La Dea è una donna snella e affascinante, col naso aquilino, il volto di un pallore mortale, le labbra rosse come le bacche del sorbo selvatico, gli occhi straordinariamente azzurri e lunghi capelli biondi.
Può tramutarsi d’un tratto in scrofa, cavalla, cagna, volpe, asina, donnola, serpente, gufo, lupa, tigre, sirena o ripugnante megera. Innumerevoli sono i suoi nomi e titoli.
Nelle storie di fantasmi figura spesso come la «Signora Bianca» e nelle religioni del mondo antico, dalle Isole britanniche al Caucaso, è la «Dea Bianca».
Non mi viene in mente nessun vero poeta, da Omero in poi, che non abbia dato una descrizione della propria esperienza di lei. Si potrebbe dire che l’autenticità della visione di un poeta si misura sull’accuratezza del ritratto che egli dà della Dea Bianca e dell’isola ove essa regna.
Il motivo per cui mentre si scrive o si legge una vera poesia i peli si rizzano, gli occhi si velano di lacrime, la gola si contrae, la pelle si accappona e un brivido corre lungo la spina dorsale, è che una vera poesia è necessariamente un’invocazione della Dea Bianca o Musa, la Madre di tutti i viventi, l’antica forza della paura e della concupiscenza –il ragno femmina o l’ape regina il cui abbraccio è mortale.
Housman dice anche che la vera poesia è quella che corrisponde alla seguente dichiarazione di Keats: «Tutto ciò che mi rammenta di lei mi trafigge come una lancia», frase che si adatta parimenti al Tema. Keats la scrisse sotto l’ala della morte a proposito della sua Musa, Fanny Brawne; e la «lancia che ruggisce in cerca di sangue» è l’arma tradizionale dell’oscuro carnefice e successore.
Talora, leggendo una poesia, avviene che i peli si rizzino per una scena priva di persone e di avvenimenti, se gli elementi che la compongono rivelano con sufficiente chiarezza la presenza invisibile della Dea: per esempio quando i gufi stridono, la luna scivola come una nave tra un rincorrersi di nuvole, gli alberi stormiscono adagio sopra una impetuosa cascata e si sente un lontano latrare di cani; o quando un improvviso scampanio nella notte gelata annuncia la nascita dell’Anno Nuovo.
La poesia classica, che pure sa dare profonde soddisfazioni sensoriali, non fa mai rizzare in testa i capelli o accelerare i battiti del cuore, se non quando viene meno alla decorosa compostezza che le è propria. Questo è dovuto appunto al diverso atteggiamento del poeta classico e del poeta vero nei confronti della Dea Bianca.
Tratto da "LA DEA BIANCA Grammatica storica del mito poetico" di Robert Graves
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