C.G. Jung ha utilizzato la parola archetipo come sinonimo di Urbilder e Motive: si tratta di immagini primordiali e di forze vitali presenti nell’inconscio collettivo che costituiscono il contenuto di tale inconscio.
Tramite un linguaggio simbolico, queste immagini primordiali denominate archetipi veicolano dati arcaici sulla vita dell’umanità. Seguendo l’esempio di Eliade noi utilizziamo la parola archetipo nel senso di «modello primordiale». Nell’intento di definire l’archetipo, Eliade non ha preso in esame la psicologia del profondo, basata sull’inconscio collettivo, ma le religioni del Vicino Oriente antico, le prime religioni che si sono potute conoscere grazie alla testimonianza di documentscritti.
Egli constata che in Mesopotamia il Tigri è un fiume che ha come proprio modello la stella Anunit.
In Egitto le denominazioni dei 42 nomi – le organizzazioni territoriali arcaiche con cui venivano distribuite le acque della piena del Nilo – provengono dai campi celesti. In Iran, nella tradizione zurvanita, ogni fenomeno terrestre corrisponde a una realtà celeste. Le città di Ninive e di Assur possiedono il loro modello celeste. Nel sacrificio vedico si trova l’idea della concordanza con un doppione cosmico che conferisce al sacrificio la propria efficacia. Il Tempio di Gerusalemme è costruito secondo un piano che viene dal Cielo (Es 25,1-9). Dunque l’uomo religioso di queste culture orientali volgeva il proprio sguardo a un modello celeste che gli serviva da forma esemplare, da schema che egli seguiva nella costruzione delle città e dei templi e nei suoi rapporti con il mondo celeste. Tramite l’archetipo celeste l’homo religiosus era consapevole di entrare in rapporto con la Trascendenza (Eliade, 1981).
Prima di dedicare al culto delle divinità il tempio appena costruito, il re di Babilonia e di Egitto, assistito da sacerdoti, procede alla consacrazione dell’edificio I rituali conservati dimostrano che mediante parole e gesti consacratori veniva realizzata una concordanza perfetta con l’archetipo, l’edificio veniva separato dall’uso profano e, grazie alla relazione con l’archetipo celeste, riceveva efficacia e una nuova dimensione.
Accanto a questi riti di consacrazione esistevano i riti di intronizzazione del re, il quale diveniva il rappresentante sulla terra della divinità. Nelle religioni antiche una seconda componente archetipica si manifesta nel simbolismo del centro: monte cosmico, albero della vita, centro del mondo, spazio sacro. Nei riti relativi al simbolismo del centro, l’albero cosmico è l’archetipo degli alberi sacri. Esso permette all’uomo di salire al cielo. Una terza componente è il modello divino che l’uomo deve imitare. In Egitto i sacerdoti riproducevano i gesti di Thot, il dio che con la sua parola ha creato il mondo, e la vita della natura era legata all’azione primordiale del dio Osiride.
A Babilonia la festa dell’akitu celebrava il nuovo anno e preparava la rinascita della vegetazione. In entrambe queste culture una serie impressionante di riti sulla fecondità e sulla fertilità connetteva la crescita della vegetazione alla potenza divina (Eliade, 1975).
Tratto da "Dizionario dei RIti" di Mircea Eliade - Edizioni Jaca Book
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Dea della fertilità, 3000-2500 aC, realizzata a Cipro. Marmo,
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