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lunedì, novembre 30, 2020

💛Carta de Logu e la violenza sulle donne

 25 Novembre


#noviolenzasulledonne ❤️


Sardegna millenni avanti


Dalla Carta de Logu di Eleonora di Arborea

 “Di chi violentasse una donna sposata”.

 

"Qualora un uomo dovesse usare violenza sessuale su una donna sposata, promessa sposa o vergine e di questo venga ritenuto colpevole, è condannato a pagare un’ammenda di cinquecento lire e, qualora lo stesso non dovesse pagare entro quindici giorni, gli sarà amputato un piede. Se la donna in oggetto è nubile l’ammenda scende a duecento lire ma l’uomo è tenuto a sposarla. Tale condizione è tuttavia subordinata al fatto che la donna accondiscenda al matrimonio. Nel caso in cui la stessa rifiuti la proposta, il reo è tenuto a farla accasare munendola di dote secondo la condizione sociale della donna stessa e del suo futuro sposo. Come nel caso precedente, se il colpevole non è in grado di onorare l’impegno, la pena è l’amputazione del piede. Per la donna vergine sussistono le stesse condizioni, senza però obbligo di accasamento, ma solo ammenda ed eventuale pena."

 

In questo articolo troviamo due principi di straordinaria modernità, considerata l’epoca in cui tali norme erano vigenti. Il primo sancisce che un matrimonio “riparatore” risulta valido solo e soltanto se lo stesso è di gradimento della donna. In caso contrario non sussiste per lei alcun obbligo ed il reo va incontro alla condanna. Questi dovrà comunque pagare allo Stato una cifra molto elevata per l’epoca considerando che un cavallo da battaglia, strumento fondamentale per un regno, aveva un valore indicativo di circa dieci lire.

 

Da sottolineare che qualora la donna non gradisca come marito il suo violentatore, l’uomo ha l’obbligo di provvedere per il suo futuro fornendole una dote e trovandole un marito a lei confacente. Tale operazione, non esime tuttavia lo stupratore dal pagamento dell’ammenda.

 

Interessante il fatto che un documento così antico ed in forma ufficiale sia rispettoso della volontà della donna, figura non certo tenuta in alta considerazione in epoca medioevale.

 

Altro aspetto del tutto rilevante è la poca importanza tributata alla verginità femminile: come si evince dalla norma, il reo di violenza sessuale su di una vergine subisce la stessa identica punizione di colui che si trovi a perpetrare il reato su di una donna nubile, fidanzata o comunque non sposata.

 

Differente ammenda viene invece comminata allo stupratore di donna sposata, dove la multa è più che doppia ed ha valore inestimabile per l’economia dell’epoca, quasi come se lo spregio della violenza a chi si trovi ad essere maritata e quindi nel caso madre di famiglia, assuma nell’immaginario del legislatore proporzioni macroscopiche. Possiamo facilmente immaginare che in tale periodo la famiglia ed i figli fossero, non solo sull’Isola ma in tutto il continente europeo e non solo, un valore assoluto e di primaria importanza.

 

È quindi comprensibile che le pene contro tale istituzione dovessero avere un tratto afflittivo del tutto marcato. Anche in questo caso, la pena inflitta agli stupratori insolventi era identica in tutti i casi: l’amputazione di un piede. Una simile pena si rivela nella società di allora una punizione del tutto crudele, in quanto l’amputato si sarebbe trovato disabile e quindi non più in grado di provvedere a se stesso, basti pensare alle difficoltà nel lavorare manualmente e nel combattere e quindi relegandolo alla condizione di mendicante, del tutto dipendente dalla carità altrui.


Tiziana Fenu


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Carta de Logu e la violenza sulle donne




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