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mercoledì, aprile 07, 2021

💛Aprile, simbologia

 "In Sardegna abbiamo già notato che i Capidanno erano tre, a Gennaio, a Pasqua, a Settembre."


Sappiamo che questa ricorrenza della Pasqua deve avvenire la domenica successiva alla prima luna piena che segue l'equinozio di primavera (21 marzo). Ne consegue che deve essere sempre compresa tra il 22 di marzo e il 25 di aprile.

 Ricordiamo, come sottolineato dai miei post sul pozzo di Santa Cristina, che il ricercatore Sandro Angei , basandosi sugli studi del prof. Lebeuf( autore del libro " Il pozzo di Santa Cristina un osservatorio lunare") sul carattere lunare del tempio, ha rilevato nei suoi studi, che il pozzo di Santa Cristina fu costruito nel 1000 a. C.  per celebrare una data ben precisa, il 21 di aprile, (quindi legato al culto del Sole, più che della luna, perfettamente in linea con l' importanza che aveva il Dio Toro/Sole) momento in cui si può osservare se la raccolta del grano sarà abbondante o meno. 


Il 21 di aprile, ( e anche il 21 di agosto) dopo svariate osservazioni, ha rilevato che nel pozzo, avviene il cosidetto "miracolo della resurrezione," quando i raggi solari si allineano in asse con la scalinata, e battendo sul primo bordo Inferiore , proiettano un'immagine luminosa nel  dodicesimo anello, a salire, della tholos, sul cerchio "anomalo", quello più grosso. 

Manifestazione luminosa amplificata  e magnificata da un' accorgimento tecnico dovuto alla presenza dell' olio, che avrebbe reso calmo lo specchio circolare della "funtana" unta, rendendo ancora più magnificente  il riflesso dorato sul dodicesimo anello. 

In questo lasso di tempo, che durerebbe una mezz'ora circa, si osserva la "divinità solare" che si manifesta e benedice simbolicamente il raccolto del grano. 

È simbolico come la precisione  dell'inclinazione del riflesso porti alla manifestazione proprio sul dodicesimo anello. 

In base a questo, ho fatto delle considerazioni più approfondite.

Questa data,  il 21 aprile, si riferisce al ciclo vegetativo del grano e che, verosimilmente, segnava anche l'inizio del calendario nuragico. 

Anche la Pasqua ebraica coincide con la maturazione del grano. Infatti nel primo giorno della settimana dopo la Passione, deve essere celebrato il rito dell'offerta del grano. 

Il primo mese dell'anno in ebraico era chiamato "Abib", che significa Spiga. 

In sardo aprile si dice "abrili"/arbili", che a sua volta deriva dal nome  dalla dea etrusca Aprul.

Abrili(aprile in sardo) /Abib(spiga in ebraico). 

Due nomi molto simili foneticamente. Ho già parlato, nel mio precedente post, di quanto fosse importante la simbologia della "Spiga/grano" per gli antichi sardi. 

"Su trigu" (il grano) parola che aveva, e ha,  una valenza simbolica di abbondanza, esplicata poi architettonicamente nella costruzione  spiralizzata dei nuraghe

Detto ciò, e visto che i nuraghi verosimilmente potrebbero essere stati edificati proprio nel mese di aprile, (abrili), nel mese della Spiga, è  verosimile che anche i Pozzi sacri e in particolare il pozzo di Santa Cristina sia stato  edificato  per celebrare il 21 aprile, giorno in cui si verifica quella ierofania di luce riflessa proprio nel dodicesimo cerchio, nel cerchio più spesso.

Nei Sacri Archetipi ebraici, il 12 corrisponde alla lettera Lamed, con funzione "misura". Quindi rappresenta il calcolo, la misura.

Come se il momento esatto di quella ierofania dorata sul dodicesimo cerchio, indicasse proprio un parametro, sia per il raccolto, ma anche per un qualcosa di molto più elevato

La Lamed, nella sua forma, ricorda molto l' ureo egizio, che ornava la fronte dei Faraoni, e indicava il potere amplificato verso poteri divini, l'apertura del terzo occhio, l'estensione intorno e verso l' alto, pur mantenendo la stessa forma. 

Iside  era rappresentata come la signora Cob-ra ( Ra significa Dio del Sole). 

 La più alta forma di energia del serpente è la "saggezza"."


Questo scrivevo, un po di mesi fa, riguardo al pozzo di Santa Cristina e il mese di Aprile. 

Aprile era veramente un mese importante per gli Antichi Sardi. Era il parametro che contrassegnava il livello di maturazione del grano, sostentamento primario, e trovo assolutamente affascinante il fatto che abbiano creato una sorta di promemoria, di calendario sacro, all'interno di un pozzo Sacro, per marcare, attraverso la sacralità del fuoco, rappresentato dal Sole, e dell'acqua, un momento importantissimo delle loro attività agricole.

Questo significa una totale adesione a quel concetto di "divino dentro la materia", di culto, da cui si prendono le distanze, collegandolo alle attuali definizioni di culto.

"Culto" significava "prendersi cura di.."

E prendersi cura di un qualcosa significava riconoscerne l'aspetto divino, e farne parte integrante del proprio quotidiano.

Trovo di una Bellezza estrema, utilizzare un pozzo considerato sacro, destinato alle forme primordiali di battesimo, rinnovamento e purificazione  attraverso l'acqua, per benedire e sacralizzare un momento importante della loro produzione agricola.

È come una primordiale benedizione del pane, benedetta da quella ierofania che indica il grado di maturazione del Grano, offerto poi per Pasqua.

"Culto" ha la stessa radice "cult-" di cultura, e la cultura è sempre arricchimento.

Le vite degli Antichi Sardi, traboccavano di arricchimento, poiché il loro vivere si intrecciava con quella dimensione cultuale del divino, che non era assolutamente passiva e devozionale.

Era un continuo travaso dialettico, amoroso, creativo, al quale penso con emozione e grande rispetto, poiché ha fatto di loro , degli uomini divini, capaci di far loro una koinè riconoscibile in tutto il mondo, perfetta e maestosa, di una Bellezza infinita, poiché riflesso del loro rapporto privilegiato con il Divino, in un Dialogo continuo, dove nessuno dei due è superiore all'altro.

È questa, la vera Cultura.

La Cultura è Saggezza.

Saggezza sinergica dell'Umano unito al Divino. 


Tiziana Fenu©®


Ps. "aprile" quarto mese. Come i quattro angoli delle pietre del pozzo di Santa Cristina, che intrappolano la bellezza del cielo, dal basso dei suoi gradini, nel grembo di Madre Terra. 


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Leggiamo insieme, adesso, le parole del prof. Dedola, glottologo, riguardo aprile. 


Il Capodanno. Quindi non è affatto vero che un termine indicante il “Capodanno” fosse ignoto nell’epoca šardanica: era detto Arghittu, come ora sappiamo. I nomi oggi vigenti sono purtroppo banalmente simili nell’intera Europa: vedi ingl. New Year, sardo Candeláriu (‘Calendario’), it. Capodanno.


Dicevamo che l’anno sardo cominciava inequivocabilmente in Settembre, e le prove sono più d’una, anzitutto il fatto che nel sardo attuale e in quello medievale tale mese è detto Cabidanni. In secondo luogo perché l’anno degli antichi Romani cominciava in Marzo, e quindi è accertato che la nostra tradizione non proviene dai Latini.


Prima di procedere sul Capodanno dobbiamo ricordare che esso, almeno in Sardegna, ricorreva con riti di carattere eliminatorio-fondativo: all’inizio di Gennaio si esorcizzava la stagione infeconda (l’inverno in quanto freddo) e si celebrava invece l’inizio delle piogge, le quali rifondano il ciclo vitale eliminando i pericoli della siccità e della carestia. Ma occorre precisare che la stagione delle piogge aveva pari valore sia all’inizio sia al suo termine, ed a tal fine spesso tra certi popoli antichi l’anno era diviso in due parti nette, onde la fine delle grandi piogge (l’inizio della Primavera) aveva uguale valore fondativo, talché è proprio attorno alla Pasqua che i vari popoli mediterranei ricordavano la morte-rinascita del Dio misterico: Adone per i semiti occidentali e per i Sardi, Core (Persefone) per i Greci, Osiride per gli Egizi, Tammuz per i Babilonesi, Gesù per i Cristiani, ecc.


Certo è che un fortissimo mito fondativo era imperniato al momento in cui l’anno cessava di dispensare il buio e procedeva verso il Sole allungando le ore. Si tratta dell’attuale Capodanno europeo.


Tra gli Ebrei il Capodanno era a Settembre (Tišri), ma anch’essi avevano la tradizione di considerare come doppio Capodanno il periodo pasquale (plenilunio equinoziale: mese di Nisan), seguendo la tradizione babilonese che poneva appunto il Capodanno al 1° di Nisan (marzo-aprile). In Sardegna abbiamo già notato che i Capidanno erano tre, a Gennaio, a Pasqua, a Settembre.


L’anno in generale. In Mesopotamia l’anno cominciava col plenilunio di primavera; in sé però il primo mese dell’anno cominciava col riapparire della luna. L’anno attico dopo Solone cominciava nella seconda metà di luglio, ma è noto che parecchie città della Grecia ebbero un calendario particolare.


I Celti cominciavano l’anno il 1° novembre. Halloween (un tempo chiamato Samhain, leggi sow-in) era il rito propiziatorio del 31 ottobre che scacciava l’anno vecchio. Si accendevano grandi falò, attorno ai quali si danzava e si festeggiava per intimorire e scacciare gli spiriti maligni che cominciavano ad albergare nelle tenebre oramai troppo lunghe. Anche la mascheratura del viso e del corpo aveva le stesse funzioni repulsive. È proprio in questo periodo che avviene il repentino cambio di stagione nel centro-nord Europa, a distanza di un mese dall’equinozio d’autunno, allorché le masse d’aria polari cominciano a irrompere.


Il calendario di 365 giorni, noto durante l’epoca repubblicana romana, era ancora quello egizio, e fu Giulio Cesare a modificarlo, inserendo un giorno ogni quattro anni: fu il calendario che durò di più nella storia europea, anche per la sua precisione.


Come detto, gli Ebrei avevano due date d’inizio anno: una corrispondeva all’equinozio di primavera, l’altra all’equinozio d’autunno (Es 12, 2.18; 23,16; 34,22). L’iscrizione del X secolo a.e.v., nota come Calendario di Gezer (SU 140), distingue i mesi a seconda dei raccolti e fa coincidere l’inizio dell’anno con l’autunno:


1. yrḥw ‘sp yrḥw z Mese del raccolto, Mese della semina


2. r‘ yrḥw lqš Mese dell’ultima semina


3. yrḥ ‘ṣd pšt Mese della trebbiatura del lino


4. yrḥ qṣr š‘rm Mese della mietitura dell’orzo


5. yrḥ qṣr wkl Mese della mietitura e della misura


6. yrḥw zmr Mese della potatura


7. yrḥ qṣ Mese della raccolta della frutta


8. ‘by(h) Abiyāh


Sappiamo comunque che gli Ebrei ebbero a imitare presto il calendario babilonese, nel quale si faceva combaciare il calendario lunare di 354 giorni e mezzo col calendario delle stagioni, onde aggiungevano un mese ogni due o tre anni. Ma a sua volta il calendario delle stagioni rimase sempre sdoppiato, essendo legato ad un fenomeno naturale tanto importante quanto complesso: la rinascita della flora, che aveva due cicli, quello della Primavera e quello d’Autunno. In tal guisa, gli Ebrei celebravano il Capodanno (Rosh ha Shanah, citato in Ez 40,1) il primo giorno del mese di Tišri (settembre-ottobre), che era però il settimo mese del calendario ebraico (Lv 23, 23-25; Nm 29, 1-6). Infatti secondo Es 12,2 il mese di Abib (noto poi come Nisan, marzo-aprile) è il primo mese dell’anno, per quanto non vi sia prescritta alcuna festa. Alcuni studiosi fanno però notare che al primo di Nisan cominciava pure l’anno babilonese, onde è ulteriormente accertato l’influsso babilonese sul calendario ebraico. Altri studiosi ipotizzano sottilmente che l’originaria festa ebraica dell’anno nuovo cadesse in primavera in quanto era il Capodanno regale, in cui si enumeravano gli anni di regno, mentre il primo di Tišri era il calendario religioso o agricolo, valido a computare il calendario liturgico.


In ogni modo il pergamenaceo rotolo di Qumran noto come “Rotolo del Tempio” (il più lungo tra quelli trovati) dà il calendario delle festività, corrispondenti pienamente a quelle note dagli altri testi di Qumran, in cui si evince chiaramente un anno diviso in 12 mesi di 30 giorni più un giorno ogni 3 mesi e quindi di 364 giorni (vedi IQM, II,1-5; IQS, X, I; 4QSI). Il rotolo rivela a questo proposito ancora qualcosa di interessante: una serie di festività cadevano di domenica a distanza di 50 giorni l’una dall’altra; l’offerta del primo covone (la domenica 26 del primo mese), la festa delle settimane (la domenica 15 del terzo mese), la data del vino nuovo (la domenica 3 del quinto mese). Questa constatazione può, a quanto sembra, contribuire a risolvere il problema della adozione della domenica, in luogo del sabato, da parte dei cristiani.1


L’anno in Sardegna


Dopo tutto quanto precede, scopriamo pure che l’Anno degli antichi sardi era noto in quanto vocabolo, oltre che come misura del tempo. Addirittura in Sardegna ci furono due nomi – parimenti importanti – per indicare l’Anno; ne presento l’etimologia:


ANNU ‘anno’ (cfr. lat. annus) < bab. Annum ‘dio An, il Cielo’, reso poi in lat. Janus, al quale fu intitolato il mese iniziale di Gennaio, sd. Ennarzu < sum. en ‘Signore, Lord (Sîn)’ + ara ‘volta: in moltiplicazione’; en-nara = ‘le volte del Signore’ (sottint. ‘le 12 volte’).


MÒI cognome che ha base etim. nel sum. mu ‘anno’. Quindi questo cognome in origine indicò proprio l’anno sardiano.


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