Cominciavo a comprendere l’improvviso interesse del maestro Torriani.
Anni prima il nostro amato superiore aveva condannato i lavori del pittore Sandro Botticelli, a causa di un sospetto simile.
Lo aveva accusato di usare immagini ispirate a culti pagani per illustrare opere della Chiesa, anche se la sua denuncia racchiudeva qualcosa di più. Grazie agli informatori di Betania, Torriani aveva saputo che Botticelli, nella Villa di Castello della famiglia Medici, aveva rappresentato l’arrivo della primavera utilizzando una tecnica “magica”.
Le ninfe che ballavano nel quadro erano state disposte come parti di un gigantesco talismano.
Più tardi Torriani aveva scoperto che Lorenzo di Pierfrancesco, il mecenate di Botticelli, gli aveva chiesto un amuleto contro la vecchiaia: il quadro era quindi una sorta di rimedio magico. In realtà racchiudeva un intero trattato contro il trascorrere del tempo, inclusa metà degli dei dell’Olimpo che danzavano contro l’avanzata di Cronos. E pretendevano di far passare per devota un’opera simile, proponendola come decorazione per una cappella a Firenze!
Il nostro maestro generale aveva scoperto l’infamia in tempo.
La chiave gliel’aveva fornita una delle ninfe della Primavera, Cloris, rappresentata con un ramoscello fiorito che le spuntava dalla bocca. Quello era il simbolo inequivocabile del “linguaggio verde” degli alchimisti, di quegli uomini alla ricerca dell’eterna giovinezza impregnati di idee spurie, che il Sant’Uffizio perseguiva dovunque facessero capolino.
Anche se a Betania non riuscimmo mai a decifrare i particolari di quel linguaggio misterioso, era bastato il sospetto perché quel quadro non venisse mai esposto in una chiesa.
Tratto da Javier Sierra "LA CENA SEGRETA" Edizioni DeA Planeta
Sandro Botticelli, Allegoria della primavera, 1477-1490 circa
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