Durante le belle nottate, non si comprende per quale motivo, le janas esponevano tutti i propri averi, ma nel caso in cui fosse passato nei dintorni un uomo, con rapidità sorprendente raccoglievano tutti i propri tesori sigillando la casa con un fermo di pietra massiccia (simile a quelli che dovevano essere posti a chiusura delle tombe).
Quello del confezionamento del pane è uno dei tratti più caratteristici.
Sono numerose le leggende che raccontano di come siano state, in tempi remoti, proprio le janas ad insegnare alle donne sarde non solo tutti i mestieri domestici, ma anche e soprattutto l’arte della panificazione. Ad Ozieri ad esempio, maestra del pane era la Sabia Sibilla, la fata che risiedeva nella Grotta del Carmelo.
Secondo alcune altre leggende pare invece che siano state le janas a domandare aiuto alle donne: a Cabras e Oristano ad esempio si racconta che le fate abbandonassero le proprie dimore per raggiungere le donne del paese vicino e domandassero loro del lievito. Sembra infatti che le piccole janas non disponessero del segreto della lievitazione. Queste leggende sono avvalorate dalla credenza, diffusa grosso modo in tutta l’Isola, secondo la quale il pane, per lievitare, non doveva essere mostrato alla luna: “Nascondilo, che non lo veda la luna”, era frase che si ripeteva spesso.
Se così fosse stato la lievitazione del pane non sarebbe riuscita. D’altronde le fasi lunari scandivano praticamente ogni fase della vita agropastorale sarda e non solo.
Panificazione, riproduzione, parto, taglio della legna, semina erano solo alcune delle attività che si svolgevano assecondando lo stato dell’astro notturno.
Alcune leggende inoltre raccontano di janas che hanno la capacità insita di dominare il fuoco. Queste vedono l’uomo impegnato in una sorta di rito di passaggio organizzato dalle fate al quale gli uomini si sottopongono spontaneamente. In rarissimi casi l’uomo supera la prova a dimostrazione del fatto che la gestione del fuoco non è arte che appartenga agli esseri umani. Per quanto le janas risultassero capaci di dominare il fuoco, sembra che non ne possedessero comunque il segreto. Spesso veniva chiesto alle donne, esattamente come accadeva con il lievito: la concessione dell’uno e dell’altro sanciva una pacifica convivenza fra le janas e le donne.
Una leggenda raccolta nella località di Giave racconta del momento nel quale il fuoco non venne più condiviso: il rifiuto potrebbe essere giustificato con il passaggio dalla religione pagana a quella cristiana e con la successiva rottura di qualsiasi pacifica convivenza fra fate (esponenti di una religione antica) e donne.
Altra virtù propria delle fate isolane è quella di poter osservare fatti che si svolgono a grandissima distanza grazie all’uso di uno specchio fatato strumento usato dalla jana più anziana. Attraverso questo strumento le giovani fate potevano essere messe in allerta da eventuali pericoli cui andavano incontro. L’inconveniente cui più comunemente le janas andavano incontro era quello del tocco indesiderato da parte dell’uomo con il quale si cimentavano nel ballo tondo. Il fatto che l’uomo non potesse toccare con lascivia le janas le circonda di un certo alone di sacralità, quasi che fossero sacerdotesse vergini (come d’altronde il nome consiglia) rispettate e onorate, che in rare circostanze visitavano gli uomini, dai quali dovevano essere rispettate ed in alcuni casi temute.
Gli episodi di irriverenza citati in alcune leggende nelle quali si racconta di uomini che toccano la fata, o che cercano di sottrargli i bottoni d’oro, potrebbe parlare di quel momento di transizione durante il quale ai vecchi valori pagani si sono sostituiti quelli delle nuove religioni.
Altra virtù che pare quasi un mestiere delle fate sarde è la loro capacità divinatoria.
Nella località di Bonorva, di Ozieri, di Isili e di Rebeccu si raccontava che le janas fossero in grado di prevedere il futuro e avessero il dono della profezia, dimostrandosi in diversi casi capaci addirittura di determinare il destino degli uomini
Un po’ in tutta l’Isola ancora oggi di una persona particolarmente fortunata si dice che est affadada beni de is janas, mentre di una persona sfortunata si dice piuttosto che est affadada mali de is Janas.
Ruolo principale della Sabia Sibilla era appunto quello di profetizzare, in compagnia delle proprie sorelle janas, all’interno della Grotta del Carmelo, e Bresciani traduce i termine domus de janas come “casa delle sibille”.
La traduzione non letterale fu probabilmente indotta dalla tradizione che raccontava le janas come le divinatrici sarde per antonomasia. D’altronde Eliano quando parla di tutte le sibille esistite nel mondo antico non dimentica di citare la Sibilla Sardica.
Altra virtù delle janas raramente messa in mostra è quella relativa alla capacità di mutarsi in animali particolarmente rispettati nell’Isola . Le janas avevano ad esempio la capacità di prendere la forma di serpi nere, particolarmente rispettate sull’Isola tant’è che non di rado vengono definite signore dell’ovile.
Tratto da "Creature Fantastiche in Sardegna" di Claudia Zedda
Maldalchimia.blogspot.com
Alessandra Garau Artist
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