumare nel corso del lungo viaggio verso la terra dei morti.

Secondo un’altra ipotesi, il rito non avveniva in questi termini, e la Domus funzionava soltanto come ossario.

Ovvero, il defunto veniva lasciato all’aperto, sotto il sole, per essere scarnificato dai rapaci e da altri animali, e solo una volta reso scheletro era riposto all’interno della tomba. Non è da escludere, inoltre, che alcune stanze fossero utilizzate come santuari destinati a riti – il cui elemento centrale era probabilmente il fuoco – in cui si rievocavano gli antenati e si veneravano le divinità preposte alla sorveglianza del defunto.

Tale pratica sarebbe stata diffusa in tutto il territorio dell’isola e comune alle varie tribù che al tempo abitavano le diverse zone della Sardegna. Per quanto vada precisato, infatti, che simili tombe ipogeiche si trovano anche in altre aree del Mediterraneo, solo in Sardegna hanno una diffusione così capillare: un edificio ogni chilometro quadrato e, come si può immaginare, non tutte le tombe sono state scoperte e censite.

Tra i complessi di questo tipo più importanti dell’isola ricordiamo le necropoli di Anghelu Ruju e di Sant’Andrea Priu.

La prima è la più grande necropoli del genere rinvenuta in Sardegna, e si trova nell’entroterra di Alghero, presso la località denominata Li Piani. Il sito è stato scoperto per caso – come accade quasi sempre – nel 1903, quando durante dei lavori di estrazione presso una cava due operai trovarono un cranio e un vaso provenienti da quella che sarebbe in seguito stata identificata come la tomba i, ovvero la prima delle 38 tombe il cui censimento, avviato da Antonio Taramelli nel 1904, fu terminato soltanto nel 1967 da Ercole Contu.

La necropoli si divide in due parti: una che comprende sette Domus, scavate in un affioramento roccioso pianeggiante, e l’altra che comprende 31 ipogei, scavati in una collinetta di arenaria.

La distribuzione delle celle riproduceva forse quella delle capanne del villaggio circostante, i cui resti, purtroppo, non sono stati rinvenuti, e anche la loro struttura interna quasi certamente riproduceva lo spazio delle abitazioni: tutte le Domus di Anghelu Ruju, tranne la numero xxvi, sono composte da più vani, alcune sono di perimetro tondeggiante, altre quasi rettangolari, e molte presentano dei gradini all’ingresso.

Non v’è dubbio alcuno che questo fosse un luogo di culto nel quale la prima camera e la seconda, di dimensioni superiori, avevano forse la funzione di tempio in cui venivano celebrate le cerimonie magico-religiose di carattere funerario.

Gli altri vani, invece, erano quasi certamente destinati alle sole inumazioni e alcuni di questi sono stati scavati a più riprese, per aggiungere i sepolcri necessari nel corso del tempo. Numerosi vani presentano cavità, destinate forse alle offerte e ai resti del pasto funebre odel cibo che avrebbe dovuto accompagnare il defunto nel suo lungo viaggio verso il mondo ultraterreno, o ancora utilizzate per riporvi statuette votive e altri amuleti.

Alcune pareti erano poi decorate con l’ocra rossa, il colore del sangue, ritenuto forse il colore della rinascita, e in molte camere della necropoli sono presenti false porte che imitano quelle delle abitazioni dei viventi, o simbolicamente quelle che conducono il defunto nell’aldilà.

Sono state poi rinvenute molte incisioni magico-rituali di figure geometriche e sacre, come le classiche protomi taurine – stilizzazione della divinità deputata a vegliare sull’anima della persona scomparsa – e statuette votive della dea Madre.

Anghelu Ruju sembra risalire al Neolitico recente (3200-2800 a.C.), ma è stata riutilizzata spesso nel corso del tempo, sia in epoca prenuragica – per essere adattata in vista di nuove tumulazioni – sia in epoca nuragica, sia in seguito, ed è stata inoltre devastata da cacciatori di tesori, i quali, tuttavia, non devono aver trovato nulla di più che qualche coccio di vasellame.

È perciò complicato riuscire a ricostruire quanto avveniva in quel luogo nel momento in cui si officiava il rito, fosse esso una vera e propria cerimonia di inumazione o una semplice deposizione delle ossa del defunto (o dei defunti) precedentemente scarnificato.

Gli studiosi, tuttavia, hanno fatto delle ipotesi: si pensa che per l’occasione venissero consumati pasti in onore dei morti, come conchiglie sacre, i cui resti sono stati ritrovati in numerose tombe; la presenza di alcuni vasi presso gli ingressi potrebbe indicare che gli adepti erano soliti depositare periodicamente offerte di cibo; accanto al corpo si usava poi deporre dell’ocra rossa, utilizzata probabilmente anche per dipingere il cadavere. Per quanto riguarda i reperti ossei, gli scheletri molto spesso sono stati trovati riposti in posizione supina, non fetale, e per ogni Domus sono stati rinvenuti da un minimo di due a più di trenta individui, alcuni dei quali sarebbero stati addirittura parzialmente cremati.

La stessa media di corpi che avrebbe potuto custodire ognuna delle camere dell’altro magnifico complesso sardo di tombe ipogeiche, ovvero la necropoli di Sant’Andrea Priu.


Tratto da Gianmichele Lisai "Sardegna esoterica Il volto misterico di un'isola ancestrale"  edizioni Newton Compton


Maldalchimia.blogspot.com

Nelle immagini la necropoli di Anghelu Ruju

Fotografo Paolo Lombardi

Anghelo Ruiu





















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