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mercoledì, giugno 02, 2021

💛Janas. Claudia Zedda

 Le janas

I particolarismi sardi e le differenziazioni locali isolane non sono certo una novità, ma quando si parla di creature fantastiche e di nomi con i quali queste vengono riconosciute, la varietà è pressoché sorprendente. Tutto vero anche quando parliamo di fate sarde, che convenzionalmente chiamerò janas, il nome statisticamente più utilizzato per definirle.

Merita comunque ricordare che le janas sono anche bajane e ajane[38] a Lodine, Lodè, Mores, Bonorva, Rebeccu, Ozieri, Pattada, Buddusò e dintorni, fadas[39], ma anche birghines e virghines[40] nel nuorese[41].

Mentre jana, bajana e ajana suonano come varianti di un medesimo nome, fadas e janas, sono probabilmente due tipologie etimologiche differenti.

Le differenze non si esauriscono solamente nel nome, visto che in base a questo sono diversi i tratti fisici che le caratterizzano e le dimore nelle quali abitano. Normalmente le fadas vengono descritte come donne dalla statura normale non necessariamente abitatrici delle domus de janas, che per altro nel Logudoro sono chiamate anche furrighesos o coronas, abitate non solo da fadas, ma anche da indios, nanos e irribios[42]. L’analisi del nome ci può aiutare anche a scoprire qualcosa di più su queste misteriose creature: sia bajana che bazana sono due termini che dialettalmente vengono usati per indicare una donna nubile, proprio come birghines e virghines che indicherebbero entrambi una donna vergine e dunque nella Sardegna tradizionale anche una donna nubile.

Le stesse leggende dipingono le janas come creature fantastiche nubili e vergini. In merito all’etimologia di jana molti si sono espressi a favore della teoria che vede il termine degradazione di Diana, antica divinità romana, che fu oggetto di culto anche in Sardegna. Solo con il subentrare della religione cristiana la divinità femminina, lunare, protettrice delle donne e dei parti, venne relegata al ruolo di entità malefica e demoniaca. Uno stesso percorso la parola Diana la subisce anche in Romania dove Diana è divenuta Zina.

Nelle Asturie invece si parla di xana e in Portogallo di ja. Nell’antico provenzale invece si conservava il termine jana con il quale si intendeva curiosamente l’Incubo e in francese antico si parlava comunemente di gene. In Toscano jana è strega, mentre in napoletano strega è janara[43].

Delle somiglianze quanto mai esplicative: jana è strega o Incubo in buona parte del territorio romanzo, figura femminile che subisce demonizzazione fino a diventare spauracchio. Una volta creata la connessione fra Diana e jana, è importante ricordare che la divinità non era solo protettrice delle donne, ma anche e soprattutto delle vergini: requisito fondamentale per diventare sua sacerdotessa era guarda caso, come accennato poc’anzi nel caso delle janas, essere nubili e vergini, per dirla alla maniera sarda birghines e bajane.

E’ inoltre interessante notare come nel Logudoro jana è anche il nome della mantide religiosa e ad Oristano è un piccolo insetto bianco.

Nel nuorese la jana ‘e mele, è la dannosa bestiola nota ai più con il nome di donnola, mentre in Ogliastra e nel Sarcidano, margiana (mala jana) è termine molto vicino al più noto margiani, la volpe.

Molto più raramente le janas possiedono nomi proprio: l’unico che ho avuto modo di riscontrare è quello di chiriga, cirriaca, termini che in greco antico indicherebbero “colei che ha il potere”[44]. L’evoluzione del termine jana non si è ancora fermato, tanto che non di rado diventa sinonimo di strega[45].


Le abitazioni

Convenzionalmente le domus de janas sono considerate le abitazioni delle janas: per quanto si tratti di tombe ipogeiche scavate nella roccia, i commentatori sono dell’opinione che vuoi per le loro dimensioni ridotte, vuoi per quei tratti che le facevano somigliare molto da vicino a case in miniatura, il sardo abbia immaginato che queste fossero abitate da piccoli esseri fantastici. E’ mia convinzione che il legame esistente fra le domus de janas e le janas sia da ricercare soprattutto nel fatto che all’interno delle tombe ipogeiche si svolgevano rituali di rigenerazione e di rinascita legati al culto della Dea: i morti come semi venivano abbandonati nel grembo della Dea (spesso in compagnia di qualche statuina votiva) in attesa di un’eventuale rigenerazione - rinascita.

La connessione fra Dea e janas, già dimostrata sopra, può aver spinto il sardo a mantenere il legame fra domus de janas e janas anche quando il significato di questo legame fu perso: le domus divennero allora case delle janas perché piccole e in forma di fata, ma da raccontare ci sarebbe molto di più. L’etimo domus de janas dovrebbe comunque risalire all’epoca della dominazione romana in Sardegna[46].

In alcuni casi la dimora delle janas è il nuraghe, costruzione imponente tronco conica molto diffusa sul territorio sardo. Quando le leggende raccontano di janas abitanti dei nuraghes, queste vengono descritte come delle vere e proprie gigantesse, proprio come la dimora richiede. La più famosa fra le gigantesse intesa in alcuni casi jana è Giorgia Raiosa.

Ma le fate sarde non sono solamente gigantesse o minuscole donnine, la tradizione prevede anche un’interessante via di mezzo: in questo caso le janas ricordano nelle dimensioni le donne sarde, vivono nelle grotte, nei pressi di edifici diroccati o ruderi di castelli, e non disdegnano di abitare il sottosuolo: questo divenne loro dimora abituale quando, cambiato lo spirito degli uomini, la loro vita in superfice aveva fatto il proprio tempo[47].

Non è raro il caso di leggende che raccontino di janas che abitino i pressi di fonti o di rocce dalle forme caratteristiche e nei dintorni di dolmen, pietre megalitiche localmente ritenute magiche. La più famosa jana che vive in una grotta naturale è la Sabia Sibilla, abitatrice della grotta del Carmelo, ad Ozieri, all’interno della quale la fata se interpellata, può prevedere il futuro.

Molto suggestive le leggende che raccontano delle janas abitanti de Sa Pedra Mendalza a Giave: la sua conformazione deve aver stimolato presto la fantasia degli abitanti della zona. Si tratta di un’emergenza di basalto, che nella forma ricorda molto da vicino un fungo gigantesco.

Da questa struttura parte “Su camminu ‘e sas fadas[48]”, una lunga striscia di basalto, prodotta dal magma raffreddatosi, che è molto simile ad una piccola e tortuosa stradina, larga poco più di un metro. Questa colata scura è caratterizzata dalla presenza di due più piccole impronte chiare che secondo alcune leggende ricorderebbero dell’antico passaggio della Madonna. L’interferenza cristiana è palese e quel ruolo sacro che oggi è della Vergine, è probabile che in passato fosse appunto delle janas.

I dettagli non si concludono certo qui: nella parte posteriore della Pedra Mendalza venti e piogge, anni e sorte, hanno scavato quella che nella fervida immaginazione dei sardi è diventata porta d’accesso al regno delle janas. Era appunto da lì che fuoriuscivano per recarsi in paese quando ancora i contatti con gli uomini erano cosa comune[49].


Tratto da : "Creature fantastiche in Sardegna" di Claudia Zedda


Immagine : Sa Pedra Mendalza, Giave(Ss), un monolite di basalto, che è la parte rimanente di un condotto vulcanico di due milioni e mezzo di anni fa, chiamato nek, secondo la stima del geologo Luigi Sanciu.

La lava basaltica, poi, raffreddandosi, ha dato origine a queste crepe che danno l'impressione di un muro costruito da pietre basaltiche squadrate


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Janas. Claudia Zedda




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