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mercoledì, dicembre 16, 2020

💛Osservavo la maschera de " is Issohadores"

 Osservavo la maschera de " is  Issohadores"  del carnevale barbaricino sardo

Così diverse dal resto delle maschere del carnevale che comunque meritano un discorso a parte,  e non è su  questo aspetto che mi voglio soffermare. 

Le Maschere de is Issohadores sono bianche come quelle de su Componidori della Sartiglia, manifestazione di corsa cavalli che si celebra ogni anno  ad Oristano, l' ultima domenica e l' ultimo martedì del Carnevale, quando si cerca di infilzare la stella, il fiore a sei punte, che è considerata la stella della fertilità e quindi benaugurante di una buona annata nei raccolti. 

Queste  maschere, quella de su Issohadore e quella de su Componidori, hanno la stessa fine fattezza di quella si percepisce  nel volto dei Giganti di Monte Prama. 

Delle  maschere androgine che non rivelano   se sono femminili o maschili, ma che sembrano unite da un unico filo conduttore, da un'unica valenza simbolica, che affonda le radici in quella che è stata la dimensione ancestrale dell'uomo nel suo rapporto con il Divino. 

Il valore antropologico della maschera sta proprio nel celare la propria identità, annullare il proprio ego, ed unirsi attraverso una "non identità", con la divinità. 


Il colore bianco, presente sia  nella maschera del su Componidori che in quella de Su Issohadore(il nome deriva dall' azione del lanciare la Soha, la fune in giunco) , e forse lo era anche per la maschera dei Giganti di Monte Prama , riprende bene questo concetto di morte "a se stessi", attraverso un colore puro come il bianco, che è il colore della morte terrena. 

Essere "bianco come un cencio", senza più sangue, come anche il colore della purezza, della Dimensione Divina. 

La maschera di per sé ha un'energia potentissima. 

Pensiamo a Su Componidori della Sartiglia, che appena la indossa non può più posare i piedi per terra. 

Perché la maschera riguarda la nostra sfera più profonda, ancestrale, millenaria, della nostra Anima. 

La maschera attrae, e spaventa allo stesso tempo, perché riguarda quella dimensione ritualistica e magica che facciamo fatica a gestire razionalmente. 

Maschere sarde ne abbiamo tante, da quelle più terrificanti e severe, a quelle più neutre e pure, passando anche attraverso la maschera ghignante fenicio-punico del VI sec. a. C, ritrovata  San Sperate, che merita un discorso a parte in altra sede. 


Nella cultura africana per esempio, la maschera, è molto legata alla dimensione del magico, del sovrannaturale, è veicolo del contatto con divino e indossarla, da parte di uno sciamano, significa cancellare la propria identità umana, e far emergere quella Divina, quella che ha le stesse frequenze della divinità che  invocano. 

Questo  aspetto è molto importante, perché questo significa consapevolezza nel riconoscere la divinità latente che è in noi, e saperla gestire energeticamente. 

E questo significa che non tutti possono essere in grado di indossare una maschera, che è un privilegio per pochi, poiché la maschera diventa tutt'uno con chi la indossa

La maschera ha la capacità di impadronirsi di chi la  indossa, e per questo motivo è anche molto pericolosa, poiché è proprio molto potente energeticamente. 

Crea dimensioni, e il  rischio è quello di restarci intrappolati dentro. 


Ed è per questo motivo, appunto che chi indossa la maschera, non può trattarsi  di un uomo qualunque, ma di un iniziato, di un uomo Sacro, di uno sciamano, un sacerdote, poiché la maschera richiama una nuova identità, un qualcosa  che non dimora più tra i comuni mortali. 

Si subentra nella dimensione della memoria di chi prima di lui, dell'origine, degli antenati

La maschera porta con sé il dono delle investitura. 

E allora mi vengono subito alla mente i Giganti di Monte  Prama. 

Già nel 2014 il fotografo Nicola Castangia, aveva evidenziato come in alcune teste dei Giganti di Monte Prama , ci sono dei solchi laterali al viso, come se si trattassero di maschere applicate, paragonando queste maschere a quella de Su componidori, e a quella de su Sonadori, paragonando, ad esse, in particolare  la testa del "pugilatore", e  poi raffrontate  anche con la testa del guerriero con Elmo cornuto. 

E questo farebbe pensare ad una Sardegna faceva uso delle maschere già più di 3000 anni fa. 


Ho già parlato delle Gorgoni, della Medusa, in un mio precedente post, a proposito della simbologia del basilisco in Sardegna. 

Ciò che accade con la Gorgone è  ciò che rappresenta al meglio la funzione della maschera. 

La divinità, terribile, in questo caso, non la si può guardare direttamente negli occhi, ma solo attraverso il riflesso dello specchio, altrimenti si resta pietrificati. 

Questo discorso, vale anche per il labirinto, al quale  non si può accedere direttamente, poiché è troppo forte energeticamente, affrontare direttamente tutti gli stadi progressivi di consapevolezza, ma solo percorrendo le sue spirali, che piano piano fanno arrivare fino al centro. 

È la stessa dinamica dei moti ascensionali, di consapevolezza spiralizzati e che diventano via via sempre più stretti. 

Non si può arrivare ad un percorso d'Anima, tutto d'un botto. 

Il percorso deve essere  fluido e armonico, in un moto circolare a spirale. 


La maschera ha la stessa funzione della spirale :ammortizza questa grande energia che proviene dal Divino. 

Divino che è già in forma latente, presente nell'umano. 

Affinche l'umano si adatti al Divino, al suo stesso Divino. 

Nei misteri dionisiaci greci e romani si faceva spesso uso della maschera, cosa che si può vedere specialmente negli affreschi delle ville pompeiane. 

La maschera, di per sé, rappresenta la divinità originaria. 

È l'androgino, il Sole originario, il dio Toro. 

Una divinità solare e lunare insieme, capace di ammaliare attraverso il magnetismo del femminino acquifero, e, viceversa, attraverso l'energia elettrica del fuoco Mascolino. 

Questa androginia, di cui è rappresentativa la maschera, è visibile anche nel vestiario di chi indossa la maschera bianca della Divinità Suprema, quella più pura, androgina. 

Su Componidori, è finemente abbigliato,  indossa un fazzoletto bianco, ricamato, che gli cinge il capo, una camicia preziosa, un corpetto decorato. 

Dicasi lo stesso per su Issohadore, abbigliato quasi a festa da cerimonia, rispetto alle altre maschere del carnevale, che invece sono abbigliate in modo piuttosto rozzo, animalesco, in modo primitivo, in particolare  i mamuthones, con i quali si rapporta, che sono abbigliati con  con un abito di velluto scuro, sa mastruca nera, la casacca di pelle ovina, caratteristica dei pastori sardi, le scarpe in pelle conciata a mano e sul volto , "sa  visera", una maschera nera antropomorfa in legno di ontano, e sul capo il berretto sardo, un fazzoletto femminile, chiamato "su mucadore", che avvolge sia la visiera che il berretto. 

Sul dorso portano un pesante mazzo di campanacci, fino a 25 kg, di varia misura, chiamata "Sa carriga" 


C'è una statua enigmatica che rappresenta questa androginia anche nelle forme del corpo. 

La statua del guerriero di Capestrano, un guerriero dell'Antico popolo dei Piceni, un'Antica zona che corrispondeva ad una  parte dell'Abruzzo attuale. 

Un guerriero dai fianchi femminili che risale al VI sec. a. C. 

Sulla scritta ritrovata al fianco del guerriero, è stata fatta un'analisi con la ghematria, un sistema ebraico di decodifica numerica, e hanno verificato che  corrisponde  ad un valore numerico di 2268, il quale, riportato  poi sulla tabella interpretativa del codice aureo, il risultato è "22 - Misteri del Creato", e "68 - velocità della luce". 

I calcoli numerici a cui sono approdati nella decodifica dell'iscrizione ha come base il 108, numero sacro in geometria. 

Se  applichiamo alla scrittura direttamente il codice Aureo, che attribuisce ad ogni lettera il valore numerico, il valore risulta corrispondente al numero 108, un numero ritenuto Sacro in ogni Civiltà, e in ogni religione,  specialmente orientali ed ebraica, poiché esprime la completezza della creazione, l'Unione del principio maschile e femminile, di Shiva e Shakti. 

108 sono i grani del Mala tibetano

54 sono i grani del Rosario cattolico

108 in riduzione teosofica diventa 1+8 = 9

54, nella stessa riduzione teosofica, del 5+4, diventa un altro 9

La completezza dell' unione tra principio maschile e femminile, la Kundalini, con le due Nadi laterali, Ida, femminile, e Pingala, maschile, la nostra Energia vitale che ci connette al Divino

 Il 108, è il decimo enunciato universale, che è il "moto di trasferimento nello spazio" 

Da altri calcoli, che adesso non vi spiego per semplificare, hanno ottenuto un valore numerico pari al numero, 135 che corrisponde a "viaggio guidato". 

Ho nominato il guerriero di Capestrano, perché anche esso come i nostri Giganti di Monte Prama indossa una maschera. 

Una maschera che si direbbe semplice, che non si nota subito, che non è una maschera che si discosta dai lineamenti umani, come invece possono essere altre maschere sarde. 

Ma cosa potrebbe significare "viaggio guidato", se non "viaggio sotto ipnosi, in uno stato di incubatio/meditazione"? 

I viaggi multidimensionali erano sicuramente praticati, come ho scritto molte volte, anche nell'antica civiltà Sarda dai nostri Antichi sciamani. 

E appunto curioso come si ritrovi una stessa maschera, in un guerriero androgino, come quello di Capestrano , dalla dalla cui scritta si evince che era un "viaggiatore del tempo", e che anche i nostri Giganti di Monte Prama presentino probabilmente la stessa maschera. 

Giganti che  rappresentano i "i Custodi del tempo", presso i quali si  rifugiavano coloro  che volevano  fare delle "incubatio" spazio- temporali, nelle quali  si cercava  la dimensione del contatto con questi Eroi del passato. 

I Sardi erano chiamati il "popolo dei dormienti" dai greci, e questo ci da la dimensione di quanto la pratica dell' incubatio fosse radicata e praticata presso gli Antichi Sardi. 

Ma non credo che cercassero l'oblio del sonno per avere oracoli o risposte dagli Dei. 

Cercavano l'oblio ipnotico dell' incubatio, per ritornare, proprio come in una incubatrice, alla memoria dell' Origine, di Atlantide, di cui serbano il ricordo nei cerchi concentrici, nei tre cordoni, rappresentati dal labirinto di Benettutti, a 7 percorsi concentrici, che rappresentavano i tre anelli di terra ferma e di acque cristalline, che circondavano Atlantide, pure, di cui avevano memoria ancora negli occhi, con le doppie pupille della regressione ipnotica, per usare un termine moderno, e nella purezza delle maschere bianche. 

Eroi che   erano i custodi il tempio di Mont'e Prama, il Tempio del Sardus Pater. 

Tempio dove sicuramente erano praticati i rituali sciamanici di invocazione e gestione del Fuoco Sacro  del Fuoco elettrico, dei fulmini. 

In Africa le maschere bianche sono simboli di guarigione, e spesso vengono create direttamente a contatto con la pelle. 

In quest'ottica, la funzione della maschera è potentissima, poiché è un veicolo che tiene uniti i due mondi, quello degli Dei e quello degli umani. 

È come un Sacramento che ricompatta ciò che è stato frammentato. 

La Maschera amplifica la voce, e veniva usata nelle rappresentazioni teatrali antichissime. 

Amplifica il sacro della persona. 

Da qui, la parola greca "prosopon", utilizzata per dire “persona”, deriva dal termine impiegato per indicare la maschera, mentre il corrispondente termine latino stava ad indicare anche “spirito” o “spettro”

Persona/per - sona

Lo dice la stessa parola 

Far risuonare la persona, che ha già una vibrazione sacra in sé. 

Vibrazione che si amplifica con la maschera, e nel contempo designa anche la sua vibrazione negativa, quella del demone, poiché le divinità sovrannaturali, hanno sempre anche la propria valenza doppia demoniaca, come  in tutte le simbologie. 

Ecco perché molte maschere sarde, sono rappresentate in modo orrorifico, in una smorfia che satura l'umano. 

Perché la maschera non è per tutti. 

È come una lente di ingrandimento energetica. 

Amplifica ciò che già è, nella natura umana. Se si è uomini "sacri", amplifica questa sacralità. 

Se si è uomini "bestiali", di bassi istinti ed energia, amplifica questa bestialità attraverso un' espressione deturpata, snaturata, molto più vicina all' umano sofferente, che non ha saputo gestire questa energia, piuttosto che vicino al Divino. 

La bianchezza della maschera è il segno di riuscita della grande opera alchemica di trasformazione, che l' uomo è riuscito a fare su se stesso. 

L'Alchimista che trasforma il vile metallo, dell' uomo privo di consapevolezza, in Oro sopraffino, che rappresenta l'Uomo cosciente, consapevole. 

Un uomo che ha operato su di sé, un' opera profonda di distillazione e purificazione, che si è allontanato con distacco e indifferenza, da tutte le passioni meschine. 

Morire a sé stessi per rivelare il contenuto del Seme Divino. 

Poiché chi indossa la Maschera, non è un uomo comune. 

La maschera bianca è come una cartina tornasole. Rivela chia la può indossare e chi no. 

E chi la può indossare, ha la responsabilità e l' onore di essere guidato da un Bene Superiore, e di essere fonte di ricchezza e benessere anche per la comunità. 

Su componidori che riesce ad infilare quante più possibili stelle a 6 punte durante la Sartiglia, riesce ad ottenere la benevolenza degli  Dei, garantendo alla comunità un raccolto abbondante. 

Sono stati fatti degli studi In base alle percentuali e ai grafici ISTAT riguardo i raccolti annuali. 

I raccolti più abbondanti sono stati rilevati proprio negli anni in cui sono state guadagnate da su Componidori, un maggior numero di stelle a 6 punte. 

E abbiamo visto, più volte, come il sei, ( rappresentato figurativamente anche dal fiore a 6 punte sulla fronte dei Boes) il tre, con la figura chiave del trilobato, siano numeri Sacri in Sardegna. 

Il tre e i suoi multipli, i numeri della creazione. 

In ogni civiltà esistono maschere e Demoni doppi, con doppia o triplice valenza : "male /bene", "passato e futuro". 

Il Giano bifronte romano, ne è un esempio. 

Il Giano bifronte dei portali, colui che puoi vedere passato e futuro, come la nostra Jana /Janna, porta e portale. 

Il. Giano,  Dio dell'immortalità nella multidimensionalità. 

Poiché è questa la vera dimensione, quella dell'Eterno presente. 

Dell'eterno immutabile. 

Il Giano bifronte, viene rappresentato con due chiavi in mano, una d'argento, riferita ai misteri iniziatici terreni, e una d'oro, riferita ai misteri iniziatici celesti, spirituali. 

Abbiamo due occhi. 

Uno per vedere la luna, femminile, sinistro, e uno per vedere il sole, sul lato destro, maschile. 

Soltanto il terzo occhio vede tutto, e non è né maschile, né femminile. 

Ed è come esattamente la maschera Bianca asessuata. 

In arabo e in ebraico non esiste una parola  per indicare il tempo presente. 

Il tempo presente, appartiene solo a Dio. 

La maschera in questo senso, è come un qualcosa di sacro che non nuoce a chi la indossa, e chi la indossa, comunque deve essere ugualmente sacro. 

Deve saper cogliere l'essenza delle cose. 

La Maschera amplifica ciò che di sacro già c'è. 

I nostri giganti di Monte Prama rappresentano quegli Eroi Sacri che sono entrati in comunione con il divino perché sono stati capaci attraverso la memoria, attraverso l' incubatio, rappresentato delle doppie pupille, di cui la maschera è simbolica e artefice di questa connessione, di accedere alla dimensione dell'Eterno. 

Una maschera inespressiva assessuata, che deve cogliere il divino, l'Essenza, cristallizzata nella purezza di una espressione androgina, monadica, dell'origine, in modo distaccato, come se non si appartenesse più alla dimensione dell'umano. 

Una maschera semplice, povera, che favorisce la perdita della  propria identità umana, a favore dell' acquisizione della forza divina, della forza solare e lunare insieme. 

L'umano ha sempre sentito il bisogno di sentire il divino dentro di sé, di sentirlo prendere vita, di sentirsi guidato e protetto dalla divinità androgina, Padre e Madre insieme, e nell'antica Civiltà Sarda, questo aspetto è sempre stato importantissimo, e viene sempre rivelato attraverso molti simbolismi. 

Anche nel teatro giapponese, di forte componente spirituale, le maschere indossate dall' attore protagonista, chiamato Shite, "colui che fa, che agisce" , sono strumenti per evocare entità e spiriti, che, fondendosi con l' Animo dell' attore, permettono un graduale  riaffiorare di passioni ed emozioni, di un lontano passato, caratteristica che deriva da una antica origine sacrale. 

Indossare tali maschere, porta ad una metamorfosi di colui che le indossa, in un Dio o entità sovrannaturale dal potere sovrumano, mentale e fisico. 

Basti pensare anche alle maschere degli antichi Samurai, create apposta per infondere forza, potenza e terrore negli avversari

Le maschere più aggraziate del teatro giapponese, sono le maschere bianche Ko-Omote, così come le Wakaonna. 

Le Onryo, invece rappresentano gli spiriti vendicativo. 

Non hanno movimenti violenti, ma usano il termine Hataraki per indicare un movimento forzato riscontrabile nel battito del piede, e in questo ricordano l' andamento claudicante e ritmato dei Mamuthones. 

Movimento ritmato che serve a dominare e perimetrale la forza selvaggia della divinità animale, senza lasciarsi andare a slanci impulsivi incontrollabili, animaleschi, che, nel caso dei Mamuthones, sono tenuti a bada dalla divinità regolatrice de is Issohadores, che li tengono a bada con "sa Soha", il lazzo

Da 12 a 6 Mamuthones ( notate come anche in questo contesto, sia fondamentale il numero 6 e multipli, come ho sottolineato altre volte), che si muovono in due file parellele, uniti a 8 Issuhadores in genere. 

Otto, il numero dell' infinito che unisce gli opposti, in questo caso, il divino e la bestialità dei mamuthones. 

Il Divino che tiene a bada l' istinto animalesco e primitivo, perché lo può fare, ha la purezza del Divino. 

Ha l' Intelletto.

Una Forza superiore che guida e perimetra, doma, le energie inferiori degli uomini, consentendogli di raggiungere quello stacco evolutivo, che lo fa "divinità" e guida tra gli stessi umani. 

Le maschere, ufficialmente, fanno la loro apparizione come maschere teatrali , in ambito occidentale, nell’Atene di V secolo a.C. dove, con l’introduzione delle rappresentazioni tragiche, comiche e satiresche, si svilupparono diverse tipologie di maschere.

Pare che le origini delle maschere teatrali attiche, siano da ricondurre in ambito cultuale dionisiaco, in particolare, nel culto agreste di Dioniso che affonda le sue radici in ambiente peloponnesiaco, diffuso anche in Sardegna. 

Esse venivano utilizzate dagli attori con funzione acustica, cioè di amplificazione della voce, e scenica, di caratterizzazione dei personaggi, maschili e femminili indistintamente. 

Il mondo greco faceva uso frequente di maschere nella sfera religiosa. Si usavano  maschere animalesche nel culto di Demetra, dea dell’agricoltura, artefice del ciclo delle stagioni, nei culti dionisiaci, nel rappresentare le espressioni orrorifiche delle Gorgoni, della Medusa. 

La maschera di tipo cultuale aveva funzione “magica”: essa trasformava in un altro essere colui che la indossava, nel senso che riusciva a nascondere il volto e l’identità personale e sociale di colui che la indossava

Infatti, la maschera compariva in tutti i riti di passaggio che celebravano le tappe fondamentali della vita di un individuo tra cui anche la morte.

Oltre che avere una  natura magica, la maschera cultuale poteva assumere inoltre funzione apotropaica: il carattere grottesco avrebbe aiutato a dominare gli spiriti della natura e a condizionare favorevolmente le loro azioni.

Per quanto riguarda le maschere funebri, l' usanza di coprire con una maschera volto dei defunti, si incontra sin dai tempi più antichi in diversi luoghi, e trae origine da convinzioni magiche: in molti popoli la fede nell'Oltretomba richiede che la testa rimanga intatta dopo la morte, dove la maschera difende il cadavere dall'eventuale potenza dei demoni ostili. Inoltre, il superstite spesso scorge un pericolo nei poteri demoniaci che il defunto può aver acquistato con la morte. La testa è considerata nucleo di questi poteri ed è pertanto isolata mediante la maschera, che in entrambi i casi serve da mezzo apotropaico, come nel caso della maschera ghignante di San Sperate, che nomino soltanto, in quanto meriterebbe un discorso a parte. 

Tuttavia il gruppo più importante di maschere, considerando le maschere di tutto il mondo, è costituito da quelle del teatro Nō, un dramma lirico-danzato che risale al XIV secolo, ritenuto la forma più alta di spettacolo teatrale in Giappone e tutt’oggi seguito da un vasto pubblico. Nel teatro Nō la maschera è l’elemento centrale dello spettacolo: quando l’attore la porta al viso non interpreta né rappresenta ma incarna lo spirito del personaggio, sia esso demone, guerriero o donna.

All’inizio, prima ancora dell'uso delle maschere teatrali, è la danza sciamanica: lo spirito del kami, il dio, prende possesso del corpo della sciamana, e nella séance della trance ascolta la comunità del villaggio, esprime oracoli . 

Il corpo della sciamana è come se fosse il  corpo della divinità . Nelle danze più antiche non è ancora presente la maschera, bensì dei torimono, una serie di aste, usate anche come armi da guerra, "cornute" come le corna dei tori, oggetti con cui si richiama il kami e in cui il kami si incorpora (è il kami oroshi, la “discesa del dio”).

Eppure la presenza della maschera in Giappone è documentata già in epoca Jōmon (1000-400 a.C.), soprattutto con  maschere in argilla (oltre ad altre in conchiglia e pietra), con  grandi occhi rotondi e deformati, simili a quelli delle statuette neolitiche chiamate dogū e definite come “occhiali da neve” (shakokidogū), da una bocca minuscola e da un disegno inciso con una corda secondo lo stile jōmon (lett. “decorazione a corda”). Alcune maschere sono caratterizzate da naso storto e bocca fuori asse: un ghigno che potrebbe essere quello dello sciamano che riveste la maschera quale protezione nel suo viaggio simbolico nell’aldilà. Ma le maschere del tardo Jōmonsono di piccole dimensioni, è ipotizzabile perciò che durante rituali di natura magico-religiosa venissero portate appese al collo o collocate sulla fronte ma è impossibile definire con sicurezza in che modo fossero utilizzate.

Così come le maschere funerarie fenicio - puniche, come quella ghignante di San Sperate, alcune troppo piccole, per essere indossate. 

Tra tutte queste maschere, quelle che sicuramente meglio incarnano lo spirito del Nō sono quelle femminili, quelle che hanno la maschera bianca, poiché trasmettono una sensazione di fissità, di assenza di emozioni, di neutralità. Sul palco, invece, grazie al talento dell'attore, esse prendono vita con  un crescendo di sentimenti , una varietà di mimica straordinaria, così come succede con le nostre maschere de is Issohadores, e anche con la figura de su Componidori, che trasmettono una grandissima energia, attraverso la gestualità, e attraverso proprio l'Essenza che emanano. 

In questo senso, l’attore di Nō instaura con la maschera un rapporto che va al di là della pura rappresentazione scenica. Nel momento in cui compie il gesto di indossarla, egli trasforma la narrazione di un evento in un momento in cui si crea una nuova dimensione atemporale, eterna, di valore universale.

Un ruolo che coglie l'Essenza più profonda di ciò che si sta interpretando, che non appartiene ad un solo uomo, ma a tutta l' umanità. Su Issuhadore non è solo una maschera carnevalesca, ma ha un  ruolo  ben preciso, di mediatore tra il divino e la bestialità degli Umani. 

Su Componidori si presta alla connessione con il Divino, per guadagnarsi la benevolenza dello stesso, conquistando quella stella a 6 punte, che non significa soltanto un auspicio di un buon raccolto, ma è simbolo ben preciso : la stella a sei punte, il fiore della vita a 6 punte. 

La Creazione, l'integrazione del Maschile e del Femminile. 

La Sinergia procreatrice, come ho scritto tante volte, al servizio dell' Umanità. 

I Giganti di Mont' e Prama, non erano solo "eroi", atletici eroi", ma i custodi di quella connessione privilegiata con il Divino, che nel sonno, nell' oblio, faceva loro ricordare, le loro vere origini. 

Dormivano per ricordare le loro origini Atlantidee. 

Il labirinto di Benetutti, nella Domus de Jana di Luzzanas, in provincia di Sassari, presente anche in altri parti del mondo, ci ricorda questa appartenenza. 

Un percorso a 7 spire, che formano tre cerchi concentrici pieni, intorno, come la planimetria di Atlantide, circondata da tre anelli d'acqua. 

 I Giganti di Mont'e Prama erano i custodi della memoria, così come lo sono le maschere bianche de su Issuhadore e de su Componidori, a ricordarci le nostri origini Divine, nobili, la terra dei Re. 

Eravamo connessi alla Divinità, ed essa si è estrinsecata in Forme e Linguaggio non comune, perché "non comuni", sono stati i suoi depositari e messaggeri. 

C'è tanto da decodificare, ma è proprio questo il bello di questa Sacra Terra. 

Esige sacralità, nell' ascoltarla. 

Ha un linguaggio discreto, nobile. 

Sussurra.

Evoca.

È la Terra dei venti.

Del Vento delle Antiche Madri Primordiali.

Il Maestrale Maestro, e tanto altro ancora.


Tiziana Fenu 


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