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Questo sito nasce ispirato dalla Sacra Divinità dell'Ape, che mi ha amorevolmente guidata alla scoperta di ciò che è la mia Essenza, manifestazione in E come un'ape, prendo il nettare da fiori diversi tra loro, producendo del "miele-Essenza" diversificato. Ma con un filo d'Oro conduttore l'Alchimia nel creare, nell'Athanor della ricerca intima, multidimensionale, animica. E in questa Alchimia, amare le parole nella loro intima Essenza. Soprattutto quella celata. Le parole creano. Sono vibrazioni. Creano dimensioni spaziotemporali proprietà, trasversali. Che uniscono dimensioni apparentemente distanti. Azzardate. Inusuali. Sempre dinamiche Sempre. operose. Come le api. A cui devo ogni mio battito d'Ali. COPYRIGHT ©®I contenuti presenti sul blog Maldalchimia.blogspot.com, quelli scritti ed elaborati dall'autrice, Tiziana Fenu, proprietaria del blog, non possono essere copiati, riprodotti, pubblicati o redistribuiti, in qualsiasi forma, se non, riportando nome, ©®Diritti intellettuali riservati e nome del blog,

venerdì, luglio 28, 2023

💛Lughnasadh/ Lammas 2023

 Festa di Lughnasadh, del raccolto, del grano, del nostro Logudoro/Lugh d'oro. 


Tra lunedi, 31 luglio, e martedì 1 agosto, si celebra la festa pagana, di Lughnasadh( il cui nome significa proprio agosto), o Lammas, la festa del raccolto, del grano, festeggiato in tutte le culture, compresa la nostra, per la quale avevo scritto un articolo in proposito, poiché Lugh, il dio solare al quale è dedicata la festa ha la stessa radice del nostro Logudoro, il Lugh d'oro.

Scrivevo, nel post di cui vi lascio il link

( https://maldalchimia.blogspot.com/2021/01/il-lugh-d-oro-di-orotelli.html)

"Lugh era un Dio Solare, che rappresentava anche lo spirito del grano, che non muore mai, perché il grano tagliato, rinasce come farina o pane, festeggiato ufficialmente per il Lughnasad, la festa dell'estate del primo agosto, che diventata poi la festa di Lammas. 

E il pane, è il simbolo dei 4 elementi della Natura, si impasta con il grano, ridotto a farina(terra), con l'acqua, lievita grazie all'azione dell'aria, quando si alveola, e si cuoce con il fuoco.

Lugh si affaccia, sulla scena delle divinità, evidentemente quando il culto di Madre Terra, femminea e feconda, lascia spazio alle divinità maschili, che si sovrappongono al matriarcato monoteistico. 

Lugh, il "luminoso", dio della fertilità, del  Sole e della Luce, era il re dei Tuatha de Danann, abile in molte tecniche, che gli valsero il nome di Salmidanach, il "multiforme artigiano". 

Lo si rappresento' come un "Mercurio Lugh" , proprio per le sue abili qualità alchemiche e trasformative in ogni forma di artigianato. 

Aveva con sé dei corvi profetici, chiamati Lug, ed era associato al cinghiale, associato ai druidi, i sacerdoti e sacerdotesse dei tempi antichi.

Lug mi fa pensare a Logudoro. 

Luogo d'oro. 

Lug doro. 

Luce d'Oro. 

Ma anche luogo, Logu, del Mercuriale Lugh, che poteva trasformare ogni cosa in Oro. 

La magica Tartesso. 

La mitica terra dei Metalli, sempre più spesso identificata con la Sardegna."

E come sempre, tutto riporta sempre alla nostra terra, alla nostra Sardegna, dove la sacralità del pane è stata immortalata anche nei bronzetti, come vedete nelle immagini.

Il nostro Logudoro/Lugh d'Oro, doveva essere, anticamente, una distesa enorme tutta dorata, tutta coltivata a grano dorato, e non solo in riferimento a questo.

Un Luogo d'Oro, ai tempi dell'età dell'Oro, guidato da Uomini di Sapienza e Sapere. 

E il pane, doveva trattarsi di una" semplice pita", con acqua e farina, come quella nominata nel brano che ho riportato sotto.

Maestria nel pane, che è diventato sempre più elaborato, come in nessuna parte nel mondo, per il quale si eccelle, in vere e proprie opere d'arte, che fanno parte, ancora parte, del nostro quotidiano, in una grande varietà. 

Maestria della spiga. 

Quando cognomi sardi, abbiamo, in "Spiga"? 

Senza contare la conformazione stessa delle strutture murarie dei nuraghi. 

L'ho scritto tante volte. 

( https://maldalchimia.blogspot.com/2023/05/lavorazione-spiga.html?m=0) 

Hanno una conformazione a spiga, come se fosse l'elemento simbolico più rappresentativo, di una civiltà che come filo conduttore antropologico e simbolico, che rimanda, non solo alla dimensione della fertilità, ma anche della rinascita. 

Una "resurrezione", legata agli antichi culti di Madre Terra, e ai suoi semi che germogliano con l'arrivo del primo caldo primaverile. 

Una resurrezione, legata al grano, ad una spiga che viene tagliata come unità, ma che da vita ad una molteplicità di vite. 

Come il corpo di Osiride dopo la morte, di cui avevo già fatto cenno, da cui germoglieranno 28 spighe. 

La spiga rappresenta il corpo di luce, l'Oro, l'Horus, l'Essenza trasfigurata in qualcosa di più elevato, di più nobile, purificato. 

È il culto misterico dell'iniziazione ai cicli della vita. 28 come il ciclo lunare. É il culto dionisiaco, dei misteri eleusini, di Iside, il culto di Demetra, che si ripete in epoche diverse, con "testimoni" diversi. 

La spiga è collegata alla costellazione della Vergine, la "Spica", poiché il "corpo di luce", può nascere solo in un cuore vergine, non corrotto. 

Lo smembramento della spiga, e quindi di Osiride, sono stati necessari, poiché solo smembrando la spiga, trasformandola in farina, si può poi impastare simbolicamente con l'acqua amniotica del Femminino, di Iside, che darà vita ad Horus. 

È il sacrificio necessario. 

È il "fare sacro" in senso letterale. 

Il "pane di vita" cristiano, l'Eucaristia, affonda le radici in tempi ben più lontani. 

È il processo di osirificazione, di distruzione e rinascita nel corpo di luce, rappresentato da Osiride, dal Cristo, da Adone, in questo caso. 

Alle palmette per la domenica delle palme viene unito di solito un rametto d'ulivo. Simbolo sicuramente di pace, ma anche simbolo di quell'olio simbolico con cui viene unto il Cristo, il cui nome significa, appunto, "unto". 

Per fare l'olio, le olive si portano in un frantoio, stessa radice di "frantumare", perché si deve destrutturare la materia, per arrivare all'essenza, all'olio. 

Quello stesso olio, che asperso a filo d'acqua nel pozzo di Santa Cristina, ne rivela poi la ierofania nel dodicesimo anello della tholos, per indicare la "misura", il parametro della maturazione del grano( da qui, credo, sarà l'origine, come ho già scritto, della medicina dell'occhio, "sa meschina de s'ogu", fatta con olio e acqua, o con grano e acqua-  https://maldalchimia.blogspot.com/2022/03/la-pietra-di-villamassargia.html?m=0) "

La spiga, come simbolo di immortalità, di rinascita, di guarigione, così come lo è nella struttura architettonica "a spiga" dei nostri nuraghi. 


Tiziana Fenu

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Di seguito, riporto un brano tratto da" Il grano e la Dea", di Maria Ivana Tanga, pertinente proprio a questa  festività del raccolto, del grano. 


"Una civiltà, quella del grano, che segnerà il paesaggio mediterraneo in maniera indelebile, modificandone la storia e la geografia.

In sostanza, il grano indurrà l’uomo primitivo ad organizzare le prime forme di società civile. La spiga di grano diverrà, ben presto, il simbolo dell’ ordine civile ed alimentare dischiuso con l’ agricoltura. L’immagine di una donna che macina il grano all’ ombra delle pareti domestiche diverrà il simbolo stesso del progresso, di una vita affrancata dalla fame, nell’ambito rassicurante dell’ οικός, del nucleo familiare.

L’ uso estensivo dei cereali macinati a fini alimentari segnerà una tappa fondamentale nella storia del ‘mare nostro’, agendo da marcatore culturale e principio di identificazione delle genti mediterranee. ‘Civiltà del grano macinato’ definirà Esiodo la civiltà sorta sulle sponde del Mediterraneo.

L’ottanta per cento del vitto dei popoli mediterranei, sarà costituito, essenzialmente, da farine e granaglie. Dalle zuppe di grano elleniche alle puls’ romane, dalle ‘migas’ spagnole alla ‘fregola’ sarda: l’alimentazione mediterranea sembra dipanarsi lungo i mille rivoli tracciati, nel corso dei secoli, dalla ‘civiltà del grano’.

Sotto il segno del grano, abbiamo cercato di disegnare una sorta di ‘geografia alimentare’ del bacino mediterraneo che, pur nel rispetto delle diversità locali, si pone come obiettivo ultimo la riaffermazione di una comune radice cultural-gastronomica. Tantissime sono le preparazioni a base di grano che, dal Bosforo a Gibilterra, differiscono tra loro solo nel nome o per qualche ingrediente secondario. Pensiamo, ad esempio, al cous cous.

Dal Marocco alla Sardegna, dalla Tunisia alla Sicilia: mille modi diversi di interpretare un unico alimento, in cui i sapori e i profumi del Mediterraneo sembrano esaltarsi a vicenda. Un cibo che, travalicando i confini delle singole appartenenze, può essere preso a vessillo di quella ‘multiculturalità’ alimentare che si è venuta a realizzare sulle sponde del ‘mare nostro’, frutto di contatti e di mescolanze tra genti e culture diverse.

Del resto, ‘il cibo, più della parola, si presta a mediare tra culture diverse1’ ci ricorda Massimo Montanari. Unica al mondo, la cucina mediterranea, risultante dall’incontro di tradizioni gastronomiche diverse, presenta caratteri di fondo unitari. Un altro cibo che unisce i popoli mediterranei sotto le insegne della ‘civiltà del grano’ è, sicuramente, la ‘pita". 


Semplice, arcaica focaccia di acqua e farina, ci è sembrata celebrare al meglio, nelle sue mille declinazioni (berbera, araba, turca, musulmana, balcanica, napoletana), quell’ ‘unità plurale’ mediterranea di cui parlano studiosi del calibro di Henri Pirenne, Fernand Braudel o Franco Cassano2. ‘Unitè plurielle’, ‘unità plurale’ risultata dal contatto tra culture e tradizioni diverse, talvolta diversissime, unite da una comune radice, quella fulgida ‘civiltà mediterranea’ matrice di un modello di società aperta al dialogo, naturalmente predisposta all’ incontro tra popoli.

Dal grano al pane: tremila anni prima di Cristo, la ‘civiltà mediterranea’ metterà a segno la sua conquista più importante. Il Mediterraneo e il suo pane: una storia avvincente che celebra, definitivamente, la vittoria dell’ uomo sulla natura selvaggia.

E’ il ‘pane della civiltà’ contro la barbarie, contro il kaos primigènio, contro l’ indistinto primordiale. Il pane, quale ‘cifra’ di civiltà, assurgerà a sacra ‘icona’ di una mentalità, di una cultura radicata nella terra. Quella feconda, solare ‘cultura mediterranea’ che riterrà sacri il pane, il vino e l’olio. I primi pani saranno impastati proprio sulle sponde del Mediterraneo.

Più di ogni altro alimento, può essere ritenuto il cibo-simbolo dell’ identità mediterranea, elemento di coesione delle popolazioni affacciate sulle ‘sacre sponde’. Nel pane si vengono a stratificare saperi e sapori, valori, usanze, credenze che affondano le radici nel cuore profondo della ‘cultura mediterranea’. Pensiamo a quel ‘pane-sole’ degli egiziani antichi o a quel pane forgiato a forma di falce lunare che il popolo greco offriva alle dèe della Natura, meravigliosi ‘refrain’ di una cultura ancestrale, una cultura impastata nella terra, baciata dal sole, bagnata dal mare, dal caldo mare mediterraneo.

Veri e propri trofei di acqua e farina, cesellati dal mito, plasmati dal fluire del tempo, dai marosi della storia, impastati di sogni e di bisogni, di fatica e di sudore. I pani del Mediterraneo: compendio del concetto stesso di mediterraneità. Essenza mediterranea allo stato puro. Proprio come quel profumo di pane che si sprigiona, caldo, avvolgente, quasi sensuale, dai forni del Mediterraneo, puntuale, ogni mattina. Un ricordo indelebile, frammento, ‘refrain’ dell’ antica memoria mediterranea. Tra odori e sapori. Tra visioni antiche e suggestioni nuove. Tra mito e rito, il pane mediterraneo, da millenni, racconta la storia di un mondo chiuso nel caldo abbraccio di una civiltà feconda, fecondissima.

Una civiltà che chiama ‘madre’ la terra. 


Tiziana Fenu

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