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domenica, gennaio 01, 2023

💛Importanza sociale de Su Candelarzu

 Anche se ho già approfondito riguardo la tradizione de "su candelarzu" di fine anno, sono rimasta molto colpita da questo scritto, che descrive una società, come quella della nostra civiltà sarda, estremamente attenta all'armonia, all'equilibrio, all'unione degli opposti, a non creare gerarchizzazioni a livello sociale, dislivelli tra ricchi e poveri. 

Una società basata sullo scambio, sul senso di uguaglianza, sull'aiuto reciproco, sull'armonia e sulla bellezza. 

Sulla continuità tra la vita e la morte. 

È sempre stato così. 

I nostri luoghi sacri, come le Domus de Janas, i nuraghi, le Tombe dei Giganti, i pozzi sacri, esprimono totalmente questo concetto di continuità di fluidità, di estrema armonia ed equilibrio, e questo, non poteva che essere un riverbero di una società altamente evoluta, senza discriminazioni, che ancora oggi offre il suo imprinting nelle tradizioni, come queste del 31 dicembre, che ancora sopravvivono, a dispetto del tempo e delle circostanze, portando avanti quel senso di orgoglio, di "balentia", di valore, che contraddistingue questa nostra Sacra civiltà, fondata sul senso di eguaglianza e collaborazione.

E chi non collabora, non è degno di far parte della società, senza mezzi termini.

La questua, come veicolo di armonizzazione comunitaria. Come momento di incontro e di scambio.

Come possibilità di appartenenza e uguaglianza, dall'alto valore simbolico. 


"La "candelarìa" è l'offerta di un pane del 31 dicembre (cocòne), appositamente preparato, insieme a frutta, biscotti, danaro: una consuetudine che a Orgosolo è ancora vivissima, attesa con impazienza da tutti i bambini e predisposta con impegno dalla gran parte delle famiglie.

Il "cocòne" viene approntato, per la massima parte, nei giorni immediatamente precedenti il 31, in casa, da gruppetti di donne aventi rapporti di parentela e di buon vicinato. È composto di farina di grano duro (sìmula) impastata con lievito, acqua tiepida, sale e strutto. 

[...] Ai bambini verrà donato un quarto - ma talvolta anche due - dell'intera "tundìna", vale a dire un "cocòne". Attualmente la gran parte delle famiglie destina a "sa candelarìa" tre "càrtos" di grano; poiché da ogni "càrtu", che equivale a 20 kg, si ottengono mediamente 40 "tundìnas", ogni casa ne avrà a disposizione 120 circa, ovvero 480 "cocònes".

[...] Oltre a procedere alla cottura del pane, nei giorni precedenti il 31 si provvede ad acquistare cassette di frutta e scatole con pacchi di biscotti: pur nella diversità di capacità economiche nessuna famiglia, salvo gravi impedimenti, vi rinuncia. Anche le famiglie colpite da lutti recenti preparano il pane che viene però offerto senza dolci né frutta.

La partecipazione alla questua è riservata ai bambini e alle bambine dai 4 ai 12 anni circa; si ha perciò un'età compresa tra due momenti di passaggio; il primo sancisce l'acquisizione di un'autonomia motoria extra familiare e di una capacità di raccolta e trasporto (i sacchetti, in genere federe per cuscino, se pieni, arrivano a pesare diversi chili) e, dunque, indica il superamento della prima infanzia e l'ingresso nella fanciullezza; il limite superiore dei 12-13 anni ne stabilisce la fine e nel contempo segna l'avvio della fase adolescenziale

[...] Dopo mezzogiorno, aiutati dai genitori o dai fratelli più grandi, i bambini recuperano i doni dai punti d'appoggio, provvedendo infine alla conta finale dei soldi, e in generale alla verifica di quanto raccolto. Non è infrequente che riescano a guadagnare cifre di 300-400mila lire, che vengono requisite dai genitori per destinarle ad acquisti, di abbigliamento ed altro, normalmente, per i bambini stessi.

La candelarìa non è comunque finita; essa avrà infatti un'importante appendice notturna, questa volta effettuata da gruppi di adulti, donne e uomini, e interesserà soltanto le case degli sposi dell'anno che sta per finire.

A partire dalle nove fino alle due o le tre del mattino, dunque, gruppi delle dimensioni e componenti più svariate, che, talvolta, nei pressi delle case degli sposi, divengono una vera e propria folla, attraversano le strade e i vicoli del paese, quasi sempre al buio in conseguenza di un'attività di abbattimento delle lampadine pubbliche, tanto puntuale da fare anch'essa parte della tradizione.

[...] L'uso di andare a cantare la "candelarìa" agli sposi novelli risale a circa trent'anni fa. Fino ad allora, a memoria d'uomo, lo questua si effettuava nelle case benestanti del paese da parte della popolazione povera, che, come è facile immaginare, costituiva la gran parte degli abitanti di Orgosolo. Si trattava, dunque, di una vera e propria elemosina molto attesa dalla popolazione e, in un certo senso, sentita come doveroso obbligo dai ceti più abbienti.

[...] Una visita in quelle case fortunate, spesso ripetuta grazie all'anonimato, consentiva di raccogliere una discreta quantità di pane "bianco", di ottima qualità e, non infrequentemente, anche un po' di lardo e salsicce.

I più anziani ricordano che la "candelarìa" notturna veniva nel passato frequentata anche da gente povera del circondario (Oliena, Mamoiada, Fonni) che evidentemente non poteva permettersi di rinunciare alla possibilità, certamente assai rara, di ricevere gratuitamente alimenti preziosi. Le parole del canto che si riporta di seguito, tuttora eseguito, parrebbero indicare che il dono della "candelarìa" venisse consapevolmente vissuto come un'operazione di ridistribuzione di beni tendente a ricostituire uno stato di eguaglianza tra gli abitanti del paese:


Bona notte bos det Deus

E annu bonu a s'intrada

Cun bonu gustu e recrèu

La colezes cust'annada

Sa mese est apparizàda

Pro facher sa caritade

Tottu bos aggualades,

Sos riccos chin sos povèros

Cando su Re de sos chelos

S'est cherfidu aggualare

A tres chidas de Nadale


Una buona notte vi dia Iddio

E un buon inizio d'anno

Con soddisfazione e piacere

La trascorriate, quest' annata

La tavola è imbandita

Per fare la carità

Tutti quanti diventate uguali,

I ricchi con i poveri

Quando il Re dei Cieli

Ha voluto uguagliarsi (all'uomo)

Nella terza settimana di dicembre.


Nel nome di Gesù Bambino i ricchi e i poveri diventavano uguali; un rifiuto alla contribuzione, e dunque ad accogliere il messaggio del canto, veniva mal tollerato: una risposta negativa (a perdonare), magari mandata attraverso una porta chiusa, provocava nei questuanti imprecazioni e parole di malaugurio.

Il generale miglioramento delle condizioni economiche del paese ha determinato l'abbandono della questua notturna nelle case dei "ricchi" del paese e ne ha modificato il significato e lo funzione.

Con la visita agli sposi, oggi, il paese prende atto, in misura ancora più ampia di quanto non abbia potuto fare in occasione del matrimonio, della costituzione di un nuovo nucleo familiare e, in maniera affettuosa e corale, ne riconosce e ne sancisce l'appartenenza alla comunità umana e all'universo culturale orgolese.

La tradizione delle questue di capodanno nell'isola, specie condotte da bambini, è attestata in diversi scritti del secolo scorso. Per quanto attiene al territorio che più direttamente qui interessa, vengono riportate notizie dal Ferraro e dalla Deledda.

Il Ferraro definisce il "candelariu" come "Dono delle Calende di Gennaio" (donum candelarium) consistente in frutta secca, dolciumi, ecc. La Deledda, sempre riferendosi a Nuoro, fornisce una descrizione del pane che veniva offerto ("piccolo, bianco, frastagliato, lucido, in forma di uccello e di altri animali"); inoltre informa come i bambini, nel caso di una risposta negativa fossero soliti reagire: "Se il candelariu viene negato, i ragazzi, indispettiti, si allontanano gridando:

A nolla dazes sa candeledda

Cras a manzanu

in terra nighedda.

Non ce la date la candeletta?

Domani mattina

possiate trovarvi in camposanto".


Al 1912 risale una breve descrizione della questua dei bambini di Olzai detta "candelarzu", pubblicata da Pietro Meloni Satta: "L'alba del 31 dicembre dell'anno che scompariva, ansiosamente attesa, veniva salutata con gioia dei ragazzi del paese. Essa portava il dì de su candelarzu. Al primo albeggiare quei vispi ragazzetti lasciavano la stuoia o il lettuccio, infilavano l'uscio, e si davano a correre di casa in casa, allegri e spensierati ... Cotesta allegria, cotesta festa fanciullesco, era pro su candelarzu ... Le massaie si facevano premurose alla porta per accontentare i vispi ragazzetti, con abbondanti manciate di mandorle, noci, nociuole, castagne, uva passa".

Il Meloni Satta si avventura nell'ipotesi che "candelarzu" derivi da candela e che quindi significhi "questua con candele".

Max Leopold Wagner, dopo aver citato il Ferraro e il Calvia ne "La vita rustica", ritorna su questi autori nel "Dizionario Etimologico Sardo", trattando del termine Kandelariu: "Specie di focaccia figurata che si regala ai ragazzi e ai poveri in occasione del Capodanno: donum calendarium".

La data di svolgimento della "candelarìa" di Orgosolo, lo status sociale dei suoi protagonisti, le formule e l'oggetto della richiesta, consentono di inserire la manifestazione nella vasta e ben nota casistica di cerimonie che a partire dall'autunno e fino al Carnevale accompagnavano - e talvolta ancora accompagnano – i tanti "Capodanni" delle società tradizionali europee: Ognissanti, San Silvestro/Primo Gennaio, l'Epifania, ecc. La letteratura storico-etnologica offre al riguardo un repertorio vastissimo e riferirne diffusamente andrebbe oltre le finalità del presente scritto.

Si vuole, però, brevemente accennare ai principali elementi comuni caratterizzanti tali manifestazioni.

La pressoché totalità delle questue, in qualsiasi paese si svolgessero, era condotta da bambini, da poveri, da stranieri o da donne, vale a dire da categorie sociali per un verso o per l'altro (età, condizioni economiche, pregiudizi culturali) caratterizzate da uno status di "alterità", quando non di subalternità. Inoltre, la richiesta di pane, dolci, vino, ecc., era generalmente contraddistinta da atteggiamenti ricattatori, e minacciosi (talvolta si effettuavano dei veri e propri furti) accompagnati da riferimenti più o meno diretti alla morte e alla vanità della vita umana e dei beni terreni.

Un esempio significativo di quanto si va dicendo è offerto dal testo scozzese del XVII secolo citato da Levi-Strauss, che riporta le parole che venivano pronunciate dalle bande di ragazzi in occasione della questua di Natale: "Muoviti buona donna e non essere pigra / nel preparare il tuo pane per il tempo che sei qui (in vita) / Verrà il tempo che tu sarai morta e non avrai bisogno né di grano né di pane".

L'evocazione della morte per dare forza alla richiesta di contribuzioni si ritrova nei più disparati contesti geografici e storici: dalle parole dei bambini statunitensi nelle questue per Ognissanti (Halloween) ai testi delle Koliady cantate dai giovani ucraini nel periodo di Natale.

In questo quadro si può agevolmente inserire anche un gran numero di questue della tradizione sarda. Oltre naturalmente a quelle assai più esplicite nella loro denominazione quali "su mortu-mortu", come veniva chiamata la questua di Ognissanti, si può citare, a titolo di esempio. 

Il rapporto bambini/questue natalizie/mondo dei morti è chiarito da Levi-Strauss nel breve quanto considerevole saggio del 1952 "Babbo Natale suppliziato".

Dopo aver ricordato che le questue dei bambini nell'Europa tradizionale non sono limitate al Natale ma hanno un significativo avvio nella questua di Halloween, Levi-Strauss nota che: "Il progredire dell'autunno, dal suo inizio sino al solstizio che segna il salvataggio della luce e della vita, si accompagna quindi, sul piano rituale, a un movimento dialettico le cui principali tappe sono: il ritorno dei morti, la loro condotta minacciosa e persecutrice, la fissazione di un modus vivendi con i vivi che consiste in uno scambio di servigi e di doni, infine il trionfo della vita quando, a Natale, i morti ricolmi di regali abbandonano i vivi per lasciarli in pace sino all'autunno successivo... Ma chi può mai impersonare i morti, in una società di vivi, se non tutti coloro che, in un modo o nell'altro, sono incompletamente incorporati al gruppo, ossia partecipano di quella "alterità" che è il segno distintivo del supremo dualismo, quello fra morti e vivi?

Non stupiamoci dunque nel vedere gli stranieri, gli schiavi e i bambini diventare i principali beneficiari della festa. L'inferiorità di statuto politico o sociale, la disuguaglianza delle età forniscono al riguardo criteri equivalenti... Non è quindi sorprendente che Natale e Capodanno (suo doppione) siano feste degli altri, poiché il fatto di essere altro è la prima immagine ravvicinata che possiamo rappresentarci della morte".

La pertinenza di tale autorevole ragionamento interpretativo alla Candelarìa viene confermata anche dalle ragioni che consentono lo partecipazione alla manifestazione, con la preparazione del pane e l'accoglienza ai bambini, anche delle famiglie colpite da lutti e da disgrazie recenti (situazioni che impongono normalmente l'astensione dalle feste): si dice, infatti, a Orgosolo, che il pane si fa per le anime: "Est pro sas animos"; attraverso i bambini, dunque, si trasmette un dono ai defunti. Dato per acquisito questo punto, niente, tuttavia è dato di sapere sulle ragioni per le quali un rituale la cui struttura organizzativa risulta presente nelle lontane feste del calendario romano, Saturnalia e Calende di Gennaio in primo luogo, possa essersi conservato negli elementi fondamentali fino ai nostri giorni.

Rimane tutto da chiarire in che modo lo diffusione e l'affermarsi del Cristianesimo, al di là delle opposizioni conclamate, possano averne determinato, nella lunga durata, la sopravvivenza.

E, ancora, va sicuramente approfondito l'esame del ruolo svolto, nella lunga storia attraverso i secoli di questa tradizione, dalla componente ludica, di godimento comunitario presente nel breve momento di rappresentazione di un'utopica società di eguali.


(da P. Piquereddu, "La Candelarìa di Orgosolo" in In nome del pane. Forme, tecniche, occasioni della panificazione tradizionale in Sardegna, Sassari, ISRE, 1991

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