Le Donne Sarde, le riconosci dallo sguardo.
Hanno lo sguardo sempre oltre.
Creano dimensioni.
Solo con lo sguardo. Oltre gli scogli.
Dove si inerpica il maestrale in cerca del mirto con cui danzare alla vita.
Oltre la coltre d'oro del colore del grano, immaginando di impastare e di ricamare, come un Mandala che si espande dal centro del cuore, "su pani pintau", is Panadas, i coccoietti.
Quei culurgiones che sembrano dei piccoli cuori dal ripieno soffice, i cui lembi vengono chiusi, come i lacci del corpetto che valorizza le loro forme, i seni prosperosi, prepotenti.
Coperti da quel candore che enfatizza il portamento da Regine, quali sono.
Regine che tessono, che amalgamano.
Che uniscono mani operose nel fare, e voci di sottobosco nel raccontare.
Tessono eventi, tessono tradizioni.
Tessono memorie.
Come ragni operosi, sulla cui ragnatela, come diamanti di rugiada alle prime luci dell'alba, incastonano le loro opere.
La Regalità della Donna Sarda, è nel fare, nel tessere. Nel tenere insieme.
Non ha bisogno di un Regno.
Ogni suo incedere è Regno.
È una trama di filato che si aggiunge all'ordito.
Come un Ragno che si manifesta di Rango, nella perfezione, nella precisione.
Nella semplicità e schiettezza.
Operose e silenziose.
Perché devono custodire.
Ogni dolce sardo è uno scrigno.
Le panade, custodiscono e portano a cottura.
Le Seadas custodiscono il formaggio, per amalgamarsi con il miele, in un incontro di sapori e di colori inaspettato, inusuale, originale.
La gonna plissettata, tutta ricami, è uno scrigno le cui ali si dispiegano leggere ad accompagnare questo incedere regale.
Come primordiali Dee Alate, ancora presenti tra noi umani.
Lo sguardo della Donna Sarda, te lo devi meritare.
Non regge le menzogne, i raggiri.
Ti scivola dentro le viscere come il mirto. Forte e inebriante.
Ti rimane il sapore impresso per ore.
Ti porta là dove lei è già.
Dove è sempre stata.
Nel suo Regno.
Dove si entra in punta di piedi.
Ma non da vassallo.
Ma da Re.
Un Re degno dello sguardo della sua Regina.
Con i confini tracciati nel solco delle rughe che si irradiano sui loro volti. Come raggi di sole che emergono nonostante tutto.
Perché le Donne Sarde, sono albe e tramonti.
Sono la luce e l'oscurità.
Le Dame della notte. Degli anfratti.
Delle piccole Domus de Janas.
Su sonnu e su sonu.
Sa nanna e sa jana.
Su sonnu che sana.
Janas, letto al contrario è sanaj.
Sempre per quel magico gioco di specchi gemellari, veicolo del Divino, caratteristico della nostra Antica Civiltà Sarda.
E "sonu", diventa, al contrario, unos.
O unnos.
Si diventa uno con la dimensione spirituale, durante il sonno.
Si varca la soglia, la Jana/Janna, e si entra nella dimensione della guarigione, de su "sanaj", del guarire.
Perché il sonno è terapeutico.
La Jana è guarigione.
La Donna Sarda è ancestralmente Jana, in contatto con la nostra vera dimensione, quella spirituale, quella dell'anima.
La Fierezza in uno sguardo.
Solo come un'Artista delle Emozioni, come Alessandra Garau, sa cogliere.
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Tiziana Fenu
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