Informazioni personali

La mia foto
Questo sito nasce ispirato dalla Sacra Divinità dell'Ape, che mi ha amorevolmente guidata alla scoperta di ciò che è la mia Essenza, manifestazione in E come un'ape, prendo il nettare da fiori diversi tra loro, producendo del "miele-Essenza" diversificato. Ma con un filo d'Oro conduttore l'Alchimia nel creare, nell'Athanor della ricerca intima, multidimensionale, animica. E in questa Alchimia, amare le parole nella loro intima Essenza. Soprattutto quella celata. Le parole creano. Sono vibrazioni. Creano dimensioni spaziotemporali proprietà, trasversali. Che uniscono dimensioni apparentemente distanti. Azzardate. Inusuali. Sempre dinamiche Sempre. operose. Come le api. A cui devo ogni mio battito d'Ali. COPYRIGHT ©®I contenuti presenti sul blog Maldalchimia.blogspot.com, quelli scritti ed elaborati dall'autrice, Tiziana Fenu, proprietaria del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti, in qualsiasi forma, se non, riportando nome, ©®Diritti intellettuali riservati e nome del blog,

lunedì, maggio 16, 2022

💛La leggenda dei cavalli verdi

 “Non t’app’a dare su caddu ilde!” (non posso darti il cavallo verde!).

Capita talvolta in Sardegna, specie nel Nord dell’isola, di sentire una frase del genere quando si vuol dare a intendere che si richiede qualcosa di impossibile. Ma quando si domanda cos’è questo cavallo verde, nessuno sa dare una risposta soddisfacente. La frase è entrata nelle espressioni che indicano ciò che è assai difficile ottenere, ma donde tragga origine nessuno lo sa. Per sapere qualcosa di più su questo mitico cavallo bisogna rivolgersi alle leggende.

[...] Il segreto del cavallo verde si sarebbe perso tra le pieghe del tempo se, per un fortuito caso, non ci fossimo imbattuti in un’altra leggenda, trascritta più di un secolo fa da Grazia Deledda, alla quale era stata fornita dal gallurese Andrea Pirodda. È proprio questa leggenda, rispolverata da una vecchia rivista edita a Milano alla fine dell’Ottocento, nella quale la giovane Deledda scriveva, a gettare luce sull’enigmatico cavallo verde, che non si poteva donare così facilmente, come pretendeva il re Barcellone.

Narra infatti che Castel Doria, edificato su alte rocce, presso le

rive del Coghinas, godeva di un grande panorama e ai suoi piedi si stendeva una verde pianura. Era munito di un condotto sotterraneo che conduceva alla chiesa di San Giovanni di Viddacuia, dove i Doria si recavano a sentire la messa. Una donna che stava nel castello si era innamorata del principe che vi risiedeva, ma questo respinse con fermezza le sue profferte d’amore. La donna, umiliata, si rivolse a una potente maga corsa che le indicò il modo di vendicarsi con le arti magiche. Trasformò una grande distesa di asfodeli in tanti cavalli verdi montati da guerrieri con scudi e lance verdi, pronti ad assalire il castello. Il principe, terrorizzato da quell’armata verde, si precipitò dal bastione e morì sfracellato sulle rocce sottostanti.

Così finisce la leggenda dell’ultimo Doria, una leggenda che getta luce su quella del Bottiglioni e ci aiuta a comprendere che i cavalli verdi, figure di per sé inesistenti, simboleggiavano la magia nera, gli effetti dell’allucinazione procurati con filtri magici o con ipnosi, insomma quella scienza occulta tanto in auge nel Medioevo.

Era la conoscenza di questa scienza che Barcellone pretendeva dal conte di Villanova, era questo il cavallo che ambiva. Ed era certo che il conte lo possedeva perché “lo aveva visto”, afferma la leggenda. Barcellone sapeva quindi con certezza che il conte praticava, direttamente o per mezzo di qualche mago che teneva alla sua corte, le arti magiche. Probabilmente aveva assistito a qualche prodigio di tipo allucinatorio, magari con l’apparizione di figure immaginarie, capaci di incutere terrori incontrollati, tipo l’illusione ottica di vedere un esercito di cavalieri là dove vi era semplicemente una distesa di asfodeli. Tale tipo di magia era ritenuta un’arma potentissima, a cui si faceva ricorso solo in casi di estrema necessità, perciò chi ne era a conoscenza la custodiva gelosamente e la praticava in gran segreto, spesso abbinata all’alchimia.

A conoscerla dovevano essere in pochi, ma a crederci erano in tanti, anche fra i regnanti, che spesso nelle loro corti ospitavano alchimisti, astrologi e maghi che consultavano prima di intraprendere azioni importanti.

Esistono interi trattati dedicati a questo argomento.

Secondo Svetonio, l’imperatore Augusto ne fece bruciare duemila che si occupavano di profezie e di magia, salvando solo i libri sibillini. La cifra sembra enorme per quei tempi, ma dà la misura di quanto fossero diffuse tali pratiche.

Non sorprende pertanto se anche i castellani sardi si servivano di questi mezzi, illudendosi di conquistare o di difendere più facilmente i loro castelli. È quindi comprensibile il rifiuto del conte di Villanova Monteleone. Qualunque altra cosa avrebbe potuto dare come compenso per la guerra vinta, ma non i segreti della magia da cui credeva di trarre il suo potere. D’altra parte non poteva rivelare un simile segreto a un re che un giorno avrebbe potuto rivolgere questo potere occulto contro di lui.

[...] La magia, non sappiamo se nella stessa forma, era ben conosciuta anche da altri castellani sardi che pare ne facessero uso. L’astrologia era praticata persino nella corte di Arborea, da Mariano iv, padre di Eleo

ora. Anche questa giudicessa, secondo la tradizione popolare, si serviva spesso della magia, e si narrano diversi episodi dove viene dipinta come una potente maga. La tradizione la ritiene una grande guerriera, ma crede anche che molti castelli, più che con le armi, li avesse conquistati con l’astuzia e con le arti magiche. È evidente che certi castelli erano considerati imprendibili e il popolo, non sapendo spiegarsi la loro resa, ne attribuiva la capitolazione a forze soprannaturali messe in atto dagli assedianti.

[...] Poiché la leggenda indica lo sventurato castellano come l’ultimo dei Doria, la Deledda suppone che possa trattarsi di Andrea Doria, l’ammiraglio che nel 1527 tentò di riconquistare i possedimenti dei suoi antenati attaccando Castelgenovese per mare. 

Tra storia e leggenda abbiamo tentato di ricostruire la fine dell’ultimo dei Doria sardi e pensiamo che la leggenda riferita da Grazia Deledda riguardi proprio Nicolò, l'ultimo dei Doria sardi, anche se la versione che lei riporta lo fa morire per un’allucinazione causata dalla magia. D’altra parte egli aveva resistito per anni entro il castello e quasi certamente cedette solo per fame e sete, cosa che può benissimo provocare allucinazioni o miraggi, per cui, in particolari momenti di debolezza, anche una distesa di asfodeli può sembrare un esercito verde.

[...] Anche il nome del cavallo, riferito alla pratica magica, non pare dato a caso, giacché questo animale era considerato un simbolo lunare. La dea della magia era sempre identificata con la luna, sia che venisse chiamata Iside o Ecate, invocata dalle streghe specialmente nella fase di luna calante. Anche il nome Stella Diana, con cui il cavallo verde veniva chiamato, riporta sempre alla stessa divinità. Diana era infatti, nel mondo cristiano, il sinonimo di Lucifero, lo spirito del male.

[...] Infine un’ultima considerazione che riguarda la tradizione popolare. Ancora la memoria collettiva di Lodè ricorda che durante il palio per la festa di San Giovanni, che si celebrava nel rione più antico del paese, la gente diceva: «Andamos a bidere sos caddos firdes» (Andiamo a vedere i cavalli verdi)28. La frase, detta in tono ironico (almeno negli ultimi tempi, quando l’incredulità aveva preso il sopravvento), riguardava gli abitanti del vicino paese di Jollotto (Sollotto), ora distrutto, i quali erano soliti ornare, prima della competizione, i propri cavalli con piante di asfodelo, tanto da dargli una parvenza di verde. Non si può non collegare questa tradizione con i cavalli verdi che avevano fatto capitolare Castelgenovese.

Evidentemente chi ornava in quel modo il proprio cavallo prima della corsa credeva di fare un’operazione magica per ottenere una sicura vittoria, come l’aveva ottenuta la cavalleria verde davanti a Nicolò Doria.

Per di più il palio si faceva il giorno di San Giovanni, il magico giorno del solstizio d’estate, nel quale si credeva avvenissero tanti prodigi. Si dice che le città di Ardara e Bisarcio, secondo una tradizione ancora viva a Ozieri, siano state distrutte dai cavalli verdi, tant’è che ancora oggi volendo maledire qualcuno in questo paese si esclama: «ancu t’agattene isthrutta che i sa “idda de Ixasciu!”», e si aggiunge: «Chi fudi isthrutta dae sos caddos bildes!» (Che possano trovarti distrutta come Bisarcio, che fu distrutta dai cavalli verdi).

[...] Si narra che sulla cima del monte Santu Patre, che sovrasta il paese di Bortigali, si trovava un santuario assai famoso dedicato a Santu Antipatre al quale convenivano gli abitanti di tutta la zona per la particolarità di una sorgente che stava accanto alla chiesa. Tale sorgente era periodica e dava acqua soltanto quando ricorreva la festa del santo.

I puledri che nascevano durante tale ricorrenza avevano il manto verde! Durante la festa si svolgeva s’ardia, il palio a cui partecipavano anche questi straordinari cavalli; perciò era chiamata “s’ardia de sos caddos birdes”.

Il Senes ci informa che «una tradizione analoga, con la sorgente intermittente e la corsa dei cavalli verdi sussisteva anche ad Ardara»


Tratto da Dolores Turchi "Le tradizioni popolari della Sardegna" 


Maldalchimia.blogspot.com 

Gonfalone e stemma civico di Bortigali provincia di Nuoro

La leggenda dei cavalli verdi



Nessun commento:

Posta un commento