Non inseguo.
Non rincorro.
Disposta
a morire mille e più volte.
Dalle vette agli abissi.
Senza identificazione.
Non mi sono mai
abituata a me stessa.
Figuriamoci agli altri.
Come un cuore
che si svuota ogni volta.
Finché l'ultima goccia di sangue
ne è stata distillata.
Come capinera selvatica
al suo ultimo Canto d'Amore
su crinali di corallo
affilati di vento e di estasi.
Senza più chiedere
a chi non può
e non vuole dare risposte.
Non ho mai bevuto
la mia stessa acqua avvelenata.
Ho imparato a scorrere.
A lasciar fluire.
Fino a dissanguarmi.
I Doni
riescono ad essere anche severi.
Ma solo perché
ne valgono sempre il prezzo.
L'ovvio, la certezza,
anestetizzano il pathos.
Gestire il Fuoco
non è per tutti.
Non deve far danni.
Non si deve esaurire
in una Fiammata.
Deve ardere.
Rinnovandosi e rinnovando.
Continuamente.
Non deve bruciare
tutto l'ossigeno.
Ho imparato
ad andare a ritroso
sui miei stessi passi.
Come orme sulla neve
sulle quali nevica
dal mio stesso cuore.
Fino a smarrirmi.
A diventare invisibile.
Invivibile.
A non avere più certezze.
Se non l'esatto punto in cui ero.
Si impara a stare.
Il punto di massima tensione
nello squilibrio dell'oscillare.
Del non essere.
Un cuore aggrovigliato
come un pesce
nella sua stessa lenza.
Finché non riemerge e respira.
Finché non scopre
una nuova luna.
Un nuovo grembo.
Come una lente di rugiada.
Una distesa di cenere iridescente
nella quale incastonarmi
e d'Incanto adornarmi.
Tiziana Fenu
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