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domenica, febbraio 19, 2023

💛Su Battileddu di Lula

 Riporto, a fine post, un brano tratto dal libro di Dolores Turchi " I carnevali e le maschere tradizionali della Sardegna", riguardo la maschera più rappresentativa del Carnevale di Lula, su Battileddu,  il cui rito si è svolto proprio ieri. 

Lo chiamo rito, perché si tratta di una vera e propria ritualistica, che si ripete in ogni civiltà, e che risale fin da tempi antichissimi. 

Farlo risalire solo a Dionisio, ne limita, cronologicamente, l'appartenenza ad ogni civiltà, come passaggio necessario, come Sacri-ficio, nel senso, proprio, di rendere sacro, necessario per rendere Sacra e fertile la terra, con il sangue. 

Dimensione prettamente femminile, che con il sangue mestruale, rende possibile la vita, e che, con l'andare del tempo, è stata soppiantata da una prospettiva patriarcale e maschilista. 

Ma questo "sacrificio", ha un'origine antica, ed è indissolubilmente legato anche al succedersi delle costellazioni e alla dinamica delle stagioni.

Un sacrificio ritualistico già presente in ambito egizio. 

Osiride ucciso, fatto in 14 pezzi, da cui nasceranno 28 spighe, simbolo di abbondanza e fertilità, mentre invece il 14 e il 28, sono dei chiari riferimenti al ciclo lunare, quindi alla dimensione Femminina. E d'altronde è Iside a ricreare il fallo d'Oro di Osiride, per portare alla luce Horus, perché è lei, l'elemento alchemico trasformate, l'atnanor alchemico che consente la creazione. 


Anche nel culto di Mitra (1200 aC circa) che si sviluppa nello stesso periodo del culto di Osiride, abbiamo la rappresentazione del sacrificio del Toro. 

Ne parlai in un mio post https://maldalchimia.blogspot.com/2021/11/mitra-che-uccide-il-toro.html?m=0

" Le Pleiadi sono la ferita sanguinante del Toro celeste, proprio tra "collo, corna e nuca" nel punto in cui la costellazione del Toro ospita le Pleiadi. La nascita di questo asterismo è molto antica, risale ai Sumeri che l’associavano al grande eroe Gilgamesh, e chiamavano la costellazione GUD.AN.NA (toro del cielo).

In svariate culture è rimasta la tradizione di versare 7 gocce di sangue con valore ritualistico, prima della macellazione di grossi animali e della pratica della circoncisione sia maschile che femminile(infibulazione, in questo caso), questo perché, il sangue è necessario per fertilizzare la terra, così come, simbolicamente, le Pleiadi si trovano sulla "spermatica" e feconda Via Lattea, la via della rinascita.

[...] Mitra che nasce dalla pietra. Mitra rinnovatore del cosmo.

Ma questa rappresentazione ha un valore simbolico molto più alto, poiché rappresenta i 7 gradi di iniziazione, le 7 porte da attraversare 

[...] Mithra nato dalla roccia il giorno del Solstizio d’Inverno è uscito dalla caverna perché  sa di dover immolare il toro, per ordine degli Dei su mandato del loro messaggero, il corvo Hermes-Mercurio. Egli salta sul dorso del toro, ma non lo uccide subito, resiste attendendo che il toro si stanchi e lo immola, dolorosamente, solo quando questo sarà entrato nella grotta.

Il significato macrocosmico del rito è di rinnovamento del cosmo, della sua manifestazione: il sangue che sgorga dalla ferita dell’animale è la linfa che fa rinascere la vita:  passaggio necessario per una trasformazione alchemica verso l'oro.

È la divinizzazione di Mitra stesso


"Mitra, l'eroe nato nella roccia (Πετρογενης), annunciava il ritorno del Sole in primavera, come Prometeo, incatenato nella sua caverna, annunciava la continuazione diInverno. [...] "Mitra non è solo luce, ma intelligenza; quel luminare che, sebbene nato nell'oscurità, non solo dissiperà le tenebre ma vincerà la morte...( https://maldalchimia.blogspot.com/2022/12/mitra-e-il-solstizio.html?m=0) 


Ma tutto questo, forse non ricorda, il sacrificio del Cristo, nato in una grotta come Mitra, il cui sangue che fuoriesce dal costato destro( sul lato del Mascolino, quindi, attraverso una ferita ogivale che sembra riprodurre la vulva femminile, dalla quale, escono "acqua e sangue") deve fertilizzare la terra, come simbolo di sacrificio necessario per la rinascita dell'umanità? 

L'acqua è un elemento femminile, e il sangue versato sulla terra dalla ferita del Cristo, rimanda al sangue mestruale, segno della morte dell'ovulo non fecondato. Un sacrificio che si rende necessario, per garantire fertilità potenziale. 

La morte del Cristo che avviene di Venerdi, giorno dedicato al Femminino, a Venere, alla nona ora di agonia. Il 9, è il Sacro Archetipo Teth, legato al Femminino, alla gestazione,  alla Sophia. 

All'intelletto supremo, manifestazione dell'intelletto Divino. 

Cristo, come energia androgina, rappresenta entrambi gli aspetti, Mascolino e Femminino, e la simbologia della sua morte, e poi rinascita dopo tre giorni, è esemplificativa di capacità lunare, femminea, di autorinnovarsi, di generare vita, nonostante la morte, proprio grazie alla morte, al sangue di quell'ovulo non fecondato. 

Al suo "Sacri-ficio", immolato per poter essere anche garante di vita. 

Come vedete, sono ritualistiche ancestrali,, che sicuramente affondano le radici nelle prime società gilaniche, matriarcali, e di cui, il Dionisio nominato dalla Turchi, ne è solo uno dei tanti rappresentanti. 

La testa de Su Battileddu, è ricoperta da un fazzoletto femminile, indicativo del fatto che rappresenti anche un'energia femminile. 

È seguito da uno stuolo di donne, o meglio, di uomini vestiti da donna, in lutto  E sos Battileddos Gattias che impersonano le vedove lì per piangere e disperarsi con sos attittos, lamentazioni funebri per la sorte a cui va incontro su Battileddu,. 

Schernito come lo fu Cristo, prima del sacrificio. 

Come lo è ancora, tristemente il toro, nelle rappresentazioni della corrida, infilato proprio sulla nuca, lo stesso punto in cui, allegoricamente, Mitra, l'eroe, rappresentante del segno dell'Ariete, deve, astronomicamente, far morire il Toro, che cade proprio in concomitanza dell'arrivo della primavera, per permettere alla natura di germogliare, e, in senso più ampio e cosmico, permettere la creazione della via Lattea, la via della rinascita, dal punto in cui sono posizionate le Pleiadi, proprio nella nuca della Costellazione del Toro. 

E il Dionisio, a cui si fa riferimento, rappresenta anche il toro, non solo "il caprone", perché uno degli appellativi di Dionisio, insieme a Eriphos e Taùros, era Bougenès, che significa Dioniso "figlio di vacca" e "nobile toro

Non è un caso, secondo me, che la ierofania sul dodicesimo anello della Tholos del pozzo sacro di Santa Cristina, si verifichi proprio in concomitanza dell'entrata nel segno del Toro, il segno della fertilità, insieme alle altre due date, l 21 giugno e il 21 agosto, come ho approfondito in un post ( https://maldalchimia.blogspot.com/2022/08/ierofania-21-agosto-pozzo-s-cristina.html?m=0) 

"Ora, come ho scritto, nel 753 aC, proprio il 21 aprile, Romolo scelse il colle Palatino per la fondazione di Roma. 

Scelse quella data, perché avveniva la congiunzione del Sole con Palilicium, che era il nome latino di Aldebaran.,  della stella più luminosa della costellazione del Toro,  il suo "occhio rosso". Il nome Palatino, da cui deriva Palatium e Palazzo, discende da Pales, antica divinità agropastorale, celebrata proprio sul colle, il 21 aprile(Sigismondi Costantino). 

Quindi, il 21 aprile, traguardava la levata eliaca, di Palilicium, il nome latino di Aldebaran, e l'intero colle Palatino, e il Palazzo imperiale, sede dell'imperatore Augusto,  era dedicato a Pales e a Palilicium. 

Quindi la fondazione di Roma è legata a questa congiunzione, alla Dea Pales, e alla celebrazione del Natale romano. Un altro referente per la mietitura e per l'armatura, era la levata eliaca delle Pleiadi, figlie di Atlante sempre della costellazione del Toro. 

In Sardegna, sapevamo già da secoli evidentemente, che proprio in quel giorno il Sole era allineato ad Aldebaran. Considerando la precessione degli equinozi, può darsi che anche nel periodo di edificazione del pozzo di Santa Cristina(XI sec. aC), si presentasse questo allineamento, poi adottato in ambito romano. 

Come ho già scritto, il 21 aprile, traguardato dalla ierofania sul 12° anello della tholos a Santa Cristina, simboleggiava un parametro, sicuramente per verificare il grado di maturazione del grano, visto che il 12 simboleggia il Sacro Archetipo Lamed, con funzione "misura", per "controllare un alimento sacro come il grano. 

Ma molto più probabilmente, per onorare la dea Pales, la dea dei pastori, protettrice del bestiame, della pastorizia. 

Pales

Palilicium

Paulilatino" 


Quindi, come vedete, ci sono tutti gli elementi per pensare che in Sardegna, questo culto, rappresentato da su Battileddu, sia antichissimo, e che il passaggio alchemico, fecondo, verso il "sacrificio del Toro", sia stato traguardato anche architettonicamente con un'attenzione particolare all'architettura del pozzo di Santa Cristina, che proprio nel giorno dell'ingresso della costellazione del Toro, manifesta la sua ierofania di benedizione. 


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"Dalle numerose testimonianze dei vecchi si rileva che il rito che le maschere espletavano era quasi dovunque tragico e cruento, anche nella finzione.

È emblematico a questo proposito il carnevale di Lula ricostruito nel 2003 secondo le testimonianze degli inizi del secolo scorso, quando ancora si voleva vedere la vittima sanguinante perché il sangue doveva fertilizzare la terra. 

La maschera di Lula è chiamata Battileddu, lo stesso nome che aveva la maschera di Orune ormai scomparsa. A Lula si presenta ricoperta dalla pelle di un capro, porta pantaloni di fustagno con scarponi da pastore e sul capo si adatta una calotta con corna caprine, mentre la testa è ricoperta da un fazzoletto femminile. Tra le sue corna è infisso il rumine fresco e capovolto di un caprone e tiene legato alla vita su chentu puzone, un omaso colmo di sangue misto ad acqua dal quale il liquido rosso cola lentamente. Un tempo, a detta degli anziani, tutti si avvicinavano a pungere quest’omaso perché il sangue scaturisse abbondante per fertilizzare la terra.

Lo facevano con strumenti diversi, in particolare lepas e survas (coltelli e lesine). Una poesia scritta in sardo dal poeta nuorese Antoni Canzellu Porcu, nei primi decenni del Novecento, recita:

«Battile lugulesu puntu a surva…» (Maschera lulese punta con la lesina)

Questa figura, che fungeva da vittima sacrificale, tenuta legata alla vita e continuamente strattonata da guardiani, era seguita da uno stuolo di uomini vestiti da donna in lutto che ne piangevano l’imminente morte improvvisando attitos scherzosi e tingendosi l’un l’altro il volto col sughero bruciato.

Un altro gruppo di finte donne portava con sé bamboline di pezza smembrate, che mostravano alla gente dicendo: «Te’, basalu su pitzinnu» (Tieni, bacia il bambino), oppure veniva chiesto alle giovani che lo allattassero perché stava per morire.

Era una parodia del Dionisus Junior, cui seguiva il Dionisus adulto che lasciava intravedere tempi lontani, dove la passione della vittima nella sua fase cruenta era tutt’altro che finzione.

Il suo nome, Battileddu (da battile), significa straccio, sottosella, cosa inutile ed è usato con significato spregiativo, ma poiché lo si ritrova anche come toponimo, è da presumere che un tempo il significato fosse diverso e che il nome originario fosse Bathileios, cioè ricco di messi.

Con tale nome venivano indicate anche le erme, una sorta di simulacro della divinità.

In questo carnevale di Lula si assiste dunque a uno spettacolo cruento, giunto fino agli inizi del Novecento in tutta la sua crudezza, sopravvissuto per tema della siccità che spesso stava in agguato e che si credeva di scongiurare ripetendo ogni anno questo rito macabro di morte e rinascita, che doveva rappresentare una sorta di commemorazione della passione e della morte di Dioniso.

A esibirsi in questo ruolo di vittima venivano scelti degli individui considerati folli oppure dei poveracci che, dietro compenso, si prestavano alle torture, non sempre finte. In tempi lontani pare fossero i prigionieri di guerra deportati e adibiti ai lavori nelle vicine miniere.

È probabile che in questo paese si scegliessero queste persone perché considerate esca facile e poco pericolosa, non avendo chi potesse difenderle.

Le vittime da sacrificare, non dovevano avere alcun difetto fisico e dovevano essere sempre maschili. Questi concetti li troviamo espressi anche nella Bibbia.

Altri Battileddos si univano come buoi aggiogati guidati da un terzo individuo. Su Battileddu vittima era legato con delle funi perché non fuggisse cercando di sottrarsi al suo destino di morte.

Lo tenevano alcuni Battileddos issocatores, che indossavano il costume tradizionale dei contadini, spesso logoro e rattoppato. Al suo seguito vi erano altre maschere vestite da vedove, dette anch’esse Battileddos, che fingevano di piangere e improvvisavano degli attitos (lamenti funebri).

Di quando in quando la vittima veniva punta e cadeva a terra lasciando tracce di sangue e, dopo essersi rialzata, riprendeva il suo cammino fino a quando cadeva definitivamente morta. Alla fine veniva caricata su un carretto e le donne vestite a lutto piangevano cantando attitos.


Molti secoli fa il pianto delle donne al seguito delle maschere non era finto.

Si piangeva veramente la passione e la morte del dio, durante le Dionisie agresti, così come si piangeva la passione e la morte di Adone sventrato da un cinghiale.

Ma poi si gioiva, perché si sapeva che il dio sarebbe rinato con la vegetazione. Dalla vista del sangue che doveva richiamare la pioggia non si poteva prescindere. Per questa ragione tali rappresentazioni, vere e proprie tragedie, si sono perpetuate, anche se in forma attenuata, fino a quando è durata la società agro-pastorale, perché strettamente legate all’annata agraria.

Vederle oggi, riproposte nella maniera in cui apparivano un secolo fa, turba il nostro sentire di uomini del Duemila, non certo esenti da scene orride, ma ci turba perché non vogliamo riconoscerci in una società nella quale, nonostante l’orrore, quel rito era ritenuto necessario per la sopravvivenza della comunità. Queste scene ci fanno ancor più comprendere perché la Chiesa si è sempre opposta, fin dai primi secoli, a simili rappresentazioni, del tutto fuori dalla concezione cristiana.

E ci fanno anche comprendere perché, nonostante le comunità si dicessero cristiane, tali riti continuarono a perpetuarsi, interrotti in alcuni periodi, ma subito ripristinati quando la siccità si profilava all’orizzonte.

Fu soprattutto nel Settecento, vuoi per la continua e incisiva predicazione del gesuita Giovanni Battista Vassallo, vuoi per i reiterati pregoni delle autorità civili, che il rito venne sempre più modificandosi, in modo da attenuare le scene troppo cruente.

Perciò a molti fantocci che avevano il compito di sostituire la vittima e di essere bruciati in sua vece, venivano appese al collo delle vesciche piene di sangue, da pungere ogni tanto, così come venivano applicati pezzi di interiora.

Un tempo anche il fantoccio di Mamoiada, detto Juvanne ’e Martis Sero, nascondeva al suo interno l’intestino fresco d’un capretto o d’un vitello. Prima che il fantoccio bruciasse, tale intestino veniva estratto, fatto a pezzi e sparso qua e là, per auspicare la rinascita. Ma ai tempi del Vassallo questi pezzi d’intestino erano utilizzati per legare gli ossi di cui le maschere si caricavano le spalle. Riti così macabri sono ormai divenuti solo un pallido ricordo di vecchi che li hanno uditi, durante la loro giovinezza, da altri vecchi. Cose che appartengono al passato, ma che è bene sapere per meglio comprendere l’evoluzione avvenuta nel tempo."(Dolores Turchi) 


Tiziana Fenu 

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