Da un post di Sam Pitzalis ( https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10158659626271326&id=718806325), in cui si vede la trasfigurazione ierofanica all'interno di una nicchia in un nuraghe.
Come ho gia scritto nei miei post, le nicchie, fungevano da ancestrali tabernacoli, dove si manifestava il Divino trasfigurante, attraverso la ierofania, che, sicuramente, permeava di sacralità degli oggetti ritualistici, o forse anche delle statuine, e lo stesso officiante sciamanico e sacerdotale, o chi avesse bisogno di una trasmutazione alchemica, di una guarigione, di una benedizione trasmutante.
Dall'immagine, si vede benissimo la potenza orgonica dell'energia solare che passa attraverso le aperture intorno al nuraghe
Sicuramente vi erano dei momenti, degli orari privilegiati per questa ritualistica.
Ho affrontato l'argomento "ierofania" più volte ( vi lascio i link a fine articolo)
Nel suo celebre Trattato di storia delle religioni, da cui è stata estratta questa lettura, Mircea Eliade, uno dei più celebri antropologi del Novecento, analizza il significato della sacralità del cielo secondo al religiosità di diverse popolazioni. All’uomo primitivo, egli afferma: “il Cielo rivela direttamente la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità. La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva un’esperienza religiosa.” Nella religiosità arcaica non è il Cielo ad essere adorato come Essere superiore, e in fondo nemmeno i corpi celesti. Piuttosto, il Cielo è la sede della trascendenza, perché della trascendenza ne incarna gli attributi.
[...] il Cielo rivela direttamente la sua trascendenza, la sua forza e la sua sacralità. La contemplazione della volta celeste, da sola, suscita nella coscienza primitiva un’esperienza religiosa.
L’espressione “contemplazione della volta celeste” ha un significato del tutto diverso se la riferiamo all’uomo primitivo, aperto ai miracoli quotidiani con un’intensità difficilmente immaginabile per noi. Questa contemplazione equivale, per lui, a una rivelazione. Il Cielo si rivela quel che è in realtà: infinito, trascendente. La volta celeste è per eccellenza “cosa del tutto diversa” dalla pochezza dell’uomo e del suo spazio vitale. Il simbolismo della sua trascendenza si deduce, diremo, semplicemente dalla constatazione della sua infinita altezza. “L’altissimo” diventa, nel modo più naturale, un attributo della divinità. Le regioni superiori inaccessibili all’uomo, le zone sideree, acquistano i prestigi divini del trascendente, della realtà assoluta, della perennità. Queste regioni sono la dimora degli dèi, e alcuni privilegiati vi giungono per mezzo dei riti di ascensione celeste; fin lassù si innalzano, secondo i concetti di certe religioni, le anime dei morti. L’“alto” è una categoria inaccessibile all’uomo in quanto tale; appartiene di diritto alle forze e agli esseri sovrumani; colui che si innalza salendo cerimonialmente i gradini di un santuario o la scala rituale che porta al Cielo, cessa allora di essere un uomo; le anime dei morti privilegiati, nella loro ascensione celeste, hanno abbandonato la condizione umana.
[...] Il modo di essere celeste è una ierofania inesauribile. Di conseguenza tutto quel che avviene negli spazi siderei e nelle regioni superiori dell’atmosfera – la rivoluzione ritmica degli astri, le nuvole che si inseguono, le tempeste, il fulmine, le meteore, l’arcobaleno – sono momenti di questa medesima ierofania.
[...] Il carattere sacro del cielo è diffuso in complessi rituali o mitici innumerevoli che, a quanto pare, non sono in relazione diretta con una divinità iranica. Il sacro celeste rimane attivo nell’esperienza religiosa, per mezzo del simbolismo dell’“altezza”, dell’“ascensione”, del “centro”, ecc. Anche in questo simbolismo troviamo talvolta una divinità fecondatrice sostituita a una divinità iranica, ma la struttura celeste del simbolismo sussiste egualmente.
La montagna è più vicina al cielo, e questo le conferisce una doppia sacralità: da un lato partecipa al simbolismo spaziale della trascendenza (“alto”, “verticale”, “supremo”, ecc.), e da’altra parte il monte è per eccellenza il dominio delle ierofanie atmosferiche. Ed, in quanto tale, dimora degli dèi. Tutte le mitologie hanno una montagna sacra, variante più o meno illustre dell’Olimpo. Tutti gli dèi celesti hanno luoghi riservati al loro culto, sulle cime. Le valenze simboliche e religiose delle montagne sono innumerevoli. Spesso la montagna è considerata punto d’incontro del cielo e della terra; quindi un “centro”, punto per il quale passa l’Asse del Mondo, regione satura di sacro, luogo dove possono attuarsi i passaggi fra le zone cosmiche diverse.
[...] Il “monte”, in quanto punto d’incontro fra cielo e terra, si trova al “centro del mondo” ed è sicuramente il punto più alto della terra. Per questo le regioni consacrate – “luoghi santi”, templi, palazzi, città sante – sono parificate alle montagne e diventano esse stesse “centri”, e la Palestina, “la terra santa”, essendo perciò considerata come il luogo più alto del mondo, non fu raggiunta dal Diluvio. “La terra d’Israele non fu sommersa dal Diluvio”, dice un testo rabbinico. Per i Cristiani il Golgotha si trova al centro del mondo perché è la cima della montagna cosmica e anche il luogo dove Adamo fu creato e sepolto. E secondo la tradizione islamica, il luogo più alto della terra è la Ka’ba, perché “la stella polare dimostra che la Ka’ba si trova esattamente al disopra del centro del cielo”.
Perfino i nomi dei templi e delle torri sacre attestano l’assimilano alla montagna cosmica: “il Monte Casa”, “la casa del Monte di tutti i paesi”, “la montagna delle Tempeste”, “il Legame fra cielo e terra”, ecc. . Il termine numerico per indicare Ziqqurat è U-Nir (monte), che Jastrow interpreta come “visibile a grande distanza”. La ziqqurat era, propriamente, un “monte cosmico”, cioè un’immagine simbolica del Cosmo; i suoi sette paini rappresentavano i sette cieli planetari (come a Borsippa) o avevano i colori del mondo (come a Ur).
[...] L’altitudine ha una virtù consacrante. Le regioni superiori sono sature di forze sacre. Tutto quel che più si avvicina al cielo, partecipa con intensità variabile alla trascendenza. L’”altitudine”, il “superiore”, sono assimilati al trascendente, al sovrumano. Ogni “ascensione” è una rottura di livello, un passaggio nell’oltretomba, un superamento dello spazio profano e della condizione umana. Inutile aggiungere che il sacro dell’”altitudine” è convalidato dal sacro delle regioni atmosferiche superiori e, quindi, dal sacro del Cielo. Il Monte, il Tempio, la Città, ecc. sono consacrati perché investiti del prestigio del “centro”, cioè, in origine, perché assimilati alla cima più alta dell’Universo e al punto d’incontro fra Cielo e Terra. Ne consegue che la consacrazione mediante rituali di ascensione o scalata di monti, o salita di scale, è valida perché inserisce chi la pratica in una regione superiore celeste. La ricchezza e la varietà del simbolismo dell’”ascensione” sono caotiche soltanto in apparenza; considerati nel loro insieme, tutti questi riti e simboli si spiegano col sacro dell’”altitudine”, cioè del celeste. Trascendere la condizione umana, in quanto si penetra in una zona sacra (tempio, altare) per mezzo della consacrazione rituale o della morte, si esprime concretamente con un “passaggio”, una “salita”, un’”ascensione”.
Quindi è chiaro, il concetto simbolico dei nuraghi, dei tantissimi, migliaia di nuraghi( 8.000-9000?.. Una cifra folle per un lembo di terra relativamente piccolo) eretti a manifestazione della forte e intima connessione con il Divino, di cui la ierofania, è totale manifestazione.
È portare il Sacro nella materia.
Sacralizzare la dura pietra, e farne veicolo, attraverso i secoli e i millenni, di quel messaggio altamente dialettico, che trova spazio in ognuno di noi, in chiunque si accosti a questa dimensione sacrale, della quale la nostra amata terra è permeata.
Ci si può riconoscere.
Si può sentire la frequenza, di questa sacralità, e restarne magnetizzati.
Come un ritorno a casa.
Come un ritorno all'Alleanza primigenia, tra Umano e Divino, prima della rottura, dello sfregio egoico.
Tiziana Fenu
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