Se da una parte il pensiero aristotelico del IV secolo a.C. interpretava il termine in rapporto all’uso della moneta come misura del valore e intermediario negli scambi, dall’altra già al tempo veniva considerato negativamente il suo accumulo. Facendo un passo indietro, come non correre con la mente ai ben noti tesoretti o ripostigli così frequenti addirittura prima della nascita della storia?
La pratica di accumulare e nascondere beni rari e di prestigio nacque assai precedentemente all’uso del bronzo e del rame, ed è nota almeno dal neolitico – con la tesaurizzazione di particolari manufatti, come le asce in pietra verde –, se non dal paleolitico superiore, attraverso lo stoccaggio di blocchi di selce grezza, la cui qualità veniva testata, per poi essere nascosti in chaces rinvenuti talvolta negli scavi, specialmente in luoghi sprovvisti di tale materiale, lasciando ipotizzare come il suo approvvigionamento debba essere avvenuto attraverso scambi su lunghe distanze. Pre-monete realizzate nei materiali più disparati, come ruote di pietra, le “classiche” conchiglie o altri tipi di beni, sono ben note a livello paletnografico.
Tuttavia, è con l’avvento dei metalli che si imprime un’accelerata al concetto di moneta come lo concepiamo noi uomini moderni: «l’avvento del metallo […] consentì inoltre nuove e più durevoli forme di accumulazione dei beni, indipendenti dalla deperibilità cui sono soggetti i prodotti sia vegetali che animali, favorendo la concentrazione della ricchezza e quindi la stratificazione sociale»
La disponibilità del metallo ha infatti creato le condizioni per innescare questo processo, decretando così la fortuna o il permanere di diverse economie di scambio, in regioni che erano sprovviste di tali fonti naturali. Secondo Claudio Giardino, uno dei massimi studiosi di metallurgia in Italia, infatti: «la presenza di giacimenti metalliferi ha inoltre influito sullo sviluppo di alcune regioni, quali l’Etruria o la Sardegna nuragica, nonché sulla dislocazione degli insediamenti, spesso sorti in aree minerarie o in luoghi di scambio delle materie prime».
Per quanto riguarda invece i più recenti tesoretti dell’età del Bronzo, ricordiamo per la Sardegna nuragica i particolari accumuli di oggetti metallici di eterogenea composizione che costituivano il tesoro (hoard, depotfunde) del tempio.
Questi sono stati rinvenuti in gran numero e, volendo citare alcuni fra gli esempi più noti, basti pensare al “tesoretto” del pozzo sacro di Funtana Coberta di Ballao o quelli riportati alla luce all’interno di alcuni nuraghi, come l’Albucciu di Arzachena, s’Ortali ‘e su Monte (o San Salvatore) di Tortolì, il Funtana di Ittireddu, etc.
Si tratta di frammenti di metallo – in particolar modo rame – di varia forma, spesso frammenti di lingotti, scarti o “rottami” che il metallurgo, il calcheuta, recuperava per poterli rifondere. Questi elementi potrebbero essere considerati delle primitive forme di monete?
Tratto da : Alessandro Atzeni "La monetazione nella Sardegna nuragica Ipotesi e ricerche" Ebook Nor
Nell'immagine pozzo sacro di Funtana Coberta di Ballao(Ca)
Maldalchimia.blogspot.com
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