Non si può intendere Dioniso senza confrontarsi con l’enigma del suo specchio. Non si intende Dioniso se si separano contatto e distacco.
Verità e apparenza.
La maschera e ciò che essa nasconde.
Il relativo e l’Assoluto.
Il bene e il male. Il bello e il brutto. L’alto e il basso. Il divino e l’umano.
La luce e l’ombra.
La materia e lo spirito.
Il maschile e il femminile.
L’eterno e l’impermanente.
Il cacciatore e la preda.
La vita e la morte…
E anche così si scoprirà che non si può intendere Dioniso, perché sfugge al pensiero. Dimora negli abissi dell’inconscio e nelle vertigini oceaniche dell’oltrepensiero.
Dioniso è dio mistico, inesplicabile dalla ragione e solo sfiorato dall’intuizione.
Per questo iniziamo da Dioniso.
Non si può intendere Dioniso senza guardare a Shiva.
E viceversa.
Perché Dioniso viene da Oriente, ma soprattutto perché, come Shiva, la sua Sapienza passa attraverso la distruzione e la ricomposizione dell’ego, lo spasimo della lacerazione e il consolidamento del distacco che nasce dall’attraversamento del mare tempestoso del páthos per approdare alle sponde luminose del máthos, senza mai obliterare la voce del mare attraversato e sempre tumultuante del thymós.
Dioniso è il dio della trance e della trasgressione dei limiti dell’ego ordinario e della morale istituzionale, attraverso esperienze prevalentemente collettive: le Baccanti sono sciamane consacrate al dio maschio-femmina, che nell’omonima tragedia di Euripide compongono l’orda compatta, allucinata, violenta che percorre le pendici del monte Citerone in preda alla manía, e dall’esaltazione onnipotente e magica della trance, attraverso la catarsi dello smembramento rituale e l’omofagia – quel nutrirsi della carne cruda di animali come assimilazione simbolica del dio – approda alla celebrazione della sophrosýne, che è capacità
di contenimento, equilibrio, saggezza.
Non si può intendere Dioniso se non si intende, oltre alla sua caratteristica di evento rituale che implica stati alterati di coscienza da parte degli attori, lo spirito iniziatico della tragedia greca, di cui egli è il dio, che dimora velato nella formula che sigilla le parole quintessenziali dedicate dal Coro dei vecchi Argivi a Zeus nell’Agamennone di Eschilo: Ma raggiungerà il culmine della Sapienza chi gioiosamente celebri la vittoria di Zeus, di Zeus che conduce i mortali sulla strada della Sapienza e decretò il principio sovrano: “patendo conoscere”
Tratto da "Negli abissi luminosi Sciamanesimo, trance ed estasi nella Grecia antica". A cura di Angelo Tonelli
Maldalchimia.blogspot.com
"Dionisio" Roberto Ferri Artist
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