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Questo sito nasce ispirato dalla Sacra Divinità dell'Ape, che mi ha amorevolmente guidata alla scoperta di ciò che è la mia Essenza, manifestazione in E come un'ape, prendo il nettare da fiori diversi tra loro, producendo del "miele-Essenza" diversificato. Ma con un filo d'Oro conduttore l'Alchimia nel creare, nell'Athanor della ricerca intima, multidimensionale, animica. E in questa Alchimia, amare le parole nella loro intima Essenza. Soprattutto quella celata. Le parole creano. Sono vibrazioni. Creano dimensioni spaziotemporali proprietà, trasversali. Che uniscono dimensioni apparentemente distanti. Azzardate. Inusuali. Sempre dinamiche Sempre. operose. Come le api. A cui devo ogni mio battito d'Ali. COPYRIGHT ©®I contenuti presenti sul blog Maldalchimia.blogspot.com, quelli scritti ed elaborati dall'autrice, Tiziana Fenu, proprietaria del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti, in qualsiasi forma, se non, riportando nome, ©®Diritti intellettuali riservati e nome del blog,

venerdì, marzo 25, 2022

💛"Il grano e la Dea" M. I. Tanga

 . ‘Sa guada’ è, invece, il nome di una focaccia beneaugurante della tradizione sarda, che il proprietario del podere regala ai propri lavoranti il giorno di Capodanno.

E’ una sorta di bassorilievo di pasta di pane raffigurante un’aia con ceste di grano e messi mature, contornata dai tipici attrezzi da lavoro, come vanghe, pale, aratri e il giogo dei buoi, dal quale prende il nome di ‘sa guada’.

Un pane simile, il cosiddetto ‘arzòla’, tipico del Capodanno di Paulilàtino, ha impressa un’ aia adibita alla trebbiatura.

Ispirati alla vita pastorale sono altri due pani simbolici sardi, ‘sa mandra’ e ‘sa peltusitta’, raffiguranti scene e attrezzi tipici dell’ovile. ‘Sa peltusitta’ di Tresnuraghes, di forma tondeggiante, reca impressa la ‘pinnetta’ (la capanna rotonda), con le pecore intorno e un pastore con il cane.

Nel Logudoro, sempre per Capodanno, presso le famiglie dei proprietari terrieri, venivano preparati i ‘cabude’, da donare ai propri dipendenti, a pastori e braccianti, che vivevano nella ‘tanca’.

Donare il pane era visto, non solo, come un’ azione che avrebbe portato fortuna e prosperità alla famiglia offerente, ma anche come un’ operazione di redistribuzione dei beni, tendente a ricostruire una condizione di uguaglianza tra tutti i membri della comunità. Oltre al pane quotidiano, che si consumava tutti i giorni, in Sardegna, numerosi erano i pani cerimoniali. Già in epoca ‘nuragica’, in piena età del bronzo, si ha traccia di bronzetti raffiguranti degli oranti che offrono del pane alle divinità. Nei nuraghi, inoltre, sono state rinvenute numerose ‘pintadere’, piccole matrici di terracotta usate per decorare i pani votivi. Antichissimi pani votivi sardi sono i ‘sos Puzzoneddos de su Cossolu’, preparati a Orune in occasione della festa della Madonna della Consolata, che si festeggia il primo lunedì di agosto.

I ‘Puzzoneddos’ sono forgiati a forma di colomba, uccello sacro per antonoma

sia, emblema dell’ armonia cosmica, una delle più importanti ipostasi della Grande Madre. In questo caso, dietro l’ immagine della Madonna della Consolata, è possibile scorgere, in filigrana, il profilo numinoso della Grande Dea pagana.

A Orotelli, Villacidro e Gonnos le ‘is tundas’, pani in forma rotonda, erano offerti come ex voto, durante la messa. A Barunei le ‘is tundas’ erano protagonisti del grande banchetto in onore di San Basilio. I pani che avanzavano erano distribuiti ai mendicanti, un’usanza, questa, comune a quasi tutte le feste patronali sarde. Tanto che frotte di postulanti e di poveri cristi partecipavano assiduamente ad ogni festa, spostandosi a piedi, in ogni stagione, da un capo all’altro dell’isola.

Ogni Santo ed ogni festività o ricorrenza aveva il suo pane. Famosi erano i ‘coccoi’ di San Marco e di Sant’Isidoro, un vero trionfo naturalista, in cui foglie, fiori, frutti, uccelli sembrano intrecciare il loro canto a madre natura

Sos coccòi’ e ‘Santu Marcu’ venivano portati in processione accanto alla statua del Santo, il 24 di Aprile a Borone, a Macomer, a Lei e a Bordigali. Una volta benedetto, veniva ridotto in briciole e sparso nei campi in funzione pro

oria.

‘Sas cogònes pintàdas’ è il pane offerto a Sant’Isidoro, in qualità di patrono degli agricoltori, allo scopo di ottenere un buon raccolto. È un pane azzimo, di semola di grano duro, a forma di ghirlanda, decorato con palline di pasta riproducenti i chicchi di grano. Questo pane veniva portato in processione e poi benedetto. Lo si custodiva in casa come amuleto.

Nel comune di Senorbì (Cagliari), in onore di Sant’ Isidoro, si indice, ogni mese di maggio, la sagra del ‘su pani arridau’, il pane abbrustolito sulle braci del camino. Anche i piccoli pani di San Filippo fungono da preziosi amuleti, non solo in quanto benedetti in chiesa la sera del giovedì santo, ma perché nell’impasto vengono disciolti tre grani di sale, potente talismano contro il malocchio. Tanto che ‘su pane ‘e Santu Tilippu’ veniva conservato gelosamente nelle case, per proteggerle dai temporali e da altre calamità. E’ incredibile come sacro e profano continuino a convivere, in maniera quasi insospettata, nelle pieghe della quotidianità del mondo subalterno, nutrendone miti e riti, animandone usanze e credenze in una fecondissima amalgama.

[...] Il pane era ed è, ancora oggi, protagonista della commemorazione dei defunti. I cosiddetti ‘pani de is animas’, bianchissimi, sono diffusi in tutta la Sardegna. Il settimo ed il nono giorno dalla morte del congiunto si usava distribuire, a parenti e vicini, dei pani speciali, i cosiddetti ‘panèddas’, insieme a maccheroni e carne268. In tutta la Sardegna, ricorrenti erano le questue in nome dei defunti. Gruppi di bambini, vestiti di bianco, come dei fantasmini, bussavano di casa in casa, pronunciando la formula: ‘A bene ‘e is animas’, ‘per il bene delle anime’.

[...] Nel Campidano cagliaritano, per il 2 novembre, si preparano dei pani speciali, ‘is panixeddas’, che vengono donati ai poveri in suffragio dei cari estinti. ‘Sas paneddas’ e ‘su pani de animas’ sono pani di pura semola, caratteristici della ricorrenza dei morti nella regione del Sarrabus. Sempre per il 2 di novembre, a Cagliari e a Sassari è tradizione preparare ‘is animeddas’, un pane bianchissimo. ‘Sas corroncias’ è un altro pane tipico del giorno dei defunti, realizzato a forma di ciambella ‘piccada’ (da ‘picta’ - ‘decoro’), decorata, sulla quale viene inciso il segno di una ‘V’. Alcuni studiosi locali hanno visto un’ analogia con il ‘triangolo’, uno dei simboli della divinità femminile e del suo potere rigenerativo.

[...] A Laconi, in provincia di Oristano, è usanza preparare il ‘pane di sapa’ il 17 di Gennaio, in omaggio a Sant’Antonio Abate. Pane che ritroviamo anche a Sini, sempre in provincia di Oristano, il 25 aprile, per onorare San Giorgio, patrono della comunità. Il pane di sapa, preparato dalle famiglie del paese, viene portato in chiesa la vigilia della festa e, dopo la benedizione, venduto ai fedeli. Mentre, sulle tavole natalizie non mancava mai il ‘sa rughe’, un pane a forma di croce che veniva spezzato e distribuito dal capo famiglia ai parenti durante il pranzo, in segno beneaugurante, propiziatorio.

In Ogliastra, il giorno di Natale, si usava donare un bellissimo pane a forma di cuore, di giglio, di stella, di pesce o di uccello.

Più raro ra, invece, un pane antropomorfo, che riproduceva le fattezze di un neonato, ‘su accèddhu’ (lett. ‘bambinello’), cesellato con tanto di capelli, sesso e cordoncino legato intorno alla vita. In Gallura invece, il 25 dicembre, si era soliti donare ai bambini due tipi di pane, ‘la franka’ e ‘lu kubòni’.

Il primo, a forma di bambola, destinato alle bambine, l’altro, forgiato a forma di corvo, era donato ai maschietti.

A Thiesi, la sera della vigilia di Natale, erano i bambini più poveri a chiedere del pane, presso le case dei benestanti. Lo si faceva recitando una breve filastrocca, che augurava tutto il bene possibile a chi avesse donato ‘su bakkìddhu’, un pane a forma di bastone, tipico della ‘questua’. In Sardegna ‘un uso magico di grano, farine e pani era legato ai riti del ciclo invernale’, quando la natura è al suo minimo produttivo. Una bella usanza, viva ancora oggi nelle zone interne dell’ isola, è quella della questua rituale di fine anno. La mattina del 31 dicembre i bambini di Orgosolo si recano di casa in casa per chiedere ‘sa candelarìa’. ‘A nolla dàzes sa candelarìa?’('ci date la candelarìa?’), è la domanda che riecheggia, dalle prime luci del mattino, per tu

l paese. Riportiamo, qui di seguito, il ‘canto’ della ‘candelarìa’:

‘Datecelo, il pane

per amore di Gesù Bambino

Abbiate denaro e vino,

grano e orzo a mucchi.

Datecelo, il pane!!’


La ‘candelarìa’ consiste nell’ offerta di un pane (su coccòne), appositamente preparato per l’ occasione, e donato ai ragazzini orgosolesi insieme a frutta, biscotti e denaro.

Una consuetudine, questa, ancora vivissima. Il ‘coccòne’ viene approntato, nei giorni precedenti la fine dell’anno, da gruppetti di donne con rapporti di parentela o di buon vicinato. È composto di farina di grano duro, ‘sa sìmula’, impastata con lievito ‘madre’, acqua tiepida, sale e strutto.

Grazia Deledda ce lo descrive come un ‘piccolo pane bianco, frastagliato, lucido, in forma di uccello e di altri animali’.

Secondo alcuni studiosi di storia locale, ‘sa candelarìa’ deriverebbe dal ‘donum candelarium’, il dono tipico delle Calende di gennaio

[...] Altra importante data del calendario rituale contadino è il 17 di gennaio. In questo giorno, gli abitanti di Bòttida, centro del nuorese, festeggiano Sant’ Antonio Abate con un grande falò, intorno al quale un cavaliere, su un cavallo bardato a festa, compie sei giri rituali intorno al fuoco, tre in senso orario e tre in senso antiorario, ‘s’ inghiriu’, reggendo l’ ‘àrdia’, lo stendardo sul cui apice è infilzata una pagnotta tonda di pane tradizionale, confezionato esclusivamente per questa occasione.

A turno, in gruppi, gli abitanti compiono i sei giri intorno al falò, mangiando i pani e i dolci, detti ‘de su fogu’.

Il fuoco riveste un ruolo importante nella ricorrenza di Sant’ Antonio Abate.

Simbolo di purificazione e di rigenerazione, in un’ epoca di passaggio particolarmente delicata, esso prepara la terra a rigenerarsi, a dare nuovi frutti.

Nuovi frutti evocati, metaforicamente, dai pani e dai dolci ‘de su fogu’. Dietro la figura del Santo anacoreta, nel particolare contesto mediterraneo, si intravede l’ ombra ierofanica di un nume della vegetazione.

Il ‘pistiddu’ è un altro pane devozionale, molto caratteristico, preparato a Oliena e a Dorgali, nel nuorese, in onore del Santo eremita, farcito di ‘sapa’ e semola.

A Sarule (Nuoro), i ‘pistiddos’ vengono offerti, da donne velate di nero, a coloro che portano il nome di Antonio.

A Fonni, remoto paesino della Barbagia, dopo la funzione religiosa, il prete benedice il grande falò nella piazzetta del centro storico, insieme ai ‘pani di sapa’, offerti dalle fonnesi in onore del Santo.

A Orani, ai Sos Bundos, uomini mascherati con maschere di sughero che visitano ‘su fogu’, viene offerto il pane ‘pistiddu’ precedentemente benedetto in chiesa.

Altri ‘pani di Sant’ Antonio’ sono ‘su pane nieddu’ di Orosei, confezionato con farina, miele e sapa e i ‘calistredhos’ di Lodè (Nuoro), i quali vengono appesi, insieme alle arance, al tronco centrale che regge il grande falò, a forma di ‘pennettu de Santu Antoni’, di ‘capanna di Sant’ Antonio’.

Una volta appiccato il fuoco al ‘fogone’, i ragazzi più agili si lanciano di corsa sulle frasche cercando di arrivare fino in cima alla catasta di legna per prendere i pani e le arance prima che il fuoco bruci ogni cosa. Fuoco-pane-arance: come non pensare ad una festa celebrativa in onore di madre natura?! Come non pensare ad una propiziatoria ‘festa della cuccagna’ tutta rivolta ai futuri germogli primaverili?!

Durante il pomeriggio del 16 gennaio, frotte di rgazzini invadono le strade di Lodè per la tradizionale questua in onore del Santo.

‘Tzia, a lu jumpamos su ocu?’, ‘Signora lo saltiamo il fuoco?’, è la frase di rito che viene ripetuta sull’ uscio di ogni casa.

Alla domanda, di solito, viene risposto di ‘sì’. Prima di accomiatarsi, la padrona di casa fa dono ai questuanti di arance e ‘calistredhos’ in segno beneaugurante.

Ad Ardauli, in provincia di Oristano, ai questuanti di Sant’ Antonio viene donata ‘sa panizzedda’, un pane impastato con la sapa. Secondo una leggenda sarda, Sant’Antonio avrebbe rubato il fuoco ai diavoli dell’inferno, attraverso la complicità di un maialino. Leggenda questa che rispecchia quella di Prometeo, che i greci, evangelizzatori dell’ isola, hanno confezionato apposta per i miscre

ori sardi, per far loro accettare la protezione del Santo eremita. Dei veri e propri gioielli di acqua e farina adornano il simulacro di Sant’Antìoco, portato ogni anno in processione da una folla osannante.

Grappoli d’uva, colombelle, spighe e fiori intagliati nella pasta di pane fanno del ‘su coccoi de su Santu’ una piccola opera d’ arte ‘effimera’ (per dirla con Cirese), segno della grande devozione che gli abitanti della piccola isoletta di Sant’Antìoco provano per il loro patrono.

Mentre, ‘giorni del pane dolce’ sono definiti quelli che da metà gennaio vanno al 2 febbraio, giorno della Candelora, festa di purificazione per eccellenza. In questo giorno si usa benedire le candele che, si dice, difendano dalle calamità e dalle tempeste. Le candele accese simboleggiano Gesù, quale luce del mondo.

La cerimonia delle candele, probabilmente, deriva dal rituale del ‘Februato’, ossia, dall’ usanza dei Romani antichi di accendere torce in onore di Giunone Februata, la ‘purificatrice’. In questo giorno si usa portare in processione, fra canti e litanìe, dei pani speciali, infilzati con candele accese. Religiosità popolare e reminiscenze pagane, devozione e tradizione, fede e farina, rivivono in questa suggestiva usanza di Perdasdefogu-Foghesu.

‘Il mistero del pane dolce riporta a popoli antichi, a usanze ebraiche, delle popolazioni del bacino del Mediterraneo con gesti fortemente religiosi e apotropaici’ osserva Alberto Cirese.

La benedizione dei pani e la distribuzione ai fedeli caratterizzano l’aspetto liturgico. Mentre il ciclo della panificazione è tutto punteggiato da usi e gesta che rimandano alla remota paganità. Le donne sedute a terra, in cerchio, davanti al forno, ricordano antiche deità del focolare, i loro gesti ripetono usanze ancestrali, consolidate da una consuetudine millenaria, come quella di appoggiare i coltelli alla bocca del forno o di versare il sale grosso sulle braci ardenti, in segno scaramantico.

Un tipo di pane ‘unico in Sardegna e in Europa’ (Cirese) questo della Candelora sarda, detto anche ‘panis Angelorum’, ‘pane degli Angeli’.

Non lo si vende. Si dona a chi si ama e si rispetta. Lo si distribuisce in fette sottili, alla fine del rito della Candelora.

È un pane a forma di ciambella di pasta compatta, insaporita con semi di anice, chiodi di garofano, noce moscata, finocchietto selvatico. Un pane che sembra preannunciare i profumi della primavera sarda. 


Tratto da "Il grano e la Dea" di Maria Ivana Tanga

Maldalchimia.blogspot.com

(Nello specifico, non ho trovato immagini dei pani citati, quindi ho fatto un mix di vari tipi di pane)


"Il grano e la Dea" M.I.Tanga
















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