Chiudete gli occhi, sfilatevi le scarpe.
La luce rossastra del sole balugina dietro le palpebre, l’erba solletica le dita e la polvere preme contro la pianta dei piedi.
Il calore vi accarezza il braccio mentre qualcuno vi afferra la mano; per qualche ragione, sapete di chi si tratta.
Aprite gli occhi e sotto un cielo illuminato da un sole splendente, e insieme nero e trapunto di stelle, vedete vostra madre davanti a voi. Siete nel luogo fuori dal tempo, dove tutti gli esseri umani si ritrovano a vicenda.
Sentite un fruscio di passi, e un’altra donna si fa avanti: è la vostra nonna materna.
Forse le avete parlato la settimana scorsa, o vent’anni fa, o magari la conoscete solo da fotografie sfocate.
Prende la mano di vostra madre e poi volta la testa: dietro di lei, in fila su una pianura sconfinata, c’è una linea di altre donne, tutte unite dalle mani e dallo sguardo.
Perdete il conto, ma avete la sensazione che siano centinaia, migliaia.
Con la distanza i volti diventano meno famigliari, anche se in qualche modo riconoscete la curva degli zigomi, le onde dei capelli o la piega dei fianchi. Più oltre, la fila prosegue fino all’orizzonte.
Alzate lo sguardo alla striscia opalescente sopra di voi: lassù, a decine di millenni di distanza, anche le stelle sono cambiate.
Allora avvertite una specie di scarica elettrica che attraversa quarantamila mani: un ciclo infinito di amore e perdita palpita nel petto e nelle ossa per cinquecentomila anni fino al vostro sangue, al vostro cuore.
Vi vengono le vertigini, ma vostra madre vi stringe la mano e proprio in quel momento, sbattendo le palpebre, lo vedete.
Da questa singola linea di ascendenza materna si estende un immenso reticolo umano, un intreccio di (im)mortalità che sfuma verso il tavolato azzurrino ai margini del tempo.
Sono tutti qui, gli altri. Sono sempre stati qui. Siamo l’incarnazione del retaggio di tutte le nostre madri.
Gli occhi che hanno preceduto i vostri, impegnati a leggere queste parole, videro la luce per la prima volta oltre 500 milioni di anni fa.
Le cinque dita che sfogliano agilmente queste pagine hanno afferrato, stretto e graffiato per 300 milioni di anni. Forse state ascoltando della musica, o questo libro in formato audio: l’ingegnosa struttura formata dai tre ossicini dell’orecchio cominciò a udire suoni di amore e di terrore mentre correvamo tra le zampe dei sauri.
Il cervello che elabora questa frase aumentò di volume fino a raggiungere quasi le sue dimensioni attuali intorno a 500000 anni fa, e lo avevano anche i Neandertal. Approfondire il contesto biologico ed evolutivo ci aiuta a capire quello che abbiamo in comune con loro. E rivela anche quanto fossero sbagliate le idee ottocentesche che vedevano i Neandertal come l’anello mancante tra l’uomo e la scimmia.
Tratto da Rebecca Wragg Sykes Titolo originale "Kindred. Neanderthal Life, Love, Death and Art"
Maldalchimia.blogspot.com
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