Le due zucche intagliate a foggia di testa ed illuminate internamente mediante la fiamma di un lumino o di una candela sono appunto due lümere.
Complice l'immaginario collettivo, ampiamente plasmato dall'attuale cultura consumistico-globalizzata, in chiunque si trovi ad osservarla è abbastanza facile che la prima associazione mentale evochi le zucche, spesso di plastica che, in modo sempre più sistematico e pervasivo, tappezzano ogni dove in occasione di Halloween.
Ma, prestando maggiore attenzione alla loro espressione si nota che non hanno il classico ghigno infernale, diabolico, bieco, dalle chiare influenze cristiane e che contraddistingue gli attuali manufatti macabro-grotteschi. Il loro piglio ha qualcosa di positivo, di rassicurante, di rasserenante, riflettendo la percezione della morte da parte dei nostri antenati celti.
Più che oggettivazioni di spiriti maligni, di demoni o altre creature pericolose, sono icone dei cari defunti commemorati, che, con un sorriso benevole ed amorevole, vegliano sui propri cari a loro sopravvissuti.
I due frutti cesellati sono inseriti in un contesto ambientale esterno con evidenti elementi, quali le foglie secche, gli alberi spogli e la neve sullo sfondo, che denotano in modo inequivocabile l'autunno, ossia la stagione in cui cade Samhain.
Altrettanto non casuale è la misteriosa bruma azzurrognola che, sfocando il paesaggio, rievoca, indirettamente, un altro caposaldo del vissuto insubre-lombardo: la nebbia.
Nella nostra tradizione la scighera, la gheba, la nèbia, o addirittura il nebiùn, sono, nel contempo, qualcosa di arcano e di ignoto, di oscuro e di preoccupante, di terribile e di affascinante perché, non solo mettono in scacco i sensi umani privandoli del proprio potere percettivo ma anche perché denotano il confine tra il reale ed il sovrannaturale, il velo stesso tra l'Aldiqua e l'Aldilà che si assottiglia sino a divenire permeabile nel periodo del capodanno celtico, rendendo tutto possibile.
E se, specialmente nella Bassa, la nebbia rimandava al mefitico e letale alito del signore del Mare Gerundo, il drago Tarantasio, con cui uccideva chiunque osasse avvicinarsi al suo regno (ossia alle esalazioni di gas metano nelle zone paludose del sud della regione), per i celti la “boa” (antico termine bergamasco per indicare la nebbia), era l’alito strisciante, etimologicamente lo “spirito”, dei defunti e, poiché al suo interno vagavano gli spettri dei guerrieri morti in battaglia, era oltremodo temuta.
Di conseguenza è coerente che l'intera scena della copertina così come le atmosfere del testo siano imbibite di nebbia, di arcano, della particolare sensazione di horror sacri che, contemporaneamente, affascina ed atterrisce, magnetizza ed intimorisce chiunque si trovi davanti ai misteri della vita, della morte, della loro relazione e del loro potere.
E se la fiamma che splende nelle zucche è il fuoco della nostra identità, dei nostri valori che illuminano, dando senso e vita alla nostra cultura, alla nostra tradizione, la candela ed il lumino rappresentano ciascuno di noi che, a modo proprio, nella sua unicità e distintività, è comunque portatore e custode del sacro fuoco dell'essenza della nostra gente, della nostra comunità, della nostra civiltà e, pertanto è chiamato a preservarlo ed a consegnarlo, come novello Prometeo, alle generazioni future.
Tratto da "I Libri di Samhain" Ada Cattaneo "L’arcana luce delle lümere". Edizioni Centro Produzioni Moira
Maldalchimia.blogspot.com
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