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giovedì, ottobre 21, 2021

💛S'imbrissinadura

 Il rito terapeutico: s’imbrissinadura[88]


L’ imbrusciadura o imbrussinadùra è un rituale terapeutico contro lo spavento noto in Barbagia come assustu e azzicchidu nel Campidano.

Ritenuto in alcuni casi indispensabile per la cura del bòe, in linea generale il colpito da spavento dovrà recarsi o nei pressi di un cimitero o all’ingresso di una chiesa, ma più spesso là dove si suppone si sia incontrata l’anima mala.

A questo punto ci si dovrà rotolare a terra seguendo schemi fissi, resi noti da chi è pratico del rituale terapeutico.

D’altronde la stessa parola imbruscinài indica l’atto di rotolarsi a terra, proprio come fanno gli animali. Qualche precisazione merita il discorso relativo allo spavento sardo: lo si può provare in seguito ad esperienze allucinatorie che normalmente prendono forma di incontro con anime di defunti o con esseri sovrannaturali. Questo genere di esperienze, estremamente comuni nelle società agropastorali di ieri, erano probabilmente causate dalla fame, dalla solitudine, dal freddo e dalla stanchezza.

E’ bene ricordare che s’azzichidu era uno spavento capace di procurare febbri, follia, demenza e addirittura morte.

L’imbrusciadura era una delle migliori cure per lo spavento e per l’imbovamento e la tradizione è certa che garantisse il ritorno dell’uomo allo status naturale.

Una volta rotolati a terra, normalmente disegnando per tre volte una croce, ci si doveva allontanare dal luogo senza mai voltarsi, per non raccogliere ancora una volta il male. Apotropaico il gesto, estremamente comune, di gettare una manciata di terra alle proprie spalle prima di allontanarsi.

La formula magica da ripetere durante il rituale nota per la località di Cabras è estremamente esplicita:

“De sa terra ‘ndi boddìu

- A sa terra ‘nci depp’ torrài”[89].

Il significato simbolico è semplice da interpretare: ciò che è stato raccolto dalla terra, solo a contatto con la terra potrà essere restituito.


Le varianti

 Di minore diffusione, eppure degne di nota sono alcune varianti interessanti del tema.

Simile alla figura de s’erkitu è il bue di San Giorgio, che anche in questo caso è uomo invasato da uno spirito e per questo trasformato in bue. La notte passa su un carro e muggisce davanti alla casa di chi è prossimo alla morte: questa metamorfosi è stata attestata da Vittorio Angius a Siniscola.

Calvia invece per Villanova Monteleone raccoglie la tradizione di un asino detto prummunida, che di notte raglia, corre e uccide chi incontra. Si tratta ancora una volta di un uomo che subisce metamorfosi e che per riassumere le sue fattezze umane, deve essere gettato in una vasca ricolma d’acqua[90].

Affascinante anche la tradizione tutta algherese del lupu mannàru o prubuàru.

Si tratterebbe di un vero e proprio lupo mannaro, figura probabilmente più recente rispetto a quella de s’erkitu, che per guarire deve essere punto o da un ago o bagnato con un getto d’acqua.

Quel che conta è che l’identità della creatura rimanga segreta, diversamente questa perseguiterà il chiacchierone[91].


La vacca muliàche e il toro androcefalo

Merita un accenno la figura della vacca muliàche ancora una volta citata da Raffaello Marchi, che raccoglie la sua tradizione a Mamoiada, grazie ad un abberbònzu[92].

Il canto in lingua suona così:

“Bàha rùbia, bàha vorte

Proìte m’ar muilàu in custa hòrte,

hi m’ar mortu a hiza mea?

Hìe di l’à morta?

Sos h’àndan’ zira ziran e borta borta,

sos h’àndan’ borta borta e zira zira

su vruttu chi bòha sa cudìna

e is’òmine mortu

hi appa’ sia de limba sia de ocru[93]”.


La traduzione letterale delle parole magiche è questa:

“Vacca rossa, vacca forte

Perché per me hai mugghiato in questo cortile

 Tanto che mi hai ucciso mia figlia?

Chi te l’ha uccisa?

Quelli che vanno “continuamente” gira gira e volta volta

Quelli che vanno “continuamente” volta volta e gira gira.

Il frutto che dà la roccia

E l’uomo morto

Che abbia “colui che ha colpito”

Sia con la lingua, “con la parola”, sia con l’occhio “con lo sguardo”.


Questo carme religioso magico confermerebbe tutti i tratti del bòe precedentemente elencati e si arricchisce del prezioso riferimento agli ispiritos, di cui si parla con un esplicativo sos[94].

E’ a questi spiriti che spetterebbe il potere di uccidere, mentre il posseduto non sarebbe altro se non l’esecutore forzato dell’uccisione.

La vacca, che di umano conserva non solo la coscienza, ma addirittura la parola e la consapevolezza del suo male, non si ritiene responsabile dell’uccisione.

Sono stati quelli, la causa della morte della donna, viene chiarito nel canto. E’ probabile che questa immagine custodita nel carme sia la madre, l’antecedente più arcaico del bòe: una vacca e dunque donna.

Sotto questa ottica la figura del bòe Muliàche sarebbe da intendere come qualcosa di molto più profondo di un relitto culturale, documento longevo di una civiltà agraria, che si sarebbe poi evoluta a contatto con il cristianesimo: la componente cristiana d’altronde è più che visibile nel rito dell’imbrussinadùra davanti alla chiesa o in un cimitero.

L’analisi di Raffaello Marchi non si esaurisce certo qui: intravede traccia di quest’essere tanto arcaico nel bronzetto chiamato “L’Essere” o “Animale Fantastico” o ancora “Toro androcefalo” trovato nel 1935 presso Nule.

Il bronzetto secondo Marchi rappresenterebbe plasticamente l’imbovamento dell’uomo.

Le sue funzioni sarebbero quelle di un comune ex voto: di richiesta della guarigione o di ringraziamento per la grazia ottenuta.

A convincere lo studioso hanno contribuito gli abiti umani indossati dall’essere, giustificabili solo se si accetta di pensare la figura prima umana e in seguito trasformatasi in bue.


Tratto da Claudia Zedda "Creature fantastiche in Sardegna"


Nelle immagini, bronzetto del Toro androcefalo di Nule


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