Riti e culti
Lo storico romano Solino scrisse che i Sardi del suo tempo eseguivano rituali d’acqua per la guarigione delle fratture alle ossa e delle malattie agli occhi, nonché per le prove di ordalia:
«fontes calidi et salubres aliquot locis effervescunt, qui medelas adferunt aut solidant ossa fracta aut abolent a solifugis insertum venenum aut etiam ocularias dissipant aegritudines. Sed qui oculis medentur, et coarguendis valent furibus: nam quisquis sacramento raptus negat, lumina aquis attrectat: ubi periurium non est, cernit clarius, si perfidia abnuit, detegitur facinus caecitate, et captus oculis admissum fatetur»
(Solino, De mirabilis mundi, IV, 6-7)
Questo autore è spesso citato in riferimento al culto dell’acqua preistorico, nonostante egli sia vissuto nel III secolo d.C., in piena epoca romana imperiale, ma soprattutto oltre 1.400 anni dopo la nascita dei pozzi sacri, e non possa essere considerato una fonte utile per le vicende preistoriche
È anche errato l’accostamento ai cerimoniali battisteriali ebraico-cristiani o a quelli purificatori dei culti misterici: infatti non si hanno prove che le liturgie nei pozzi sacri, nelle rotonde, nelle vasche gradonate o nei vani con bacile, per esempio a Su Romanzesu (Bitti), Gremanu (Fonni) e Funtana Sansa (Bonorva) contemplassero dei bagni rituali, riti lustrali a immersione, come simbolo di iniziazione (ossia, d’inizio di una nuova vita).
La sovrapposizione dei culti di Demetra e Kore o di Eshmun/Esculapio in età punica, dei culti egizi di Iside o latini di Cerere in quella romana, la. cristianizzazione di vari siti sopravvissuti in età vandalica e bizantina, con i vari pozzi e fonti intitolati a santi e martiri, non è prova di similitudini religiose con le civiltà del Levante, della Palestina, del Nord Africa o con quelle italiche.
Perciò l’attuale letteratura archeologica sarda propina fantasiose interpretazioni su presunte attività nei templi per l’acqua, benché non sia noto in cosa esattamente consistesse il cosiddetto culto dell’acqua, e ancor meno quali possano essere state le convinzioni religiose sottostanti.
Come annunciato nel capitolo precedente, è pur verosimile che la venerazione non fosse rivolta all’acqua di per se stessa, ma a una o più divinità connesse con il prezioso liquido, anche con un ampio ventaglio di motivazioni: dalla richiesta della pioggia o della perenne e copiosa erogazione delle sorgenti, alla fertilità della terra, alla speranza di abbondanti raccolti e di molta prole, alla protezione durante la navigazione nel mare tempestoso (a quale scopo altrimenti le innumerevoli barchette in bronzo?), al favore nei commerci e negli scambi con popoli d’oltremare.
La determinazione delle divinità connesse alla religione protosarda del Bronzo Finale sarà possibile solo nella rivalutazione dei segni e dei simboli lasciati nei templi per l’acqua e nella rilettura dell’abbondante repertorio scultureo, allo stato attuale ancora sopraffatto da concezioni tanto semplicistiche quanto infantili (“la madre dell’ucciso”, “la pietà”, “il capotribù”, “la lucerna”, etc.).
Sono stati rintracciati depositi di offerte votive in 33 siti, di varie dimensioni e importanza, che spaziano da pochi frammenti a grandi quantità di materiali relativamente ben conservati.
(...) Tracce di pratiche sacrificali, oppure di offerte di cibo o di consumo rituale possono essere considerati gli altari, i focolari, i bronzetti raffiguranti i preparativi al sacrificio, le donazioni di cibo di origine animale, i resti di ossa di animali macellati e bruciati. Ossa di animali combuste sono state trovate in cinque siti: Serra Niedda (Sorso), Mitza Pidighi (Solarussa), Funtana Coberta (Ballao), Cuccuru Nuraxi (Settimo San Pietro), Santa Vittoria (Serri)
A Santa Vittoria (Serri), non nel pozzo, ma intorno all’altare della cosiddetta capanna delle riunioni, per circa 2 m e con uno spessore di 40 cm si estendeva il banco di ceneri con i resti di sacrifici animali (bovini, capre e cinghiali), con del vasellame in frantumi (sia locale che punico), oltre a vari bronzetti votivi corrispondenti proprio agli animali realmente sacrificati, ossia tori, vacche, cinghiali e capre.
Tali resti fanno tuttavia pensare a frequentazioni di epoca storica e non già d’Età del Bronzo, sia per la presenza di terrecotte puniche, che per l’affinità con il rito di purificazione – praticato da Romani e Greci, ma di origine indoeuropea – dei suovetaurilia, ovvero il sacrificio di un maiale (sus), di un montone o agnello (ovis), e di un toro (taurus). Il rito è ricordato in due episodi dell’Odissea, quando l’indovino Tiresia esorta Ulisse a immolare un maiale, un montone e un toro al dio Poseidone (Omero, Odissea, XI, 131 e sgg.), e quando si parla del medesimo sacrificio alla corte del re dei Feaci (Omero, Odissea, VIII, 59-60).
A Serra Niedda (Sorso), l’analisi ha rivelato una selezione di ossa, crani e corna, mentre a Funtana Coberta (Ballao) erano stati sacrificati solo animali molto piccoli, a quanto pare a temperature molto elevate.
In tre siti sono stati trovati bronzetti che sembrano rappresentare i preparativi per il sacrificio di animali: a Su Tempiesu (Orune), un agnello viene trasportato sulle spalle di un uomo, a Serra Niedda (Sorso), un piccolo ariete o muflone è portato al guinzaglio da un uomo armato, e a Santa Vittoria (Serri), benché il reperto provenga dal recinto attiguo al pozzo, un maialino è tenuto a testa in giù.
Altri bronzetti, sempre da Santa Vittoria (Serri), da Serra Niedda (Sorso) e da Matzanni (Vallermosa), illustrano delle figure intente a reggere quella che sembra essere una pagnotta.
Focolari sono stati identificati in altri tre siti, a Noddule (Nuoro), Mitza Pidighi (Solarussa), Cuccuru Nuraxi (Settimo San Pietro), e in questi ultimi due sono state rinvenute anche tracce in situ di animali combusti61. Pozzi rivestiti di pietra sono documentati in quattro siti: Sa Testa (Olbia), Santa Vittoria (Serri), Sant’Anastasia (Sardara) e Cuccuru Nuraxi (Settimo San Pietro). A Santa Vittoria (Serri), che ha prodotto abbondanti frammenti di ceramica di colore chiaro, e a Cuccuru Nuraxi (Settimo San Pietro), la ceramica era mescolata con ossa di animali e conchiglie marine, forse legate a libagioni rituali.
(...) Si ignora se la fede religiosa dei Nuragici coinvolgesse spiriti, divinità e/o altre entità, oppure concetti astratti. L’arte sacra nuragica era in gran parte aniconica (ossia rinunciava a una raffigurazione oggettiva), e perciò l’assenza di iconografia non aiuta la comprensione della mitologia. Costituiscono un’eccezione i bronzetti, solo a partire dal Bronzo Finale, e la statuaria monumentale, anch’essa una singolarità e peraltro in una necropoli dell’Età del Ferro (Mont’e Prama-Cabras).
Se anche si propongono similitudini tra la forma dei templi protosardi, per esempio, a megara con quella degli analoghi templi greci in antis, bisogna evidenziare una basilare discordanza: nella cella del tempio greco, come di quello fenicio o etrusco, era inserita una statua del nume, mentre per il tempio sardo, che sia a pozzo, o a fonte, o a megara, o a capanna lustrale, non è agevole specificare quale fosse realmente l’oggetto del culto. Le forme d’arte aniconica di entità ultraterrene potrebbero, comunque, fornire un’autorevole valutazione dell’area del culto e del centro dei rituali religiosi, se ragionevolmente identificate come tali e trovate in situ.
Per esempio, raffigurazioni di poteri soprannaturali si possono osservare nei semplici betili, presenti in quattro siti, quali Serra Niedda (Sorso), Su Romanzesu (Bitti), Abini (Teti), Santa Vittoria (Serri), escludendo quello del pozzo di San Salvatore (Figu-Gonnosnò), in quanto parte del successivo ampliamento punico del tempio. Betili-torre (interpretati come “modelli di nuraghe”) furono rinvenuti nei siti di Irru (Nulvi), Matzanni (Vallermosa), Predio Canopoli (Perfugas), Sa Carcaredda (Villagrande Strisaili), Sant’Anastasia (Sardara), Santa Vittoria (Serri), Serra Niedda (Sorso), Su Monte (Sorradile) e diversi altri.
Altre rappresentazioni sacre sono le teste di animali scolpite in altorilievo su blocchi di facciata, rinvenuti in quattro siti: Irru (Nulvi), Gremanu (Fonni), Santa Vittoria (Serri), Serra Niedda (Sorso). In particolare, a Santa Vittoria (Serri), Serra Niedda (Sorso) e Cuccuru Mudeju (Nughedu San Nicolò) le protomi raffigurano arieti e tori, tematiche rappresentate anche nei bronzetti e forse significative nella mitologia e nella pratica sacrificale.
Si suppone – almeno per Sa Sedda ‘e sos Carros (Oliena), dove protomi ovine (ariete e/o muflone) sono presenti nella capanna con il bacile lustrale, per Gremanu (Fonni), nella vasca e nel focolare del tempio “rotondo”, per Arcu ‘e is Forros (Villagrande), nel prospetto di un altare in pietra del secondo megara – che il muflone e l’ariete fossero in qualche rapporto con le divinità dell’acqua.
Oltre agli esempi citati, è interessante ricordare nella bronzistica anche il toro con corna troncate proveniente dal pozzo sacro di Predio Canopoli (Perfugas) e il muflone dal pozzo di Camposanto (Olmedo), affiliato al cosiddetto stile geometrico dell’arte nuragica. Le sculture in bronzo attestano l’offerta e la consumazione, oltre che di sacrifici animali, anche di pani rituali, e l’assunzione di bevande alcoliche (probabilmente vino): i riti contemplavano altresì la composizione di brani musicali (suonatore di cetra da Monte Sirai-Carbonia; suonatore “itifallico” di piffero da Ittireddu) e di canti (cantore da Santa Lulla-Orune).
Bisogna sottolineare, tuttavia, che mentre la ricomposizione delle consuetudini religiose (disposizione e preparazione delle offerte, probabili bevande rituali) è deducibile dai reperti di scavo, rimarranno ignoti per sempre gli aromi, l’arredo sacro, le bandiere e i drappi, il calendario delle feste comandate, i paramenti e gli ornamenti cerimoniali, le danze sacre, le decorazioni, le espressioni liturgiche, le invocazioni, le profezie, le suppliche e le orazioni, le formule magiche (benedizioni, maledizioni, consacrazioni), le liriche, i canti e le ballate, le mosse rituali, le musiche e ritmi, i tempi e le pause.
Tratto da "POZZI SACRI. Architetture preistoriche per il culto delle acque in Sardegna" di Massimo Rassu
Maldalchimia.blogspot.com
Nell'immagine Fonte Sacra "Su Tempiesu" di Orune
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