#giornatamondialedegliOceani
Sono qui per l’Oceano, o meglio per Oceano, in greco antico Okeanós, nome di una divinità primordiale, arcaica, di cui parla Omero nell’Iliade, ma che è più vecchia degli dèi olimpi e del loro padre Zeus.
Il suo fluire e rifluire senza sosta, il frangersi delle sue onde, l’oscurità fredda dei suoi abissi, la forza delle sue correnti, non sono un oggetto da interrogare filosoficamente a tavolino, davanti allo schermo di un computer, o uno spazio di presunta alterità da romanticizzare o feticizzare, ma una presenza viva, pulsante, in perenne movimento e trasformazione, una smisurata potenza che si manifesta e con cui entrare in consonanza per pensare altrimenti la vita e lo spazio stesso in cui la vita prende forma.
Sono qui per pensare con Oceano, immerso fisicamente, materialmente, nel flusso del suo scorrere. Perché Oceano non è una cosa, un oggetto e nemmeno un iperoggetto.
Oceano è puro movimento: scorrere, fluire, divenire. I Greci lo sapevano bene. Per questo pensavano Oceano come un fiume in perenne flusso e scorrimento e potevano sentire risuonare nel suo nome un avverbio (okeos, «velocemente») e un verbo (naein, «scorrere»). Oceano non è altro se non la molteplicità dei suoi movimenti, l’inesausto scorrere di onde, correnti di superficie, correnti profonde, maree, vortici, che alimenta il flusso sinuoso dell’inchiostro blu sul mio taccuino.
[...] Si tratta forse di abbandonare la madre Terra Gaia per passare al padre Okeanós?
Non esattamente, perché Okeanós non è mai padre, bensì forza generatrice che permea il tutto affiancata dalla figura femminile di Teti. Il passaggio da Gaia a Oceano è un passaggio dal simbolismo terrestre a quello oceanico della madre, considerato più arcaico: «Il simbolismo marino della madre ha un carattere più arcaico, più primitivo, mentre il simbolismo della terra risale a un periodo più tardo».
Oceano è il flusso di un divenire in cui tutto è immerso, anche questa scrittura: è il tutto come divenire acquoreo, flusso, incessante metamorfosi.
Mere suggestioni mitologiche? Le cose non stanno così. La geografia, che nel corso della sua storia è stata di nome e di fatto uno «studio terrestre», in anni recenti, con una lucidità filosofica estranea alla stessa filosofia intesa come mera disciplina, ha riconosciuto come ineludibile l’esigenza di una svolta oceanica: non si tratta semplicemente di pensare Oceano dopo aver privilegiato lo studio della terraferma, ma di ripensare radicalmente il rapporto Terra-Oceano e la costituzione stessa del mondo. «Il nostro mondo è un mondo d’acqua» scrivono programmaticamente Jon Anderson e Kimberley Peters
[...] È tempo di ripensare l’idea di pianeta e l’idea di vita a partire da Oceano, al di là dei limiti del pianeta Terra e di tutte le etiche radicate più o meno stabilmente nel suo suolo. Una filosofia del pianeta Oceano non ha dunque nulla a che fare con una semplice «filosofia del mare» o «filosofia dell’oceano» che si limiti a pensare il mare come un aspetto della natura nella sua presunta alterità rispetto alla terra.
Oceano è il mondo, il pianeta ripensato in una dimensione di flusso e divenire al di là del binarismo gerarchico terra-mare su cui si basano il nostro linguaggio e il nostro apparato concettuale terrestri, a partire dall’idea di uomo.
Se il pianeta Terra è l’illusione di un pianeta nostro – a misura d’uomo e del suo potere territoriale – il pianeta Oceano è il pianeta-flusso inappropriabile aperto alla coabitazione cosmica dei viventi tutti. Come scriveva il giurista romano Ulpiano mare quod natura omnibus patet, «il mare per sua natura è aperto a tutti»,10 vale a dire non è suscettibile di appropriazione. Per ripensare il nostro pianeta non è sufficiente il passaggio da un simbolismo a un altro, da una mito a un altro, da Gaia a Okeanós: è necessario misurarsi con ciò che il mito esperisce, con il suo pensiero arcaico e dimenticato, «enigmatico», secondo le parole di Aristotele, più vecchio dell’origine stessa della filosofia, del pensiero presocratico, della mitologia legata agli dèi olimpi, della poesia omerica, della stessa lingua e cultura greche arcaiche e anche dell’indoeuropeo a cui la parola Okeanós non appartiene.
Si tratta di provare a spingersi fino al punto in cui l’esperienza di pensiero aurorale traccia i primi incerti segni, balbetta attraverso più di una lingua il primo nome.
Questo pensiero primigenio è avvolto nel nome misterioso di un’antichissima divinità pre-greca che ha legami con l’Oriente: Okeanós.
Ora, questo pensiero antichissimo pensava il nostro pianeta e i viventi avvolti e immersi nello scorrere di Oceano, inteso come grande fiume di acqua in perenne circolazione e metamorfosi che sale dal mare al cielo per ritornare al mare – che è mare-e-cielo insieme – e attraversa letteralmente, in questo suo ciclo, i viventi tutti, dando origine a tutte le acque: mari, sorgenti, ruscelli, fiumi, laghi. Prima ancora di essere fatti della stessa stoffa dei sogni noi viventi, al di là di qualsiasi distinzione, siamo fatti della stessa carne di Oceano da cui la vita proviene e in cui si mantiene ovunque come in un enorme grembo: quello su cui Stanley Kubrick chiude 2001 Odissea nello spazio.
Come scriveva un commentatore di un testo orfico nella colonna XXIII del Papiro di Derveni: «Se per la maggioranza non è chiaro, per i pochi che sanno è chiarissimo che Oceano è il cielo».
Oceano non è dunque una questione meramente teorica, ma di vita; al limite non è nemmeno una questione: ma un nuovo modo di pensare e vivere la vita.
Tratto da Simone Regazzoni "Oceano. Filosofia del pianeta".
Roma - Fontana di Trevi - Oceano
Trionfo del barocco, ammirata e consumata da milioni di scatti, mantiene intatto fascino e sorpresa. La fontana è dominata dalla statua di Oceano nocchiero delle acque.
La fontana è opera di Nicola Salvi, iniziata nel 1732, le figure allegoriche sono di diversi autori, i tritoni sono di Pietro Bracci (1759-1769)
Maldalchimia.blogspot.com
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